RIFORME IDENTITARIE

Il premierato e l’autonomia differenziata sono certamente le riforme identitarie della destra italiana. Sono il frutto avvelenato dello scellerato patto di potere tra i partiti di governo ai danni degli interessi del paese, anzi del meridione. È stato possibile grazie al tradimento della estrema destra e all’egoismo leghista.

Ma se il premierato stravolge il patto fondativo della nostra Repubblica, l’autonomia differenziata drenerà ulteriori risorse destinate al sud per trasferirle alle regioni padane più ricche. Perché? È sin troppo ovvio che, trattenendo una parte di quelle tasse, che fino ad oggi erano servite per alimentare un fondo di perequazione, si assottiglieranno i finanziamenti per lo sviluppo del sud che offrono meno servizi e prestazioni inefficienti.

La riforma del premierato si rivela anche come un’operazione rischiosa, perché stravolge il nostro sistema istituzionale e mina l’equilibrio tra i poteri, trasformando la nostra democrazia da parlamentare, quale è, in democrazia presidenziale e quindi verticistica in cui il presidente del consiglio sarebbe eletto direttamente e non più indicato dal Quirinale sulla base dei risultati elettorali. Il prossimo passaggio sarà l’attacco diretto ai poteri del Presidente della Repubblica? È l’ultimo baluardo previsto dalla Costituzione, svincolato da ogni legame di appartenenza può garantire a tutti libera espressione e rappresentanza politica.

Ciò può funzionare solo in uno Stato nel quale chi vince non “comanda” – come vorrebbe Salvini – bensì “governa”, e dovrebbe farlo con tutte le garanzie democratiche previste dalla costituzione. E non è la prima volta che si tenta di modificarla. Più volte sono stati avviati procedimenti di revisione costituzionale, alcuni persino andati a buon fine. Vediamoli.

Tra le revisioni riuscite ricordiamo: quella dell’art. 27; la proibizione della pena di morte; la modifica dell’art. 51; la introduzione dell’uguaglianza di genere; la introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio e, più recentemente, la tutela costituzionale dell’ambiente e la riduzione del numero dei parlamentari.

Ma altre modifiche hanno prodotto esiti disastrosi, basti ricordare la Riforma del Titolo V e la confusione organizzativa prodotta da un’assistenza sanitaria regionalizzata. Su questa scia possiamo solo immaginare cosa produrrà una più larga autonomia regionale su temi come salari, lavoro, istruzione e trasporti. Ci aspettiamo un immane caos.

Tentativi più radicali di riformare la Costituzione sono stati tentati da Berlusconi nel 2006 e da Renzi del 2016. Entrambi sono stati clamorosamente bocciati dai referendum popolari indetti dopo la loro approvazione in Parlamento.

Gli elettori in quelle occasioni hanno votato compattamente contro i tentativi di modificare l’impianto costituzionale, lanciando alla politica un messaggio forte e chiaro: la Costituzione non si tocca.

Ma bisogna anche ricordare che quel testo non è imbalsamato, né si può considerare un sacrilegio provare a modificarlo, ma questo a condizione che si rispetti la volontà popolare e che si garantiscano gli equilibri tra poteri dello Stato. Cambiare la Costituzione dunque si può fare, come d’altronde si è già fatto più volte.

Ma cosa molto diversa sarebbe invece una riforma come quella sul premierato, almeno così come è stata approvata alla Camera sotto l’egida della ministra Casellati e della premier Meloni. Questo testo così com’è risulta inaccettabile nella forma e nel merito. E questo non per una questione di principio, ma perché è un’operazione rischiosa per la stessa vita democratica. A partire dal suo fondamento ‘culturale’, ossia da quella supposta equivalenza tra parlamentarismo e inciucismo. Se è vero, infatti, che i parlamentari eleggono il Capo dello Stato che poi indica il premier, che dovrà a sua volta ricevere la fiducia dalle camere. È vero! si potrà correre il rischio che i parlamentari tradiscano il mandato degli elettori e facciano accordi di potere sottobanco, ma non si può dare per scontata questa convinzione e su questa base ispirare una riforma. Si è trattato di fare propria una sorta di ‘sfiducia antropologica’ verso la rettitudine dei parlamentari e, diciamolo, nei confronti dell’intelligenza degli italiani e della loro capacità di votare. A proposito di questa riforma il Governo ha ufficialmente dichiarato di voler “...valorizzare il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione; favorire la coesione degli schieramenti elettorali; evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare”. Tradotto in volgare il Governo non si fida dei suoi cittadini e vuole mantenere il controllo sui parlamentari eletti. E non finisce qui. Questa riforma impegna il Governo anche a varare una nuova legge elettorale che, riprendendo i contenuti della vecchia “legge truffa” di scelbiana memoria, introduca un corposo premio di maggioranza che dovrebbe assicurare, a chi ottiene anche un solo voto in più, il 55% degli eletti. Questi parlamentari però non avrebbero il potere di sfiduciare un premier eletto direttamente dal popolo, né uno dei suoi ministri, né di bocciare leggi di emanazione governativa. Praticamente tutte o quasi. Pena lo scioglimento delle Camere e il ritorno a casa di tutti. Un vero e proprio ricatto se si pensa che lo scioglimento delle camere sarebbe deciso solo dal premier e che il Quirinale non potrebbe far altro che prenderne atto.

Con questa riforma può accadere che meno del 40 per cento degli aventi diritto al voto potrebbe imporre un proprio premier all’intero Paese, senza che né il Presidente della Repubblica né, tantomeno, il Parlamento possano avere voce in capitolo. Il capo del Governo, così eletto, potrebbe scegliersi da solo i ministri, gli assetti governativi e nominare tutte le cariche ‘politiche’ degli organi di garanzia, dal CSM alla Corte costituzionale, alle varie Authority. Avremmo così un uomo (o una donna) solo al comando che potrebbero scegliere in solitudine anche la governance della RAI, impossessandosi così dell’intera comunicazione istituzionale e far passare a maggioranza le peggiori leggi liberticide. È già accaduto quando questo governo ha approvato norme repressive sui blocchi stradali e quando ha provato a limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Tutto ciò potrebbe fare una minoranza se dovesse risultare maggioranza in Parlamento. Potrebbe eleggere da sola, e senza contrappesi, ciò che vuole persino un suo Presidente della Repubblica.

Un recente comunicato stampa del Consiglio dei ministri, afferma che la legge sul premierato sarebbe ispirata a “… un criterio ‘minimale’ di modifica della Costituzione vigente...”.

Si, dicono proprio così! Arrivano a definire ‘minimale’ un intervento demolitivo di tale portata.

 


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