Ci chiediamo come è possibile che ogni volta che qualche studente pacificamente la contesta lei scappa via? E lo fa senza mostrare nemmeno quel minimo di autorevolezza che le consentirebbe di rimane lì a dialogare, ad accettare anche le contestazioni, ma a tentare di comprenderne il senso e portare fino in fondo il suo ragionamento, come dovrebbe fare sempre, in occasioni come queste, un personaggio pubblico così importante, soprattutto se ha scelto di fare il mestiere del politico. Ma lei no. Non ce la fa proprio e dimostra di non reggere il ruolo un secondo in più. Era già accaduto in passato. Stesse modalità stessa reazione. La ministra Roccella, nel maggio dell’anno scorso, era stata contestata da un gruppo di donne attiviste di Non-Una-Di-Meno, al Salone del Libro di Torino, dove presentava un suo libro. Ma in quel caso, risentita, arrivò persino a sporgere denuncia contro le manifestanti, che furono anche prontamente identificate dalle forze dell’ordine. Il procedimento giudiziario che seguì, però, non diede soddisfazione alla ministra. Quel processo si concluse con una richiesta di archiviazione, motivata con queste parole “… non vi è traccia di condotte implicitamente o esplicitamente minacciose, violente o intimidatorie poste in essere dalle manifestanti” è scritto nel decreto di archiviazione, che continua perentorio “… non è stato posto in essere alcun comportamento sia pur latamente minatorio, se non intonare cori e sovrastare con la propria voce la voce dei relatori”.
L’ultima contestazione subita dalla ministra, autodefinitasi “perseguitata”, è stata quella subita a Roma agli Stati generali della natalità e si è trattato, ancora una volta, di un episodio legittimo di manifestazione di dissenso da parte di un gruppo di giovani militanti. La ministra l’ha definita una “censura”. Lo ha scritto, in un post, mentre allo stesso tempo richiedeva espliciti attestati di solidarietà risarcitoria ai segretari dei partiti di governo e di opposizione, alla stampa, agli intellettuali a cominciare da quelli di sinistra e alle stesse autorità che avevano espresso la loro vicinanza ad Antonio Scurati. Trascurando il fatto che quest’ultimo era stato effettivamente censurato dalla Rai, tra l’altro in modalità ignobili, anche a causa del tentativo di far passare quella censura come una miserabile questione di soldi. La ministra non ha tenuto conto che, per parlare di censura, occorre almeno un evidente squilibrio nella posizione di potere tra chi agisce e chi subisce l’atto censorio, o almeno che qualcuno che si trova in una posizione apicale decida di silenziare l’opinione di chi si trova in una posizione subordinata.
Ma le giovani contestatrici della ministra non potevano in alcun censurarla, tale era lo squilibrio di potere tra le parti. La ministra poteva non far altro che restare al suo posto e controllare la situazione, non avendo subito alcun danno dalla contestazione subita. Ma probabilmente ha voluto cinicamente acquisire un credito di “vassallaggio politico” dalla sua premier, potendo continuare a ricoprire liberamente il suo incarico ed a legiferare secondo il suo credo ideologico. Se tutti noi dessimo alle parole il loro giusto significato, non ci resterebbe che regalare anche alla titolare del ministero delle Pari Opportunità, della Famiglia, etc. un bel vocabolario della lingua italiana. Così anche lei capirebbe che le parole servono a definire una precisa realtà e che tutto ciò che le è accaduto è stata solo una semplice e legittima manifestazione di dissenso politico. Non si è certo trattato di una censura. Ma un po’ tutti gli esponenti di questo primo governo di destra-destra hanno dato ampia prova di essere allergici ad ogni contestazione, almeno quanto possono esserlo a fronte di manifestazioni tipiche della vita democratica, incluso il dissenso se espresso pacificamente.
Eppure, la sua storia personale è la storia di una donna che ha vissuto, la sua prima fase, lottando per difendere i diritti umani e delle donne nel primo Partito Radicale di Marco Pannella. Lo ha raccontato lei stessa nel suo libro “Una Famiglia Radicale” recentemente pubblicato da Rubettino, proprio il libro che stava presentando al salone del libro di Torino quando è stata oggetto della prima contestazione. Lei, figlia di uno dei fondatori del movimento radicale e di una accesa militante radicale, ha voluto riflettere sulla sua storia personale e sulla storia della sua famiglia. E forse è stato proprio questa considerazione a scatenare l’ira delle donne che continueranno, ne siamo certi, a contestarla ogni volta che vorrà parlare in pubblico di libertà e di diritti civili. Sembra proprio che i movimenti delle donne non intendano perdonarle quello che è apparso loro come un “tradimento ideologico”. Speriamo che continueranno a farlo sempre in modalità pacifiche, senza violenza e senza attivare alcuna azione di costrizione personale. Ma lei, ormai irreversibilmente donna di destra, continua nel suo vano tentativo di farsi passare per una vittima della libertà di espressione. Proprio lei, che aveva iniziato la sua vita politica difendendo nelle piazze le leggi promosse dai radicali sul divorzio, sull’aborto e sui diritti delle donne, non può proprio rivendicare oggi per sé un’immacolata credibilità quando si pone come alfiere dei più retrivi movimenti pro-vita e soprattutto quando contribuisce ad imporne la presenza degli antiabortisti nei consultori, dove possono incontrare donne fragili che hanno deciso di abortire e che subiscono la violenza aggiuntiva della colpevolizzazione.
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