VIVA LA FRANCIA / IMPARIAMO DA LORO ALMENO IL CORAGGIO CIVILE

Viva la Francia.

Pur fra tante contraddizioni, interrogativi e dubbi sul prossimo futuro, in una sola settimana il popolo transalpino e mostrato tutta la sua forza, la sua determinazione e ha evitato quell’apocalittico baratro NERO in cui rischiava di precipitare in modo irreparabile il Paese. Andando in massa alle urne, sfiorando uno storico 70 per cento (mentre da noi ormai siamo abbondantemente sotto il 50).

Jean Luc Mélenchon. Sopra, festeggiamenti per la vittoria delle sinistre

In pochi giorni, nel giro di poche ore i cittadini dal primo (vedi il caso della stella pallonara Kylian Mbappé) all’ultimo hanno visto il mostro in faccia e lo hanno evitato, assestandogli un ceffone che più sonoro non si può; soprattutto se si tiene conto dei comportamenti da vero guappo e colletto inamidato dell’astro nascente (e subito crollato) Jordan Bardellà, il ‘figlioccio’ di Marine Le Pen, alla sua ennesima sconfitta, da guinness dei primati ‘neri’, è proprio il caso di dire.

E a pochi minuti dai primi exit pool ha ancora osato gonfiare il petto, il bellimbusto, parlando di ‘inizio del cammino per arrivare al potere’ e di ‘vittoria del disonore’ (e sulla scia così ha titolato il meloniano ‘Secolo d’Italia’), accusando soprattutto Jean-Luc Mélenchon di voler portare la Francia alla rovina con i suoi programmi ‘incendiari’.

 

 

FASCISTI VAFFANCULO

Dopo tanto can can, dunque, gli ultrafascisti di ‘Rassemblement National’ sono addirittura terzi (143 seggi), alle spalle del macroniano ‘Ensamble pour la Republique’ (163 seggi) dato per morto dopo il primo turno, e del vittorioso ‘Nouveau Front Populaire’ (182 seggi) creato, appunto, in meno di una settimana, eppure in grado di raccogliere i maggiori consensi.

Raphael Glucksmann

Il Fronte, a sua volta, è composto da 4 ‘pezzi’: ‘France Insoumise’ guidata da Mélenchon e prima forza; poi i Socialisti di Raphael Glucksmann (che però siede nel Parlamento europeo), quindi i Verdi (che strizzano l’occhiolino al centro), infine i Comunisti.

Il piano di desistenza ha funzionato.

Ma una più attenta analisi mostra che a rispettare il ‘patto’ sono stati molto più i rappresentati del Fronte popolare (con il 75 per cento), rispetto alle truppe guidate da Emmanuel Macron (solo il 50 per cento).

Un chiaro segnale per la formazione del nuovo governo, che è comunque un vero rebus.

Ora cominciano i ‘giochi’ e si aprono le danze. E una Francia alle prese con giganteschi problemi economici e sociali, molto peggiorati negli ultimi anni.

Proprio per questo, a botta caldissima, Mélenchon è partito all’attacco, chiedendo che sia il Fronte Popolare a governare e piantando subito alcuni imprescindibili paletti: il salario minimo garantito(da portare almeno a 1.600 euro), l’abrogazione della riforma delle pensioni tanto contestata dai francesi scesi in piazza per mesi (l’età pensionabile deve scendere a 60 anni), poi blocco dei prezzi e aiuti agli immigrati, moltissimi dei quali vivono in condizioni indecorose nelle tante banlieu.

Un minimo sindacale che potrà essere attuato, secondo Mélenchon, anche via decreti, per abbreviare i tempi e dare subito segnali concreti ai cittadini e non i soliti bla bla.

Ma il mazzo delle carte è nelle mani del ‘redivivo’ capo dell’Eliseo Macron, che si è dimostrato un vero giocatore di poker. E la ‘partita’ per arrivare alla formazione del governo già ne promette di tutti i colori. Stando ad alcuni ‘spifferi’ dal Palazzo, l’idea cullata dal presidente è quella di fare a fette il Fronte, afferrandone due, certo i Verdi ma soprattutto i Socialisti (a loro volta spaccati a metà), e scartando il detestato (reciprocamente) Mélenchon e, of course, i Comunisti. A destra, punta a racimolare voti da gollisti e liberali.

Una maggioranza comunque precaria, traballante, che può cadere al minimo sussulto; come del resto gli ultimi due esecutivi, anche quello ancora in funzione, al timone il dimissionario Gabriel Attal.

Certo è che, per governare, il nuovo esecutivo (c’è chi parla anche di un governo di ‘tecnici’, all’italiana, stile Draghi o Monti; oppure di un esecutivo alla tedesca, una ‘Grosse Koalition’) dovrà non inimicarsi del tutto ‘France Insoumise’ di Mélenchon che ha ottenuto grandi consensi: proprio per questo, un paio di punti almeno (pensioni e/o salari minimi, un ‘calmiere’ sui prezzi e un pò di fondi per le periferie) dovranno essere ‘digeriti’.

Francois Hollande

Ma da quegli ‘spifferi’ esce soprattutto un nome, il vero coniglio nel cilindro di Macron. Si tratta dell’ex capo dell’Eliseo Francois Hollande, tornato alla ribalta politica e eletto alla grande nel dipartimento de La Correze, in Nuova Aquitania.

Potrà essere in grado, l’ex presidente che andava all’Eliseo in bicicletta, di comporre un mosaico tanto delicato quanto complesso?

Staremo presto a vedere.

Per saperne di più sul voto francese, vi proponiamo due letture.

Un pezzo pubblicato dall’autorevole ‘Le Monde’ e titolato  Législatives 2024: les scènarios possibles pour un gouvernement après le second tour

E quello messo in rete da ‘Contropiano’,  Francia: il fronte repubblicano ha tenuto, l’Assemblea Nazionale senza maggioranza

 

 

ANDIAMO A LEZIONE DI FRANCESE

Una lezione, quella francese, che dovrebbe servire non poco ai ‘pezzi’ della nostra sinistra in cerca di un’identità (e soprattutto di un’unità) perduta e inseguita come una chimera, campo più o meno largo che sia.

Dovrebbero prendere come esempio il pur controverso Mélenchon, che messi da parte inutili tatticismi, ha ben chiaro un programma minimo ispirato a quella giustizia sociale che deve essere il costante punto di riferimento.

Prendiamo i salari minimi: da noi se ne parla da mesi e mesi, la destra cestina subito l’ipotesi ma la ‘sinistra’ (sic) non ha la forza per imporlo, né imporre un serrato confronto sul tema.

Peggio che andar di notte con le pensioni, dove da noi siamo alla preistoria: qui le minime sociali sono alla penosa quota di 530 euro, il doppio in Francia, dove pure protestano perché vogliono abbassare di due anni l’età pensionabile.

E siamo ai primordi anche sul fronte dei diritti – minimi, di pura sopravvivenza – per gli immigrati: costretti a morire nei campi con le braccia mozzate perché se ne cominci appena – piano piano, senza disturbare ‘padroncini’ e caporali’ – a parlare.

Vergogniamoci.

Ma almeno scopiazziamo quel che fa la sinistra a un passo da noi, in Francia, se non siamo neanche capaci di proporre un nostro modello sociale originale meno iniquo e pure assassino (vedi anche qui le liste d’attesa per la sanità solo sbandierate dagli sfascisti al governo).

In soldoni: quando trovano il tempo, lorsignori della ‘sinistra’, per ragionare, spremere le fumanti meningi, incontrare i cittadini, le associazioni, e poi mettersi intorno ad un tavolo per giorni e giorni finchè non viene partorito un programma minimo comune improntato – come non ci stancheremo mai di ripetere – su quei basilari cardini di giustizia sociale?

Cosa si aspetta?

Il diluvio?

O che sia definitivamente troppo tardi perché nel frattempo la situazione sociale ed economica è diventata del tutto ingestibile e irrecuperabile?

 

 

DA LONDRA A WASHINTGTON. VIA UE

Difficilmente farà qualcosa del genere, di pur lontana ‘sinistra’, il nuovo primo ministro britannico, il signor nessuno che ha appena varcato la soglia di Downing street e agevolmente formato il suo gabinetto (nomen omen) ministeriale: sì, perché si tratta, pari pari, di quel ‘governo ombra’ così in voga a Londra, subito diventato team governativo.

Elementare, Watson.

Tony Blair

Meglio di un pugno nell’occhio, la vittoria dei laburisti. Ma fino a un certo punto, poi. Visto che ormai nei paesi anglosassoni (USA e Regno Unito, of course, in pole position) gli schieramenti in campo tendono a somigliarsi e confondersi: a livello sempre più basso, un ‘allineamento’ al peggio.

Tutto ciò fare sbottare il celebre regista inglese Ken Loach, vero cuor di comunista, che il nuovo capo Labour e capo governo cambierà ben poco, e che il partito si è spostato terribilmente verso destra.

Come del resto era già successo con Tony Blair, che completò il suo disastroso ‘capolavoro’ con le prove taroccate sulle armi nucleari in possesso di Saddam Hussein, la benzina finale sul fuoco di quella devastante guerra d’occupazione & distruzione.

Per saperne di più, basta leggere quanto abbiamo messo in rete un paio di giorni prima dello scontato voto britannico, e lo scientifico ‘harakiri’ dell’ormai ex premier Tory, Rishi Sunak: ossia il 3 luglio con il pezzo

REGNO UNITO AL VOTO / NESSUNO CONTRO NESSUNO, VINCE IL LABOUR

 

Poi una chicca, servita dal blog di Maurizio Blondet, nella quale si fa riferimento all’ormai onnipresente Fondo numero 1 al mondo, BlackRock, stavolta nelle vesti di king-maker: pubblicato il 5 luglio, il pezzo si intitola  UK: il ‘laburista’ è stato scelto da BlackRock

Intanto si aprono due settimane bollenti, non poco strategiche per i destini geopolitici di un Occidente sempre più allo sfascio.

Vickor Orban

Eccoci, tra poche ore, con il summit NATO di Washington. Che dovrà valutare, con estrema attenzione, quanto sta succedendo sul fronte orientale, soprattutto alla luce degli incontri del leader ungherese Vicktor Orban sbarcato prima a Mosca e poi a Pechino.

Quell’Orban che sta per battezzare il varo della sua nave di ‘Patrioti’, sulla quale ha già deciso di saltar su il capo Lega e vicepremier dell’esecutivo sfascista Matteo Salvini.

Mentre si sta esibendo nelle manovre più acrobatiche la nostra ‘Giorgia’ nazionale, che in questi mari politici sempre più tempestosi non sa letteralmente più che pesci prendere. Soprattutto in vista dell’altro maxi appuntamento della prossima settimana, per la precisione il 17 luglio, il giorno decisivo per la scelta dei nuovi (sic) vertici UE: appoggerà o no Ursula von der Leyen la premier ‘pesciarola’ (così si autodefinisce), oppure cercherà goffamente di barcamenarsi, caso mai capitombolando in acqua?

Ursula von der Leyen con Bourla

Comunque sia, sarà un vergognoso bis, quello di lady von der Leyen: invece di sedere di nuovo sulla poltrona di presidente della Commissione UE farebbe bene ad accomodarsi alla sbarra nel processo per il ‘Pfizergate’: come del resta succederà (ma siamo certi che invierà una ‘giustificazione’ per non presentarsi) al tribunale di Liegi, che a metà settembre inizierà il processo per le maxi corruzioni – collusi fino al collo von der Leyen e il Ceo di ‘Pfizer’, Albert Bourla – relative ai contratti fornitura dei vaccini (ben 71 miliardi di euro l’importo!) Comirnaty ai paesi UE.

Per una ‘rinfrescatina’ basta leggere l’ultimo pezzo messo in rete dalla ‘Voce’ il 25 giugno scorso,

UE / LA SUPER CORROTTA URSULA VON DER LEYEN VERSO IL BIS?

Ciliegina finale sulla torta, tanto per tornare nella bollente Washington, eccoci alla penosa (ma molto rischiosa per i destini di tutto il mondo) sceneggiata che vede come protagonista un Joe Biden sempre più in ginocchio sulla via delle presidenziali Usa del 4 novembre prossimo.

 

 

Le news dal Congresso Usa.

Si è appena svolta una riunione d’urgenza, convocata dal leader dem alla Camera, Haaken Jeffries, per capire gli ‘umori’ dei congressisti.

Nero. Sempre più a terra. E con un numero crescente di deputati che ‘si sfilano’, 4 nella sola giornata di ieri.

Media scatenati. “Panico fra i dem”, titola un suo servizio la CNN. “Siamo spacciati”, è il gingle che torna con maggior frequenza.

Kamala Harris

Un reporter del ‘New York Times’, in un suo pezzo, sostiene di aver parlato con una cinquantina di congressisti pronti a chiedergli di “fare un passo indietro”, “dare le dimissioni”.

Secondo il ‘Washington Post’, “per ogni 10 che vogliono esca, solo 1 vuole che resti”.

Salgono le quotazioni della vice, Kamala Harris. “Se scende in campo lei stravinciamo contro Trump”, prevede il deputato californiano Adam Schiff. “E molti la pensano come me”, assicura.

Incredibile, comunque, soprattutto tra i media e i ‘politologi’ (sic) di casa nostra, come quasi tutti oggi ‘cadano dal pero’.

Per dirne solo una: come mai si sono ‘persi’ la ‘storica’ ordinanza firmata ad inizio 2024 dal procuratore speciale Robert Hur che metteva drammaticamente nero su bianco, in modo ufficiale (perché si trattava, appunto, di un provvedimento giudiziario), circa le più che precarie condizioni mentali di Joe Biden?

Sulla sua impossibilità di affrontare un processo e meno che meno, of course, di guidare la prima potenza al mondo?

Ciechi, ignorati o cosa i nostri ‘opinionisti’?

Per qualche ragguaglio in più, vi consigliamo la lettura del nostro ultimo reportage, pubblicato il 28 giugno,

JOE BIDEN / ORA LA SCENEGGIATA USA-DEM PER IL CAMBIO DI CAVALLO…


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