I perché del razzi-fascismo

La musica, con le sue origini e le sue espressioni elitarie, è ‘nera’. Lo sport, gli sport, di squadra, individuali, il calcio, il basket, l’atletica, sono ‘neri’. Nei millenni condizioni climatiche, evolutive della specie umana hanno mutato il nostro colore della pelle e continuano a farlo. Tra qualche decennio, lo pronostica la scienza, non ci saranno più uomini e donne con i capelli rossi e molto probabilmente aumenteranno i ‘semineri’ per effetto della promiscuità affettiva e sessuale tra bianchi e neri. Anche questa prospettiva colpevolizza il razzismo.

Una delle motivazioni che relegano l’Italia al 17esimo posto nella classifica dei Paesi meno stimati dagli stranieri è il disprezzo per uomini e donne di comunità multietniche che impediscono il default della nostra economia, che accettano il lavoro rifiutato dagli italiani  frenano il deficit di nascite-decessi, scongiurano fiscalmente il pericolo di non garantire la copertura finanziaria delle pensioni, assistono gli anziani, altrimenti abbandonati a se stessi  e in condizione di schiavitù sono quasi le uniche braccia dell’agricoltura. Il fenomeno della discriminazione razzista nasce da un substrato di incultura, i suoi estremi li rappresentano la feccia del tifo ultra, il neofascismo, la stortura sociale, la follia discriminante dei bianchi, biondi e con gli occhi azzurri. Questa Italia è cieca e sorda: responsabile di ignoranza subculturale, alimentata da grossolane falsità, oscura la realtà di un Paese inquinato totalmente dalle mafie, dalla corruzione, della strage di morti sul lavoro, di femminicidi, bullismo, mini gang. Una delle indagini sulla responsabilità dei reati commessi attesta che omicidi e reati di mafia, estorsione, usura, truffa, sono ‘specialità’ degli italiani. Agli stranieri si addebita il reato di furti nelle abitazioni, a conferma del mancato inserimento dei migranti nel tessuto sociale e lavorativo che li confina in un ghetto di miseria. Comodo assolvere l’Italia del crimine imputandolo all’immigrazione per legittimare silenzi assordanti, omertosi su femminicidi e delitti di mafia.

Si deve al giornalista Berlizzi, di Repubblica, l’ultimo episodio di ignobile discriminazione razziale. Riferisce le parole sprezzanti di un ‘collega’, non a caso amico di Vannacci, del direttore di un giornale toscano, più volte destinatario di provvedimenti dell’Ordine. Invoca l’uso di un idrante per lavare un ragazzo immigrato senza casa, che dorme in strada e per combattere il caldo ha indosso solo un pantalone: “Eccolo, direttamente dalla tribù dei pedi sudici, ancor più che neri…” Cosa hanno in comune razzismo e deficit generale di tutela dei deboli, dei diseredati? Quel ragazzo, lontano da suo Paese, dalla famiglia, in fine di un’odissea disumana per sottrarsi a violenze, miseria, guerre della sua terra, è un essere umano abbandonato come gli italiani senza dimora che dormono tra cartoni e poveri stracci. Non sono biondi, non hanno occhi azzurri. Sono vittime, come quel ragazzo nero dai piedi sporchi.


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