Il neurologo Pietro Carrieri, per anni docente al Policlinico partenopeo, più volte consulente forense, fa il punto sulla malattia di Alzheimer, sulle ricerche più recenti per arginare questa dilagante patologia e sulle altre, diverse forme di demenza, anch’esse purtroppo in aumento.
Il deterioramento cognitivo progressivo, che può giungere sino alla demenza, è causato da una congerie di patologie. Innanzitutto va sottolineato che demenza è un termine generico, che raccoglie un insieme di sintomi, senza far riferimento ad una patologia specifica (vedi tabella in basso). Tra le varie forme di demenze ha avuto una particolare diffusione la malattia di Alzheimer, una patologia specifica con precise caratteristiche biologiche, da non indicare con il termine morbo, perché quest’ultimo sta ad indicare una malattia a decorso fatale di cui non si conoscono le cause.
Infatti, anche nel linguaggio comune, il termine malattia o demenza di Alzheimer, o più semplicemente Alzheimer, fa riferimento a una persona che presenta un deficit di memoria tale da influenzare le attività della sua vita quotidiana. Purtroppo anche il decadimento cognitivo legato all’età, magari limitato a un disturbo della memoria recente – condizione molto comune oltre una certa età – viene attualmente classificato inesorabilmente, e in maniera inopportuna, come malattia di Alzheimer. Meglio sarebbe indicarlo come declino cognitivo.
Occorre infatti chiarire che vi è una grande differenza tra declino cognitivo e malattia di Alzheimer, in quanto quest’ultima è una malattia con precise caratteristiche anatomo-patologiche. Per poter effettuare una diagnosi di malattia di Alzheimer occorre infatti identificare nel cervello della persona colpita la presenza di placche e grovigli, nonché di proteine anomale come la beta-amiloide o la proteina tau, ricerca che si effettua attraverso l’impiego di bio-marcatori. Solo in tal caso una demenza può essere etichettata come malattia di Alzheimer. Di conseguenza non ha alcun senso classificare immediatamente come malattia di Alzheimer un deterioramento cognitivo, che può avere differenti cause. Tuttavia, nonostante questa premessa, effettuare una diagnosi di malattia di Alzheimer, in presenza di un declino cognitivo con interessamento della memoria recente, è diventata una prassi molto comune.
ll ragionamento che viene effettuato, in ambito strettamente familiare, è il seguente:
- Da un po’ di tempo il nostro congiunto ha un deficit di memoria con difficoltà nelle attività della vita quotidiana.
- Tale condizioni non è migliorata col tempo.
Da qui la diagnosi effettuata dagli stessi familiari: “malattia di Alzheimer” o più semplicemente Alzheimer.
Purtroppo questo atteggiamento è spesso presente anche nei medici.
Infatti, anche se sono in genere gli stessi familiari a far diagnosi di malattia di Alzheimer, il medico, talora anche specialista, conferma spesso questa diagnosi.
COME INSORGE LA MALATTIA DI ALZHEIMER
La maggior parte dei casi sono sporadici, con esordio tardivo (≥ 65 anni) e con eziologia sconosciuta.
Il rischio di sviluppare la malattia è maggiore in relazione all’età. Dal 5 al 15% dei casi la malattia di Alzheimer è familiare; metà di questi casi ha un esordio precoce (presenile < 65 anni) ed è tipicamente correlata a specifiche mutazioni genetiche.
Almeno 5 diversi loci genici, localizzati sui cromosomi 1, 12, 14, 19 e 21, influenzano l’insorgenza e la progressione della malattia di Alzheimer.
Le mutazioni nei geni per le proteine precorritrici dell’amiloide, della presenilina I e della presenilina II, possono portare a forme autosomiche dominanti della malattia di Alzheimer, in genere con esordio precoce. Ciò vuol dire che le mutazioni in questi geni possono alterare la processazione della proteina precursore dell’amiloide, conducendo alla deposizione e all’aggregazione di fibrille di beta-amiloide, che è il principale componente delle placche neuritiche. Si determinano pertanto anomalie delle strutture cerebrali, ad esempio processi assonici o dendritici degenerati, astrociti e cellule gliali intorno a un nucleo di amiloide. La beta-amiloide può anche alterare le attività di chinasi e fosfatasi che possono determinare la compromissione della proteina tau (sostanza che stabilizza i microtubuli) e portare alla formazione di grovigli neurofibrillari.
Per quanto riguarda il meccanismo d’azione, si ipotizza che il progressivo accumulo di beta-amiloide nel cervello possa determinare una crescente sofferenza delle cellule nervose con perdita di sinapsi e ridotta produzione di neurotrasmettitori. Tutti questi effetti contribuiscono ai sintomi clinici di questa malattia.
Vi sono anche dei fattori genetici, tra cui alcuni alleli (coppie di porzioni del gene) dell’apo-lipoproteina (apo) E. Infatti, le proteine apo E a loro volta influenzano il deposito di beta-amiloide, l’integrità del citoscheletro e l’efficacia della riparazione neuronale. Il rischio per la malattia di Alzheimer è sostanzialmente più alto nei soggetti con due alleli epsilon-4 e può essere minore nei soggetti che presentano l’allele epsilon-2.
SINTOMATOLOGIA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
La manifestazione iniziale più frequente è la perdita di memoria a breve termine (per esempio porre domande ripetitive, spesso perdere gli oggetti o dimenticare gli appuntamenti), che ritroviamo tuttavia in tutte le forme di demenza.
Ed ecco altri deficit cognitivi, presenti anch’essi in altre forme di demenza, che tendono a coinvolgere molteplici funzioni:
- Difficoltà nella gestione di attività complesse e scarsa capacità di giudizio (ad esempio non essere in grado di riconoscere il valore del denaro, prendere decisioni finanziarie non adeguate),
- Anomalie del linguaggio (ad esempio difficoltà a trovare parole adeguate, errori di pronuncia e/o di scrittura),
- Anomalie visuo-spaziale (ad esempio incapacità di riconoscere volti o oggetti comuni)
La malattia di Alzheimer in genere progredisce gradualmente, ma possono verificarsi anche lunghi periodi di stabilizzazione. Sono altresì frequenti turbe comportamentali, come vagabondaggio, episodi di agitazione psicomotoria, idee di essere controllati. Generalmente, l’evoluzione della malattia di Alzheimer è simile ad altre forme di demenza. Tuttavia, nonostante le caratteristiche cliniche, gli esami di laboratorio specifici e le indagini di imaging, la diagnosi definitiva di malattia di Alzheimer può essere confermata solo dalla valutazione istologica del tessuto cerebrale.
I CRITERI DIAGNOSTICI
Di seguito i criteri diagnostici per effettuare una diagnosi di Malattia di Alzheimer.
Da un punto di vista clinico:
- Demenza definita clinicamente e documentata da un esame strutturato dello stato mentale, ad esempio Mini Mental Test
- Deficit in 2 o più aree cognitive
- Esordio graduale anche di mesi ad anni, con progressivo peggioramento della memoria e delle altre funzioni cognitive, in età superiore ai 40 anni, in genere dopo i 65 anni
- Assenza di altre patologie sistemiche o cerebrali, come neoplasie o patologie cerebrovascolari che possano essere alla base di una progressiva compromissione della memoria e delle altre funzioni cognitive
In alcuni casi possono essere concomitanti altre patologie, anche di natura cerebrovascolare.
Da un punto di vista di esami strumentali o biochimici a conferma della diagnosi:
- Depositi di beta-amiloide nel cervello, rilevati mediante PET (positron emission tomography) con tracciante radioattivo che si lega specificamente alle placche di beta-amiloide (p. es., composto B di Pittsburgh [PiB], Florbetapir 18F)
- Elevati livelli di proteina tau nel liquido cerebrospinale o depositi di tau nel cervello rilevati dall’imaging PET. usando un tracciante radioattivo che si lega specificamente alla tau
- Atrofia locale nei lobi temporali mediali, basali, laterali e nella corteccia parietale mediale, rilevata dalla RM
Questi reperti aumentano la probabilità che la demenza sia dovuta a malattia di Alzheimer, anche se l’uso di biomarcatori liquorali non sempre dà risultati attendibili.
Gli esami di laboratorio (p. es., ormone stimolante la tiroide –TSH-, livelli di vitamina B12) e gli studi di neuroimaging (RM o TC) sono eseguiti per verificare la presenza di altre cause di demenza trattabili. Se i reperti clinici suggeriscono un’altra patologia sottostante (p. es. HIV, sifilide), sono indicati gli esami per tali patologie.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Distinguere la malattia di Alzheimer da forme di demenza vascolare può essere in alcuni casi difficile. Il punteggio ischemico modificato di Hachinski viene talvolta utilizzato per aiutare a distinguere la demenza vascolare (principalmente la demenza multi-infartuale) dalla malattia di Alzheimer. Meglio in ogni caso effettuare una RM encefalo.
Allucinazioni visive ben strutturate con segni e sintomi parkinsoniani, fluttuazioni dello stato cognitivo e relativa conservazione della memoria a breve termine fanno pensare invece a una demenza con corpi di Levy.
VALUTAZIONE INIZIALE IN SOGGETTI CON SOSPETTA DEMENZA
Effettuare un’anamnesi accurata della persona da valutare, possibilmente con l’aiuto di un familiare o di una persona che conosce bene il paziente;
- sia per conoscere il periodo di esordio della malattia
- sia per le caratteristiche della sintomatologia, in particolare della memoria e di eventuali turbe comportamentali.
E’ opportuno in ogni caso:
- effettuare un esame obiettivo generale e neurologico
- richiedere esami del sangue e test cognitivi, tra cui il Mini Mental Test o test neuropsicologici più complessi.
- valutare eventuali effetti negativi di farmaci ansiolitici o tranquillanti maggiori
- individuare eventuali cause reversibili, come la depressione del tono dell’umore
Se si sospetta una malattia di Alzheimer occorre prendere in considerazione:
- Esami come FDG-PET (tomografia a emissione di fluoro-desossiglucosio-positroni-TC) o SPECT di perfusione (TC a emissione di fotone singolo).
- Esame del liquido cerebrospinale per ricerca della proteina tau o della beta-amiloide 1-42 o 1-40. (Chetelat et al. 2020)
TRATTAMENTO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
- Misure di sicurezza e terapia di sostegno
- Eventualmente farmaci inibitori della colinesterasi
Le misure di sicurezza e di supporto per la malattia di Alzheimer sono le stesse che vengono utilizzate per altre forme di demenze. Per esempio, l’ambiente deve essere luminoso, gioioso e familiare, e deve essere destinato a rafforzare l’orientamento (p. es., posizionamento di grandi orologi e calendari in camera). Devono essere attuate misure per garantire la sicurezza del paziente anche all’interno della sua abitazione.
È importante anche fornire assistenza al personale sanitario o agli stessi familiari, che possono essere sottoposti a uno stress considerevole. Infermieri e assistenti sociali possono istruire chi accudisce i pazienti su come soddisfare le necessità di questi ultimi. Le figure professionali o gli stessi familiari devono individuare eventuali sintomi precoci di stress e di esaurimento psicofisico della persona che assiste il paziente e, qualora fosse necessario, indicare servizi di supporto.
Alcuni farmaci proposti per trattare la malattia di Alzheimer
Gli inibitori delle colinesterasi migliorano modicamente le funzioni cognitive e la memoria in alcuni pazienti. Tra i più utilizzati: donepezil, lrivastigmina e galantamina.
Il donepezil è tra i farmaci di prima scelta perché può essere somministrato 1 volta/die ed è ben tollerato. La dose raccomandata è di 5 mg per via orale 1 volta/die per 4-6 settimane, da aumentare a 10 mg 1 volta/die. Il donepezil 23 mg 1 volta/die può essere più efficace della dose tradizionale da 10 mg 1 volta/die per la malattia di Alzheimer da moderata a grave. Il trattamento deve essere continuato se il miglioramento funzionale è evidente per diversi mesi, altrimenti deve essere interrotto. I più frequenti eventi avversi sono gastrointestinali (p. es., nausea, diarrea). Raramente possono presentarsi senso di sbandamento e aritmie cardiache. Tali effetti avversi possono essere minimizzati incrementando il dosaggio gradualmente (vedi tabella Farmaci per la malattia di Alzheimer).
La memantina, un antagonista del recettore N-metil-d-aspartato, sembra migliorare la capacità cognitiva e funzionale dei pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a grave. La dose è di 5 mg/die per via orale 1 volta/die, che viene progressivamente incrementata a 10 mg per via orale 2 volte/die in circa 4 settimane. Per i pazienti con insufficienza renale, la dose deve essere ridotta o il farmaco deve essere evitato. La memantina può essere utilizzata insieme a un inibitore della colinesterasi.
L’aducanumab, un anticorpo monoclonale IgG1 umano anti-amiloide specifico per gli oligomeri beta-amiloidi implicati nella fisiopatologia della malattia di Alzheimer, è disponibile come infusione mensile per trattare la malattia di Alzheimer. Anche se alcuni esperti ritengono che l’aducanumab sia il primo efficace trattamento modificante la malattia per la malattia di Alzheimer, la sua approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) è stata controversa. L’approvazione accelerata del farmaco si basava principalmente sulla sua capacità di ridurre le placche di beta-amiloide cerebrale nei pazienti in studi clinici. Ma la prova del beneficio clinico (rallentamento della progressione della malattia) in questi studi era incoerente; pertanto, sono necessari ulteriori studi per confermare il beneficio clinico. (Alexander et al 2021)
Le terapie con anticorpi monoclonali anti-amiloide, tra cui il su citato aducanumab, hanno anche effetti avversi, tra cui anomalie di imaging correlate all’amiloide (amyloid-related imaging abnormalities, ARIA), che consistono in cambiamenti del segnale RM di edema cerebrale (ARIA-E) e/o microemorragia ed emosiderosi superficiale (ARIA-H). Allo studio altri farmaci.
L’efficacia di alte dosi di vitamina E (1000 UI per via orale 1 volta/die o 2 volte/die), selegilina, FANS, estratti di ginkgo biloba, e statine non è chiara. La terapia con estrogeni non sembra utile nella prevenzione o per il trattamento e può essere dannosa.
Si stanno studiando altri farmaci. L’efficacia di alte dosi di vitamina E (1000 UI per via orale 1 volta/die o 2 volte/die), selegilina, FANS, estratti di ginkgo biloba, e statine non è chiara. La terapia con estrogeni non sembra utile nella prevenzione o per il trattamento e può essere dannosa.
Prognosi della malattia di Alzheimer
Nonostante il grado di progressione vari nei pazienti con malattia di Alzheimer, il declino cognitivo è inevitabile. La sopravvivenza media dal momento della diagnosi è di 7 anni, ma su tale aspetto non c’è concordanza. La sopravvivenza media dal momento in cui i pazienti non riescono più a camminare è di circa 6 mesi.
Prevenzione della malattia di Alzheimer
Preliminari studi osservazionali suggeriscono che il rischio di malattia di Alzheimer può essere ridotto dai seguenti accorgimenti:
- Continuare a svolgere attività mentali impegnative (p. es., apprendimento di nuove competenze, fare le parole crociate), anche in età avanzata
- Effettuare esercizio fisico regolare
- Controllare l’ipertensione arteriosa se presente
- Abbassare i livelli di colesterolo
- Consumare una dieta ricca di acidi grassi omega-3 e povera di grassi saturi
- Bere alcol in quantità modeste
Tuttavia, non ci sono prove convincenti che le persone che non bevono alcolici debbano iniziare a bere per prevenire la malattia di Alzheimer. Una volta che la demenza si è sviluppata, viene normalmente raccomandato di astenersi dal consumo di alcol in quanto l’alcol può peggiorare i sintomi della demenza.
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