MARIATERESA DI LASCIA, LA POLITICA COME LOTTA E AMORE

La scrittrice di Rocchetta Sant’Antonio a trent’anni dalla scomparsa

 

“ (…) e non avercela troppo con me. Io, come tutti, ho fatto solo quello che potevo. Di più non ho potuto. Ti bacio. Mariateresa”.

Provoca un nodo alla gola questa lettera di Mariateresa Di Lascia al padre, datata 20 novembre 1992. Forse l’ultima, di sicuro la più intensa e importante: appassionata e diretta (“Caro papà, non credere che non sappia che sei molto dispiaciuto per l’assetto complessivo della mia vita”, è l’esordio), e carica di tensione affettiva com’era nel carattere della “strega” di Rocchetta Sant’Antonio, come amava definirla Marco Pannella, suo mèntore nel Partito Radicale dove l’autrice di Passaggio in ombra militò con fervore dal ’75, appena ventunenne, fino a diventarne vicesegretaria e, nell’87, deputata; e decisamente realista, anche sulle vicende del suo partito (“Pannella va alla grande, ma tutti gli altri non esistono”, confida al padre), pur conservando un ingenuo ottimismo sull’uscita del suo romanzo, che invece Adelphi bocciò, su consiglio di un editor prestigioso come Pontiggia, e Feltrinelli pubblicherà solo postumo, nel ’95, aggiudicandosi il Premio Strega (un nome, un destino, chiosa Sergio D’Elia) e uno straordinario successo di critica e pubblico.

Mariateresa Di Lascia ci ha lasciato il 10 settembre del ‘94, a soli quarant’anni, e a posteriori quella lettera al padre assume il senso struggente di un bilancio a cuore aperto di una vita intensissima, spesa senza risparmio di sé al servizio degli altri: quasi un testamento morale, lucidissimo e commovente nella sua professione di umiltà e di amore filiale.

La lettera, concessa all’editore da Francesco Di Lascia, fratello di Mariateresa, è uno dei testi inediti che corredano il corpus dei discorsi politici e dei racconti della scrittrice e militante radicale, pubblicato dalle edizioni dell’asino di Roma in un volume a cura di Antonella Soldo: Un vuoto dove passa ogni cosa. Interventi, articoli, lettere, racconti, con prefazione di Goffredo Fofi, l’introduzione della curatrice (dirigente dei Radicali Italiani e dell’associazione “Luca Coscioni”) e gli interventi di Marco Pannella e Sergio D’Elia, che della scrittrice è stato compagno ed è oggi erede e custode delle sue idealità.

Il libro di Antonella Soldo. Sopra, Mariateresa Di Lascia

Strutturato in due parti (i testi politici, dall’archivio di Radio Radicale e del PR, e cinque racconti, due dei quali inediti, donati da D’Elia), il libro ha il merito di restituirci in tutta la sua ricchezza, attraverso la voce dell’autrice, l’universo umano e intellettuale della Di Lascia, nel quale politica e letteratura erano unite da un legame indissolubile e proficuo: “La politica come la facciamo noi – soleva ripetere ai compagni radicali – è il nostro vivere”.

La politica come poesia, per riprendere la definizione di Antonella Soldo, laddove il linguaggio recupera il senso originario e più autentico di “poiesis”: creazione, produzione, modellamento, nascita del nuovo. In quest’ottica l’autrice pugliese riesce ad esprimere la sua vis maieutica – tesa a far emergere nel prossimo la conoscenza di sé per scuoterlo dalla pigrizia e dal conformismo – che tutti concordano nel definire come tratto distintivo del suo carattere, persino aggressivo in quella inesauribile ricerca del confronto a cui, ad esempio, D’Elia deve molto della sua “seconda vita” all’insegna della nonviolenza.

La vita di Mariateresa Di Lascia, assai breve (è morta a soli 40 anni) è stata intensa, agitata, partecipata, colma, di quella pienezza che piace a me. Una pienezza fatta di impegno, di consapevolezza, di rapporti personali, lotte soprattutto impopolari. Di opinioni non facili da sostenere. Di politica e di scrittura”, ha scritto Roberto Saviano.

Forse, grazie a questo libro, si ha finalmente coscienza di quanto abbiamo perso con la prematura scomparsa di questa “tenerissima e indemoniata compagna” (così la definisce Pannella nel suo partecipe ricordo), come osserva con rimpianto Fofi, assimilandola a due grandi scrittrici napoletane contemporanee, Fabrizia Ramondino ed Elena Ferrante, e mettendone in risalto il lucido anticonformismo delle idee su temi delicati come la malattia, l’aborto, la droga, la religione. È lo stesso coraggio visionario che la spingerà a fondare l’Associazione pazienti omeopatici, a Napoli (dove frequentava Medicina, dopo il diploma al liceo classico di Lacedonia) e a realizzare quello che Pannella definisce il suo “capolavoro politico”: l’associazione “Nessuno tocchi Caino”, per l’abolizione della pena capitale nel mondo.

Questa inesausta e generosissima militanza umanitaria, unita ad un vissuto personale e familiare carico di passioni e di conflitti interiori, costituirà l’humus rigoglioso e magmatico della sua creatività letteraria, dal romanzo-capolavoro ai racconti, connotata dalla capacità di edificare su una base realistica e spesso autobiografica una costruzione narrativa originale e coinvolgente, ricca di pathos ed epiloghi spiazzanti: “l’immaginazione agisce piuttosto come principio di unità – e dunque di verità – per la frammentazione desolata del reale. Ed è esattamente questa ricerca di un principio di unità, questo tentativo continuo di comprensione l’asse che mette insieme la scrittura e la militanza”, scrive nella densa e partecipe introduzione Antonella Soldo.

Da questa ricerca deriva l’intima coerenza che unisce tutti i racconti della Di Lascia, nei quali la realtà del vissuto familiare e del contesto sociale è rivissuta e trasfigurata attraverso il profondo scandaglio psicologico interiore – un continuo flusso di coscienza, con esiti talvolta liberatori, comunque traumatici – delle protagoniste, tutte donne come in Passaggio in ombra, che hanno alle spalle un retaggio di sofferenze, rinunce e incomprensioni, soprattutto da parte dell’uomo a cui hanno votato l’esistenza in nome di un amore che sognavano totalizzante e perenne.

L’unico coraggio che bisogna avere nella vita è quello di amare!”, scrive nel romanzo, e a questo impeto non si sottrae nessuna delle protagoniste dei racconti: dalla seducente Ines (La moglie), tradita ma tutt’altro che rassegnata a perdere l’amore del marito, alla madre addolorata di Veglia; dalla moglie cinquantenne che nello struggente Compleanno (il suo primo racconto, dal quale il regista Sandro Dionisio ha tratto un cortometraggio interpretato da Giovanna Mezzogiorno) traccia un bilancio della propria vita nel giorno in cui scopre di dover morire, alla Elsa che in Emilio vive un amore tormentato e cerebrale; fino a Filomena, la protagonista di uno dei due racconti inediti, tra i più convincenti e maggiormente permeati di quegli echi meridiani che sottendono l’intera opera narrativa della Di Lascia: La casa nuova, dove risuona l’eco dell’atavico retaggio classista e maschilista, parzialmente spezzato dal fenomeno (non meno traumatico) dell’emigrazione interna, e di quella mala educaciòn familiare e religiosa, fonte di sordi conflitti personali, che fino accomunava gli ambienti ristretti del paese e della famiglia, senz’altro rimedio se non lo scandalo o la fuga.

Aveva ragione, Mariateresa, in quella lettera al padre: ha fatto solo quel che ha potuto, nel tempo terreno che le è toccato. Ma questo libro dimostra, una volta di più, che ha potuto tantissimo, con il suo caparbio amore per il prossimo. E ci consegna un’eredità politica e culturale sempre più attuale e preziosa.


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