Alla fine dell’800, alla Napoli capitale del Sud, il mondo riconosceva 108 primati in tutti i campii della scienza, della cultura, dell’economia. Il nord e non solo il leghismo d’epoca, hanno scippati tutti, o quasi. Resistono la cultura e la grande bellezza della natura, ma…una cosa è certa: l’invasione leghista di Briatore nella mitica unicità partenopea della pizza, patrimonio napoletano della gastronomia mondiale, potrebbe limitare lo slancio generoso di popolo, della ‘pizza in sospeso’, pagata (anche grazie a costi contenuti) per chi non può permettersela. È tesi campanilista? Per niente ed ecco perché. Briatore, si dà i voti, alti, e mente. Afferma che la sua ‘margherita’ sarà la migliore e finge di dimenticare che l’Oscar dei pizzaioli premia Napoli da sempre, che nessuna variante supera la collaudatissima ricetta della tradizione. Ma poi, la margherita’ napoletana costa tra 4.50 e3 6.50 euro. Quella dell’‘invasore’ 17 euro e per i babbei disposti a pagare il triplo c’è un’alternativa. Briatore annuncia: “Ne proporremo una di lusso, la ‘Pata Negra Joselito iberica’” (al ’modico costo di 65 euro!!!).
Bambini come ronzini. Ai beceri insulti del razzista Vannacci, che definisce anormali gli omosessuali e oltraggia l’italianissima Paola Egonu, per la sua pelle nera, sopraggiunge l’ultima nefandezza. A proposito di ‘ius soli’ e ‘ius scholae’, rivolge ai bambini dei migranti nati e cresciuti in Italia il termine dispregiativo di ‘ronzini’ e precisa: “Se nasci in scuderia non è detto che sei un cavallo”, sopraffina argomentazione che da sola assolverebbe automaticamente Bersani che lo ha etichettato con il termine, certo molto insolente con cui si definisce altrimenti lo scroto. Un commento pescato da Internet: “Il guaio è che Vannacci è nato da genitori italiani…sennò col cappero che sarebbe italiano”. Insomma, l’amico di Salvini ha querelato Bersani, che rifiuta ogni escamotage di difesa preventiva e annuncia di sottoporsi al processo per dimostrare che l’ex generale usa insulti molto più gravi del suo. “Capiremo finalmente se qualcuno, magari con le stellette, può definire anormale un altro essere umano senza per questo insultarlo”
Ministra del turismo in conflitto di interessi, Daniela Santanchè esordisce con una scellerata, milionaria campagna di promozione e propone al mondo la criticatissima ‘caricatura’ della Venere di Botticelli. Si dimette? Macché: ella gode della protezione di una cara amica, di “Yo soy Giorgia”, che raschiato il fondo del barile, alla ricerca di partner di governo si è ritrovata con un esecutivo di incapaci, autori di gaffe e clamorosi errori (Lollobrigida, Sangiuliano, Valditara, Donzelli, Delmastro e appunto Santanché), di indagati per reati d’ogni genere. La premier, logorroica comiziante, ma ‘silenziosa’ quando è chiamata a solidarietà con le sue pecore nere, assolve tutti. Con il trascorrere del tempo, la cronaca politica sembra dimenticare il caso Santanchè, che solo ora riceve nuova attenzione. La ‘povera ministra’, ai guai storici di pluri indagata per la gestione non trasparente delle sue attività imprenditoriali, deve affrontare una profonda crisi finanziaria della sua società, di Athena Pubblicità, che perde clienti e denaro. Per tamponare la crisi offre perfino la sua abitazione milanese in garanzia per ottenere liquidità, ma la situazione continua e peggiorare ed è difficile capire, impegnata a evitare il peggio per i suoi affari, come possa gestire l’importante ministero del turismo. Anzi di capisce: è amica della premier e resta in sella nell’esecutivo di governo peggiore di sempre.
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