Lascia la poltrona di Segretario generale della NATO il norvegese Jens Stoltenberg, che negli ultimi mesi ha più e più volte incitato alla vittoria contro il macellaio Vladimir Putin, dando il pieno ok all’Ucraina per lanciare missili in territorio russo e non disdegnando affatto il ricorso alle armi nucleari.
Da perfetto Dottor Stranamore.
Al suo posto ci sarà l’olandese Mark Rutte, che subito promette di continuare sulla stessa linea guerrafondaia, in perfetta ‘sinergia’ con la Casa Bianca, il grande ‘azionista’ dell’Alleanza Atlantica. Che andrebbe abolita, come propone da mesi il neo parlamentare europeo del PD Marco Tarquinio, che ne ha fatto – in totale solitudine – il suo credo nel corso dell’ultima campagna elettorale.
E invece a tutta birra con missili & tank, in casa NATO, che vedrà la ratifica ufficiale per la nomina del suo nuovo Segretario nel corso del summit di Washington a luglio, e l’insediamento ufficiale il 2 ottobre. Una data non scelta a caso: perché ad un mese dallo ‘strategico’ voto presidenziale Usa e a 10 anni dalla nomina di Stoltenberg.
Un mandato definito “esemplare” dal padrone a stelle e strisce, quello del norvegese, e rinnovato addirittura 4 volte, da guinness dei primati. Le ultime due proprio per il conflitto in Ucraina, e quindi per non mutare i vertici dell’Alleanza con la guerra appena iniziata, a febbraio 2022.
Ma veniamo subito al nuovo direttore d’orchestra, l’orange Rutte.
Secondo alcuni un liberal, stando ai più attenti osservatori un ultraconservatore, i cui modelli sono Margaret Thatcher e Ronald Reagan, senza peraltro disprezzare – per una lifting para progressista – Bill Clinton.
Ha avanzato la sua candidatura lo scorso novembre, ricevendo subito l’ok dalle nazioni che contano, Stati Uniti in pole position, of course, e subito a ruota Regno Unito, Francia e Germania. Giochi già fatti da tempo, quindi: battendo la concorrenza di altri due ‘cavalli’, la presidente della Commissione UE (oggi in pole per il bis, nonostante le pesantissime inchieste a carico) Ursula von der Leyen, e l’ex capo di Bankitalia e BCE Mario Draghi.
C’è stato solo da vincere alcune, peraltro ‘flebili’ resistenze di alcuni paesi dell’est, come Romania, Ungheria e Slovacchia.
Il premier di Bucarest, Klaus Iohannis, si è infatti auto-proposto come numero uno dell’Alleanza: e proprio aver ritirato la propria candidatura, giorni fa, ha convinto Budapest e Bratislava a rompere gli indugi, ricevendo comunque in tempo reale un paio di ‘favori’ non da poco.
Viktor Orban, infatti, si è fatto assicurare da Rutte che i soldati magiari non prenderanno parte alle attività militari in Ucraina; mentre il presidente slovacco, Peter Pellegrini, ha già ottenuto garanzie su una protezione ad hoc del suo spazio aereo.
57 anni, non sposato, una vita quasi monacale, Rutte ha esordito come manager ‘alla maionese’, giovane dirigente della ‘Calvè’ che faceva parte del colosso multinazionale ‘Unilever’. Vi resta sei anni, dal 1997 al 2003, quando passa ad occuparsi, sempre sotto i vessilli Unilever, di risorse umane (come responsabile) a ‘GLOMore Group BV’.
Quando lascia i business alimentari inizia il suo percorso politico, in sella al ‘Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia’, di cui diventa leader in un baleno. Dal 2002 al 2004 è segretario di Stato per i Servizi sociali e l’occupazione; nel biennio 2004-2006 per l’Istruzione, la cultura e la scienza.
Quindi il gran salto sulla poltrona di premier, nel 2010, che occupa ininterrottamente fino a pochi mesi fa. Quando, appunto, si prepara per il lancio verso la poltronissima NATO.
Per anni, come primo ministro orange, va in perfetto accordo con il Cancelliere tedesco Angela Merkel, sono sulla stessa lunghezza d’onda.
E infatti, nel suo paese, mister ‘Teflon’ (lo battezzano così perché gli scandali gli scivolano addosso proprio come sulla superficie di una pentola antiaderente) diventa presto e per anni mister ‘Austerità’, rigore, conti a posto, tagli, e ‘basta soldi a quegli italiani’.
Solo negli aiuti per l’Ucraina è di manica larga: il suo governo, infatti, ha già inviato a Kiev oltre 3 miliardi di euro e ne ha stanziati, per il solo 2024, altri 2. Tra le ultime e più apprezzate scelte, prima di lasciare la premiership, quella di inviare a Kiev i jet da combattimento F-16: una decisione “storica” secondo il grande amico Volodymyr Zelensky nel corso dell’ultima visita nei Paesi Bassi.
Proprio come il numero uno della Casa Bianca, Joe ‘Sleepy’ Biden, ha non poco gustato quella, assunta dal governo Rutte, di limitare la vendita alla Cina di semiconduttori avanzati e apparecchiature per la produzione di chip: anche a costo di svantaggiare l’economia orange e di mettere in serie difficoltà il gigante olandese nel settore, ‘ASML Holding NV’, che ha perso non pochi punti percentuali rispetto al 15 per cento del fatturato globale prima fatto segnare.
L’impegno pro Kiev mostrato nei due anni e mezzo di conflitto contro il Cremlino è stato incrollabile, e sancito dalle ultime parole griffate Rutte, in perfetta sintonia con Stoltenberg: “Non si fermerà certo all’Ucraina se non blocchiamo ora la Russia. Questa guerra è molto più grande dell’Ucraina stessa. Si tratta di salvare le nostre libertà, le nostre democrazie, di sostenere a tutti i costi lo Stato di diritto internazionale”.
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