Uno spiraglio.
Una breccia nel muro.
Per rafforzare la Verità storica. Rinsaldare la Memoria. E, forse un domani, per arrivare a qualcosa di concreto in un’aula di giustizia: quella Giustizia fino ad oggi calpestata.
Ci riferiamo alla strage di via D’Amelio in cui vennero trucidati Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta.
Le news arrivano dal tribunale di Caltanissetta, dove solo pochi mesi è finito in beata prescrizione il processo per il depistaggio a carico ‘solo’ di tre poliziotti: mandanti sempre, regolarmente ‘a volto coperto’.
Ma in procura è partita un’inchiesta da non poco sulla pista ‘Mafia-Appalti’ che sta facendo registrare alcune notizie da novanta, rimbalzate – senza peraltro troppo clamore – tra i media: perché tra gli indagati ‘eccellenti’ c’è un ex big in toga della procura di Palermo, per anni protagonista nel pool antimafia, una star del calibro di Gioacchino Natoli. Sul cui capo piovono accuse da brividi: favoreggiamento a Cosa nostra (proprio per insabbiare ‘Mafia-Appalti‘) e calunnia.
Poche ora fa Natoli non si è presentato davanti ai pm, avvalendosi della facoltà di non rispondere. “Parlerà – assicura il suo legale, Fabrizio Biondo – in un successivo interrogatorio nel quale fornirà ogni utile chiarimento”.
Ma rimettiamo insieme le tessere del complesso mosaico.
LA PISTA PER “CAPIRE” VIA D’AMELIO
La ‘Voce’ ha scritto e messo in rete decine e decine di inchieste e reportage non solo sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, ma soprattutto su quella pista ‘Mafia-Appalti’ che, secondo noi, è stato il vero, autentico, inequivoco movente del tritolo, con particolare riferimento a via D’Amelio.
Mosca bianca nel deserto giudiziario e politico (ma anche mediatico), un nostro grande amico e colonna storica della Voce, Ferdinando Imposimato: che nel 1996 firmò, come senatore indipendente del Pds, una profetica relazione di minoranza, alla ‘Commissione Antimafia’, in cui puntava i riflettori sul vero movente di quel tritolo: la pista Mafia-Appalti, un corposo dossier di 890 pagine elaborato dal ROS dei carabinieri su preciso input di Giovanni Falcone e sulla quale lavorò per mesi insieme a Paolo Borsellino.
Il piatto forte sul fronte degli appalti, dei lavori arcimiliardari che vedevano allo stesso tavolo della spartizione mafiosi, politici e imprenditori di riferimento, era quello dell’Alta Velocità, il nascente TAV che, partito da una trentina di miliardi di vecchie lire, sfonderà il muro dei 150 miliardi in pochi anni e poi senza più alcun freno.
E’ del 1999 l’altrettanto profetico ‘Corruzione ad Alta Velocità’ firmato da Imposimato e Sandro Provvisionato, il grande giornalista d’inchiesta che ha animato per anni il sito ‘Misteri d’Italia’, un mito per i reporter investigativi.
E in quel libro c’era già tutto: la chiave per decodificare le stragi, il vero movente, con tanto di nomi, cognomi e indirizzi, come si suol dire.
Dopo ci torneremo di nuovo, ma ora basti solo questa ‘bomba’, mai ‘raccolta’ dai media di regime.
Nel volume si parlava già dell’insabbiamento a proposito delle due inchieste sul TAV, avviate dalle procure di Roma e Milano e che portano al dossier Mafia-Appalti.
E sapete chi fu il Grande Insabbiatore?
Il pm di punta del pool meneghino, Antonio Di Pietro: che riuscì acrobaticamente ad avocare a sé l’inchiesta romana, potendo contare su un super teste, il finanziere-faccendiere Chicchi Pacini Battaglia, “l’Uomo a un passo da Dio” che alla fine non raccontò un bel niente, come oggi succede con i super pentiti di camorra Francesco Schiavone e qualche anno fa Pasquale Scotti.
Ma torniamo a ‘bomba’. Ossia all’inchiesta della procura nissena che tira in ballo Natoli e riporta a galla le imprese del procuratore capo di Palermo dell’epoca, un altro Maxi Insabbiatore-Depistatore,Pietro Giammanco, ora definito dai pm “l’istigatore di un disegno criminoso”.
Non da poco.
Ecco, in rapidissima sintesi, la ‘ratio’ dell’inchiesta.
LAMA ANCORA AFFILATA
Focus sulle prime indagini di cui pochissimi si ricordano: quelle avviate nel 1990 alla procura di Massa Carrara da un pm, Augusto Lama, che aveva da tempo puntato i riflettori su alcune strane manovre societarie nel settore delle cave e del marmo. In sostanza, documentò in che modo la mafia stava mettendo le mani su alcune big del settore, come la Calcestruzzi che faceva capo al gruppo Ferruzzi.
Una scoperta da novanta; soprattutto perché faceva il paio con quanto Falcone stava tirando fuori a Palermo: ricordate la frase che pronunciò nel 1989, quando il titolo Ferruzzi venne per la prima vota quotato a piazza Affari? “La Mafia va in Borsa!”.
Lama ordina una serie di intercettazioni, lavora sodo, effettua in modo scrupoloso verifiche societarie e scambi azionari.
Ma poi, improvvisamente, la ‘cosa’ gli sfugge di mano. Ha toccato quei ‘fili’…
Per questo scatta la macchina del fango, l’inchiesta gli viene scippata e addirittura subisce un procedimento disciplinare, proprio per aver messo in dubbio l’onore di una grande impresa!
Ecco cosa racconta oggi a ‘La Nazione’. “Ho sempre ritenuto, e continuo a ritenere, che una maggiore attenzione agli esiti delle nostre indagini apuane e, soprattutto, al rapporto del ROS dei carabinieri, ed un congiunto approfondimento investigativo, che io non riuscii a condurre, avrebbero consentito di avviare l’inchiesta sulla questione ‘Mafia Appalti’ con qualche anno di anticipo”.
Mesi fa, a gennaio 2024, Lama è stato ascoltato davanti alla ‘Commissione Antimafia’ e ha così ricostruito quei fatti: “Io ancora oggi non so dire esattamente che fine abbia fatto il fascicolo relativo all’indagine che ho svolto sulla presenza della mafia corleonese alle cave di Carrara. Solo dopo aver presentato diverse richieste scritte ho appreso dalla procura di Massa che le carte sono finite a Lucca e poi a Roma. (…) Se ho potuto scrivere la relazione che vi presento è stato grazie all’aiuto del maresciallo della guardia di finanza e allora mio braccio destro, Piero Angeloni, e dell’avvocato Fabio Trizzino”.
Anche Trizzino, storico legale della famiglia Borsellino e marito di Lucia, è stato ascoltato dalla ‘Commissione Antimafia’, dettagliando le non poche ‘anomalie’ in tutta la Mafia-Appalti story. E circa il ruolo svolto da parecchi magistrati palermitani dell’epoca, Natoli compreso.
E proprio sulla scrivania di Natoli finirono le carte bollenti di Massa Carrara. A partire dai nomi dei pezzi da novanta coinvolti: star delle imprese come la Calcestruzzi, appunto, e i suoi vertici, da Raul Gardini a Lorenzo Panzavolta a Giovanni Bini; i politici, per fare un solo nome Ernesto Di Fresco; fino ai boss (Totò Riina) e agli imprenditori collegati, come i fratelli Antonio e Salvatore Buscemi, o il palermitano Francesco Bonura.
I J’ACCUSE DEI PM NISSENI
Per farla breve, secondo gli inquirenti di Caltanissetta, l’inchiesta avviata da Lama sulle pesantissime infiltrazioni mafiose nella star dell’imprenditoria, finisce non si sa come sulla scrivania di Natoli, alla procura di Palermo.
E Natoli, a questo punto – sono le parole dei pm – avrebbe “finto di indagare, disponendo intercettazioni lampo e del tutto parziali”. Evitando con cura, ad esempio, che saltassero fuori “conversazioni particolarmente rilevanti dalle quali sarebbe emerso il legame tra l’ex politico Ernesto Di Fresco e l’imprenditore mafioso Francesco Bonura”. E poi: “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, Natoli avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”.
Uno scenario da brividi, degno del più classico degli insabbiamenti, quello descritto dai pm della procura di Caltanissetta e del quale, quando deciderà, dovrà rispondere punto per punto Natoli nel corso dell’interrogatorio.
Staremo a vedere. Sapendo bene – come ormai abbiamo imparato nel corso degli anni del dopo stragi – che la miracolosa prescrizione è sempre dietro l’angolo; come del resto l’altrettanto salvifica archiviazione, caso mai ‘perché il fatto non sussiste”, anche quando ci sono colossali prove a carico.
Ma sapendo altrettanto bene che da cosa può ancora nascere cosa. E che anche solo una piccola breccia nel vetro più infrangibile può causarne l’improvvisa e imprevista rottura: basta individuare il minuscolo ‘punto giusto’…
DA LAMA A LIMA
Passiamo ad un’altra storia.
Che vede come protagonista un altro giudice coraggioso ‘messo ai margini’, opportunamente ‘neutralizzato’.
Guarda caso indagava, anche lui, sugli stessi temi.
E, incredibile ma vero, aveva un cognome molto simile: Felice Lima.
Per documentare la ‘story’ facciamo ricorso all’imperdibile ‘Corruzione ad Alta Velocità’, pubblicato un quarto di secolo fa e oggi più attuale che mai.
Ecco il passaggio clou.
Anche se lungo lo riportiamo integralmente.
Vedrete, ne vale la pena.
“Tutto ha inizio nel febbraio del ’91 quanto il capitano Giuseppe De Donno, in servizio al Ros di Palermo, consegna alla magistratura del capoluogo siciliano un dossier intitolato ‘Mafia e appalti’. Nel luglio del ’91 i primi arresti. Finisce in manette un imprenditore del quale in quel momento si sottovaluta lo spessore: è Angelo Siino. (…) Con lui finiscono sotto inchiesta altri personaggi noti nel mondo degli appalti siciliani, tra cui Giuseppe Li Pera, un geometra invischiato negli affari di Cosa nostra senza però essere mafioso, rappresentante in Sicilia della Rizzani De Eccher, oltre ad altri imprenditori laziali e veneti. Dovrebbe essere questo l’avvio della tangentopoli siciliana. Così non sarà”.
“Nell’ottobre dell’anno successivo, proprio mentre i carabinieri del Ros consegnano alla magistratura un nuovo rapporto che amplia il precedente e mentre il processo Mafia-appalti è in pieno svolgimento, ecco il colpo di scena: la Procura di Catania invia a quella di Palermo un fascicolo di indagini preliminari, scaturite dalle confessioni di un imputato del processo in corso a Palermo. Si tratta di Giuseppe Li Pera che ha deciso di vuotare il sacco. La stranezza sta nel fatto che, non fidandosi – a suo dire – dei magistrati palermitani, Li Pera da cinque mesi sta parlando con lo stesso ufficiale dei carabinieri autore del rapporto ‘Mafia e appalti’, il capitano De Donno e con un sostituto procuratore di Catania, Felice Lima. Oltre a svelare il meccanismo degli appalti truccati che coinvolgono politici e mafiosi vicini ai corleonesi dell’allora ancora latitante Totò Riina (sarà arrestato il 15 gennaio 1993, proprio lo stesso giorno in cui Giancarlo Caselli assumerà la guida della procura di Palermo), Li Pera ha fatto anche il nome di cinque magistrati del capoluogo siciliano, che avrebbero avuto riunioni con gli avvocati difensori di suoi coimputati, prima ancora degli arresti, ai quali sarebbe stato consegnato da uno di loro una copia del rapporto dei Ros, per concordare una linea processuale. Lima invierà la parte delle dichiarazioni di Li Pera, contenente le accuse ai magistrati di Palermo, alla Procura di Caltanissetta”.
Così prosegue il racconto all’epoca firmato da Imposimato e Provvisionato.
“Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il funzionamento del sistema degli appalti in Sicilia, e rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi. Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, oltre a quattro sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, ritenuto un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Falcone; Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla procura di Palermo. Le confessioni di Li Pera sono del maggio ’92, ma vengono rese note nell’ottobre. Il 23 dicembre il sostituto procuratore di Catania Felice Lima viene trasferito, su sua richiesta, al tribunale civile della stessa città. Un procedimento per incompatibilità era stato avviato dal Csm”.
“Il 22 aprile del 1993 la Procura di Caltanissetta chiede al gip di archiviare l’inchiesta a carico dei cinque magistrati palermitani per manifesta infondatezza dell’accusa. Ma il clima ormai è avvelenato dentro e fuori il palazzo di giustizia di Palermo”.
“Il 2 marzo 1994 il processo Mafia Appalti – che ha visto alla sbarra solo cinque imputati – si conclude con una serie di condanne”.
“Il dato singolare è che nel 1995, cioè a distanza di tre anni da questi avvenimenti, Imposimato, occupandosi di ben altre vicende, torni ad inciampare in alcune di quelle stesse società oggetto delle attenzioni – secondo Li Pera – della Procura di Palermo. Ed è anche singolare che sulla scrivania finisca un rapporto – quello dello Sco (l’omologo del Ros per la polizia, ndr) – che, trattando dell’oggi, riguardi ancora fatti di ieri. In sostanza si afferma che nell’Alta velocità ci sono anche società, come la Calcestruzzi, accusate di essere controllate da Cosa nostra. Come se dopo indagini, rapporti, inchieste e processi nulla fosse cambiato. E il sistema degli appalti si fosse bellamente solo spostato dalla Sicilia verso nord, in Campania e in altre regioni”.
“Un’altra cosa curiosa è che quell’inchiesta contro i magistrati di Palermo, già archiviata da Caltanissetta, riemerga nel 1997. E questa volta ad opera di quello stesso capitano De Donno, autore del primo rapporto su ‘Mafia e appalti’. A fare da sfondo a questa improvvisa resurrezione di una inchiesta ormai conclusa c’è una guerra senza esclusione di colpi tra la Procura di Palermo e il Ros dei carabinieri. Ma c’è anche un possibile scenario che vedrebbe in primo piano il mai sconfitto sistema degli appalti, nel quale sarebbe maturata almeno una delle stragi che insanguinarono il 1992: quella in cui morì, 57 dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino – assassinato assieme a cinque uomini della scorta – quasi ossessionato, nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica fine, proprio da quel dossier, il dossier ‘Mafia-appalti’. Ma i sospetti vengono ancora una volta dichiarati infondati dal gip di Caltanissetta”.
Ieri, oggi e domani?
P.S. Per rileggere inchieste e reportage messi in rete dalla Voce sulle stragi, basta andare alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra home page e quindi digitare i nomi e cognomi dei personaggi che vi interessato: PAOLO BORSELLINO o GIOVANNI FALCONE, FERDINANDO IMPOSIMATO oppure SANDRO PROVVISIONATO, FABIO TRIZZINO o ANTONIO DI PIETRO, RAUL GARDINI o GIUSEPPE LI PERA e via di seguito. Buone letture: per conservare, soprattutto, la MEMORIA e non perdere quel filo di speranza in una futura giustizia…
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