In bilico sui margini di un profondo cratere si può osservare quanto avvelena il baratro dove potrebbe precipitare mezzo continente di un Paese che deve la sua stessa vita all’emigrazione italiana, europea, ispanica, africana, asiatica, di cristiani, ebrei, musulmani, ed è un caleidoscopio di etnie che non si sono mai liberate del razzismo post schiavitù, della prosopopea di luogo della democrazia mondiale, di egemonia per potenza economica e militare. Voci di dentro ed esterne confliggono in un’aspra, violenta contrapposizione, schierate sul campo in assetto di guerriglia e non è detto che firmino la pace il giorno successivo all’esito del voto destinato a condizionare il futuro degli Stati Uniti, a provocare effetti collaterali per gran parte dell’umanità. Sul fondo all’abisso assiste allo scontro di wrestling psicofisico il popolo degli zombies soggiogati dalla convinzione di dover affidare il loro vissuto al presunto “uomo forte al comando”. Sull’orlo del precipizio percepisce la conseguenza possibile della tragedia l’America sana, combattiva, ma incapace di sventare il pericolo di ritrovarsi preda di un essere disumano, corrotto, processato per reati gravi, violento, predatore denunciato da vittime di sessismo, razzista seriale, che alla vigilia del voto per eleggere il presidente, incita la marmaglia peggiore di seguaci a spegnere il dissenso sparando ai giornalisti e ancor prima di conoscere l’esito delle elezioni minaccia di replicare la contestazione di un voto sfavorevole (assalto al parlamento), si associa all’endorsement della destra italiana e di Paesi sovranisti della Comunità nel lamentare che l’Europa deruba gli Usa, che i democratici sono corrotti, che vogliono rubare le elezioni ai repubblicani e minaccia la guerra commerciale contro la Ue.
Sull’altro fronte della competizione che vive di reciproche ingiurie, così simili ai beceri dibattiti dei talkshow italiani, il popolo degli oppositori del trumpismo sono consapevoli dell’infruttuosa ricerca di un leader capace di rappresentare l’anima democratica, progressista degli americani, guidata da quattro anni dal ‘malandato’ inquilino della Casa Bianca: assistono sgomenti alla surreale contraddizione di un presidente che finge di ammonire il criminale Netanjau e foraggia i produttori americani di armi, senza mai interrompere la fornitura a Israele. E comunque, stupisce, sconforta il rush del prevoto, il testa a testa, la probabile sciagura di un secondo mandato per il tycoon, che in un contesto di normale amministrazione della magistratura, di un Paese culturalmente, politicamente avveduto, sarebbe confinato in un angolo buio della Pennyslvania invisibile, recluso sociale. Da domani il mondo saprà, ma già ora è possibile emettere una sentenza tranchant sul lodato protagonismo internazionale usurpato degli Stati Uniti.
Ps. Monsignor Della Casa, autore del ‘Galateo’, gli esperti di ‘bon ton’, uomini e donne ‘normali’ non credono ai loro occhi. Il rozzo Trump, senza freni, percorre la dirittura d’arrivo a colpi di volgarità e minacce. Spera di tagliare il traguardo della seconda elezione alla presidenza degli Usa sostenuto dal peggio dell’americanismo. Ne fa le spese la repubblicana Liz Cheney, che rivela di votare per la Harris, il tycoon diffonde in mezza America una valanga di notizie false e attore di un teatrino delle marionette, di comizi all’insegna della volgarità, non lesina gesti indecenti. Nel Milwaukie lamenta che l’asta del microfono è bassa, lo impugna e mima con scandaloso realismo il gesto del sesso orale, dondolando la testa su e giù. Commenta (sic): “Mi sto facendo il culo con questo stupido microfono”.
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