ANCORA GAZA ANCORA VIOLENZA

Mentre in Italia si continua a dibattere da settimane sul caso Boccia/Sangiuliano, ben altri problemi investono lo scenario internazionale. Primo tra tutti gli scenari delle guerre in atto a cominciare da quella in Ucraina ed a Gaza. Poi le innumerevoli altre guerre dimenticate. Quelle sempre in corso tra paesi poveri dove gli americani non hanno motivo né interesse a mettere lingua. Le guerre, si sa, fanno notizia solo se hanno ricadute sui cosiddetti paesi civili, gli USA in primis. Accade ciò a Gaza ed a Kiev. La prima per il peso della comunità ebraica sull’economia americana e per la mole di dollari che spostano, a cominciare da quelli da investire nelle prossime elezioni di novembre. La seconda per gli interessi strategica della NATO che continua ad espandersi intorno alla Russia di Putin. Ma entrambe queste guerre forniscono lucrose commesse ai mercanti di armi e munizioni. Mercato vitale per l’industria bellica che droga e spinge in alto il PIL dei paesi produttori, non solo in USA. Sono questi i principali motivi per cui le guerre non si fermano e continueranno a spargere sangue innocente per molto tempo ancora. Come del resto fanno tutte le guerre, anche se si ammantano di buone motivazioni e di sovrastrutture ideali per tentare di nascondere i più aberranti interessi economici o militari.

Ma quando sono stati ritrovati, all’interno di un tunnel a Gaza, i corpi di sei ostaggi del 7 ottobre, il popolo di Israele ha cominciato a protestare in massa. Abbiamo assistito a una serie di manifestazioni e di scioperi generali contro il premier Netanyahu, accusato di non voler salvare i prigionieri di Hamas per non dover trattare una tregua militare.

Perché? Forse perché indispettito dalle pressioni dei familiari dei ragazzi sequestrati in quella incursione terrorista, forse perché consapevole che quelle famiglie non lo voteranno mai, o forse per una sua testardaggine nel voler continuare questa guerra di annientamento contro il popolo palestinese. O ancora più banalmente (o sarebbe meglio dire più realisticamente), perché a una tregua seguirebbero probabilmente nuove elezioni, e quindi la fine della emergenza politica con la probabile cacciata del premier più odiato degli ultimi decenni. Persino un suo ministro della Difesa lo ha pubblicamente esortato a chiudere un accordo per il cessate il fuoco e finalmente riportare a casa gli ostaggi ancora in mani palestinesi.

Uno sciopero generale molto partecipato è stato proclamato dalla principale organizzazione sindacale dello Stato ebraico, minando ulteriormente la credibilità del capo del governo. Questa valutazione è stata sottolineata e rilanciata anche da molti media locali, che hanno ricordato che questo sciopero sia stato esplicitamente richiesto dal Forum delle Famiglie. La manifestazione ha registrato una massiccia partecipazione di cittadini che hanno inteso protestare contro il governo dopo il ritrovamento dei corpi dei sei ostaggi uccisi a Rafah.

Le guerre in Israele e in Ucraina, quest’ultima altro grande cruccio americano sullo scenario dei conflitti che ancora affliggono il mondo, e di cui gli USA sono assoluti protagonisti … ancorché responsabili.

I dati forniti dal Ministero della Sanità della striscia di Gaza documentano ad oggi oltre 41mila morti tra i civili palestinesi, tra i quali una percentuale veramente insignificante pare costituita da militanti di Hamas coinvolti negli scontri. Sono in massima parte donne, bambini, anziani, portatori di handicap. Civili, insomma, continuamente spostati con la forza da una parte all’altra del territorio senza un vero motivo, se non per la minaccia di essere uccisi nel corso di devastanti raid aerei che hanno trasformato la terra di Palestina in un ammasso informe di macerie, che hanno colpito e distrutto scuole e ospedali innescando terribili epidemie e aumentato esponenzialmente miseria e fame. L’esercito israeliano ha persino impedito alle organizzazioni umanitarie di portare aiuti umanitari sanitari e alimentari. Insomma, è stata messa in atto una lucida strategia di annientamento contro un’intera popolazione. E non si può parlare di genocidio. Questo termine è consentito, pena l’aggressione personale anche da noi solo se le vittime sono, o sono state, ebree. Ma ora i coloni di Israele, supportati dall’esercito, hanno iniziato una sistematica aggressione per occupare anche i territori del nord in Cisgiordania, quelli assegnati ai palestinesi. E pochi contestano questa palese violazione delle decisioni ONU. Se ce ne fosse stato bisogno sarebbe questa l’ennesima prova della cinica decisione dei vertici militari (e non solo) di annientare il popolo palestinese e di radere al suolo i loro residui insediamenti, per consentire l’occupazione di quei territori e insediare nuovi e vecchi coloni. Si è deciso, insomma, di sterminare la popolazione palestinese che abita ancora quei luoghi ben prima della decisione della comunità internazionale di fondare lo Stato di Israele. Eppure, gli ebrei avevano subito per primi una simile azione di annientamento. Il tutto a riprova perenne della labilità della memoria storica, che cancella tutto, persino le peggiori atrocità. Non si deve parlare di genocidio o di pulizia etnica? Troviamo allora un nuovo termine per definire queste brutali azioni che mirano solo a costringere intere popolazioni a lasciare le loro case, le terre e gli affetti, intimando loro di andare via e spingendoli a chiedere asilo ai paesi arabi confinanti. Anche se sanno bene che questi non intendono accogliergli.

Ma, nonostante gli accorati appelli di papa Francesco, la guerra non si ferma anzi si tenta di esportata in Cisgiordania, in Libano e in Iran, con ripetuti raid aerei o con azioni di vera e propria guerriglia. E poco importa se tra le vittime capitano anche giornalisti o ostaggi di passaporto americano. L’esercito infatti ha ucciso (anche) un’attivista turco americana, come hanno confermato entrambi i governi. Il portavoce dell’esercito di Israele ha dichiarato in un comunicato ufficiale che i suoi soldati «… hanno aperto il fuoco per difendersi da lanci di sassi – aggiungendo che – sarà aperta un’inchiesta interna».

Si, un’inchiesta interna, proprio come è stato annunciato tante altre volte ma guardandosi bene dall’aprire alcunché. Peccato che molti testimoni dicono che ci sono stati solo lanci di sassi contro i soldati che al momento degli spari erano già finiti da tempo.

 


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