Come a Gaza.
Dopo un raid di missili e bombe.
Così succede alle ‘Vele’ di Scampia, nell’inferno del Bronx partenopeo.
E’ un bollettino di guerra.
2 morti, 2 bimbe in fin di vita al Santobono, numerosi feriti, 800 sfollati dopo il crollo del ballatoio al terzo piano della Vela Celeste.
La Procura di Napoli ha aperto un’inchiesta per omicidio, crollo e disastro colposo (colposo?).
Un inferno ‘inaugurato’ quasi mezzo secolo fa, nel 1975, e che ancora oggi detta la sua legge di degrado da settimo mondo, di sangue, di macerie.
Non siamo nel pieno della foresta equatoriale, ma nel cuore martoriato di una delle prime (sic) città italiane.
Con un sindaco, Gaetano Manfredi, quasi ogni giorno sugli scudi mediatici per le sue grandi performance: giorni fa a brindare con Giorgia Meloni e Raffaele Fitto per il ‘luminoso’ futuro di Bagnoli; e poche ore fa ‘benemerito’ per il salario minimo che il Comune di Napoli ha appena varato con i suoi fornitori.
Cin cin.
Ma sentiamo subito, per restare al primo cittadino, le prime parole a botta calda sulla più che annunciata tragedia di Scampia.
PARLA ‘O SINDACO
“Siamo profondamente addolorati per quanto è successo questa notte. Ho seguito personalmente le operazioni di soccorso e insieme al prefetto mi sono recato nella notte sul luogo del crollo per verificare la situazione e mostrare vicinanza alla popolazione”.
Mostrare…?
E poi: “Ora è il momento del dolore per chi è rimasto vittima e della speranza per chi è rimasto ferito come i bambini. Ma proprio per loro voglio anche subito ribadire che il nostro progetto di riqualificazione delle Vele non si ferma e l’impegno per Scampia sarà ancora più forte di prima”.
Fa eco il prefetto Michele Di Bari: “Per gli evacuati stiamo già organizzando tutto ciò che è necessario per l’eventuale alloggio di queste persone. Nel frattempo abbiamo attivato tutte le misure sociali necessarie. Stamattina abbiamo portato la colazione a tutti e abbiamo previsto anche il pranzo”.
Ottimo e abbondante.
Ed aggiunge: “Ci sono 73 disabili in questo immobile e stiamo seguendo l’evoluzione di questo fenomeno”. Boh.
Quindi: “Questa tragedia ha sconvolto tutta la città di Napoli ed esprimo la mia vicinanza alle famiglie di queste due vittime e gli auguri di pronta guarigione a coloro che sono ancora ricoverati”.
Protocollo rispettato a puntino.
Sapete qual è, in soldoni, il ‘Progetto’ che sta portando avanti Palazzo San Giacomo, storica sede del municipio napoletano? Quello previsto dal ‘Piano Periferie’ e finanziato con 18 milioni di euro, eredità della giunta precedente guidata dal sindaco ‘arancione’ Luigi de Magistris.
Per intenderci, ai prezzi correnti dell’odierno calcio-mercato, con 18 milioni a stento si compra il cartellino di un giocatore di levatura medio-bassa, commissioni e ingaggio esclusi.
Una cifra risibile, quindi, per dare un minimo di credibilità ad un ‘Progetto’ che sulla carta (ma solo sulla carta, di tutta evidenza, un vero insulto per gli abitanti) dovrebbe restituire vivibilità all’intero quartiere, consentire l’abbattimento di due Vele e la riqualificazione della terza, la ora famigerata ‘Celeste’.
In gergo tecnico si parla di ‘rigenerazione’, che inizia con il cosiddetto ‘stripping’, una sorta di ‘demolizione mirata’, vale a dire l’eliminazione di alcune parti ritenute superflue o addirittura pericolose, come garage, cantine e porticati.
Questioni di carattere tecnico-ingegneristico che il sindaco Manfredi conosce perfettamente: essendo un ingegnere di prestigio, avendo ricoperto per anni il ruolo di Rettore all’Università Federico II di Napoli (non senza qualche grattacapo giudiziario), guidato addirittura la Conferenza Nazionale dei Rettori, ed effettuato opere di collaudo nel dopo terremoto a L’Aquila (anche stavolta non senza rogne giudiziarie al seguito). Chi meglio di lui, dunque, può conoscere i problemi statici e di sicurezza che caratterizzano quelle maledette Vele?
E pensare che la ‘Celeste’ – oggi epicentro del dramma – doveva essere l’unica superstite delle 7: non solo per le abitazioni dei residenti, ma anche per ospitare (come fa) gli uffici amministrativi della ‘Città Metropolitana’ e perfino un ramo della Facoltà di Medicina.
A questo punto la domanda sorge spontanea: quale ragione al mondo mai giustifica la ‘sopravvivenza’ della settima Vela? In quale clima di sicurezza mai potranno vivere non solo gli abitanti, ma anche gli studenti di medicina e gli impiegati della ‘Città Metropolitana’?
Perché non effettuare immediatamente una perizia che significa la tutela dell’incolumità di tanta gente? E poi decidere per il suo abbattimento?
Tutte cose che super Manfredi, of course, sa molto bene.
Ma ecco una breve story delle Vele di Scampia.
LA VELE DIRTY STORY
Vennero realizzate tra il 1967 e il 1975 con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, il feudo per decenni della DC (ma certo non solo) che comunque assicurò qualche forma di sviluppo per le aree del Sud.
Certo non finanziando il progetto delle Vele: che venne affidato al compasso di una archistardell’epoca, Francesco (detto Franz) Di Salvo. Il quale, in quelle Opere (le Vele, appunto) potè esprimere – come sottolinea Wikipedia – tutta la sua “poetica architettonica”. In precedenza aveva ideato il Rione Cesare Battisti a Poggioreale, a un passo (guarda caso) dal carcere.
L’artista – forse deviando un po’ dal seminato – a quanto pare si era ispirato sostanzialmente all’Existenzminimun tedesco: lo dice la parola, l’esistenza ridotta all’osso, al minimo vitale, abitazioni da pochi metri quadrati per nucleo familiare, tutto il resto dedicato a spazi abitativi comuni, dove “la collettività s’integrava e socializzava”. E quindi erano previsti ampi spazi esterni ed interni, soprattutto per i bambini, sale ricreative, sale teatro e via di questo passo.
Un Eden.
Solo che, sempre in soldoni, è stata messa in pratica solo la prima metà del programma: le case di pochi metri quadrati, come una prigione, o se preferite un ‘mini lager’, alla tedesca appunto; e niente ampi spazi per socializzare meglio.
Secondo non pochi, nella onirica visione griffata Di Salvo, c’era anche un tocco del mitico Le Corbusier, con le sue ‘unités d’habitation’; e perfino del giapponese Kenzo Tange, per via delle sue strutture ‘a cavalletto’.
E proprio l’archistar nipponica in quegli stessi anni progettava un altro ‘monstrum’ (poco prodigioso, però) del mattone a Napoli: il gigantesco Centro Direzionale che oggi ospita una sfilza di uffici da novanta, dalla Procura agli uffici della Regione Campania passando per la Camera di Commercio e una serie di banche.
Peccato che il ‘terreno’ previsto per la nascita del gigante non fosse proprio il più idoneo: visto che ‘sotto’ scorre il fiume Sebeto, e quindi la ‘staticità’ non è certo delle migliori…
Da un horror progettuale all’altro eccoci nella stupenda però martoriata area flegrea, ad occidente.
Dove nel 1983 venne progettata (da un’altra archistar dell’epoca, Uberto Siola, per anni preside di Architettura e big del PCI migliorista) e realizzata in un baleno la Pozzuoli bis, ossia il quartiere di Monteruscello: proprio sull’emergenza del bradisima, che negli ultimi mesi è tornato prepotentemente alla ribalta.
Un’emergenza, però, all’epoca taroccata: nel senso che vennero manipolati ‘scientificamente’ non pochi dati per poter realizzare il maxi insediamento con procedure di ‘somma urgenza’, bypassando quindi regole & controlli e dando il via a quella prassi dei subappalti selvaggi, a catena o a cascata se preferite, di cui solo da alcuni anni si parla come una ‘emergenza’ (questa sì reale, non taroccata) a livello nazionale.
Una vera Tangentopoli ante litteram, quella per i maxi appalti di Monteruscello, su cui la ‘Voce’puntò subito i riflettori fin dai primi suoi numeri, a metà del 1984. E attorno al tavolo degli appalti si realizzò (come contemporaneamente per le opere del post-terremoto 1980 e poi sarà ad inizio anni ’90 con il maxi business dell’Alta Velocità) una intesa perfetta tra politici, imprenditori di riferimento e big della camorra: una connection saldissima.
E a nulla valse un’inchiesta che nel giro di pochi mesi tre coraggiosi sostituti della procura di Napoli (Luigi Gay, Paolo Mancuso e Franco Roberti) riuscirono miracolosamente a realizzare: perché l’allora procuratore capo, Alfredo Sant’Elia, legatissimo al pluriministro DC (grande sponsor politico del business) Enzo Scotti, avocò a sé l’inchiesta e l’archiviò. Capito?
Sul ‘Caso Monteruscello’ all’epoca la Voce pubblicò decine d’inchieste. La prima venne addirittura evidenziata da Gay in un’intervista sull’affaire rilasciata a ‘Repubblica Napoli’ ad agosto 1985. E ne abbiamo abbondantemente scritto anche in ‘Grazie Sisma – Dieci anni di potere e terremoto’, uscito nel 1990.
Ma finiamo l’horror tour tornando alle Vele.
Per ricordare che proprio in quell’inferno, nel suo Bronx metropolitano, sono ambientati tanti racconti firmati da Peppe Lanzetta. Il quale li ha pubblicati in esclusiva sulla Voce per tutti i primi anni ’90.
Veri capolavori.
Le ultime notizie, però, spettano di diritto al super sindaco Manfredi.
Che un mese fa ha stappato lo champagne a Bagnoli, in occasione del grande annuncio per l’inizio degli epici lavori – dopo 30 anni e passa di niente, anzi di malagestione, affari & disastri ambientali – che dovranno riportare l’antico splendore in quell’area incantata. Grazie a 1 miliardo 200 milioni e rotti: su cui è subito divampata una polemica al calor bianco fra il tris d’assi Meloni-Fitto-Manfredi da un lato e dall’altro il governatore della Campania Vincenzo De Luca.
Per dettagliare la situazione ecco un pezzo ‘anticipatore’ messo in rete dalla Voce il 7 maggio 2024,
BAGNOLI / GAETANO MANFREDI E RAFFAELE FITTO: IL MAXI INCIUCIO MILIARDARIO
Manfredi sugli scudi, nelle news, anche un paio di giorni fa.
Quando la giunta comunale di Napoli ha varato un ‘atto di indirizzo’ “finalizzato – come esultano a Palazzo San Giacomo – alla tutela della retribuzione minima oraria salariale nei contratti del Comune di Napoli” stipulati per l’affidamento di lavori, forniture e servizi. “Un ulteriore tassello – viene aggiunto – nel quadro delle iniziative volute dal sindaco Manfredi per offrire maggiori tutele a tutti i lavoratori”.
In soldoni, anche stavolta, si tratta dei famosi 9 euro di salario minimo, come tra i grossi comuni, fino ad oggi, ha fatto solo Firenze.
Napoli, quindi, vice caput Italiae!
“Scordammoce ‘o passato”, allora. Voltiamo pagina e dimentichiamo quella brutta storia della condanna ad una pesante multa inflitta dalla Corte dei Conti meno di un anno a Manfredi. Story totalmente silenziata e oscurata dai media nazionali e locali: la Voce ne ha scritto il 14 dicembre 2023,
GAETANO MANFREDI / IL SINDACO DI NAPOLI CONDANNATO A 210 MILA EURO DALLA CORTE DEI CONTI
Vi proponiamo, infine, altri due nostri pezzi.
Uno molto recente, pubblicato il 9 aprile 2024,
NAPOLI, GAETANO MANFREDI / IL SINDACO DELLA VERGOGNA
E l’altro di cinque anni fa che sintetizza le drammatiche storie partenopee dell’ultimo ventennio e rammenta un libro ‘storico’ pubblicato dalla Voce e firmato da Jacopo Fo. Ecco quindi, del 9 maggio 2019, “
NAPOLI NEL SANGUE / DAL GOVERNO IERVOLINO ALLE “PRIMAVERE” DI DE MAGISTRIS
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