LA SANITA’ VIOLATA

Torniamo a parlare di salute e lo faremo ancora per molto tempo, almeno finché sarà necessario difendere il nostro SSN. Oggi la battaglia è sullo stato di attuazione, che stenta, del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) nella parte della missione 6, che indica le linee guida per la transizione territoriale dell’assistenza. Rappresentava un’occasione irripetibile offerto al nostro paese dalla UE. Ma anche l’ultimo atto di un violento attacco al nostro Servizio Sanitario Nazionale. L’aggressione al servizio pubblico però era già partita fin dall’approvazione della legge istitutiva del SSN del 1978 (la 833 del 23 dicembre). Era stato un anno magico per la sanità italiana che prima ancora della 833 aveva promulgato la legge 180 (nota anche come legge Basaglia), per evitare un referendum popolare indetto per la chiusura dei manicomi. Con questa legge si voleva antagonizzare una diffusa pratica di mercificazione della salute che, con pratiche ingiuste e discriminatorie, miravano a consentire la concessione ai privati di molti servizi e prestazioni sanitarie di stretta competenza del SSN.

Ma come si è concreta questa pratica? Innanzitutto, legiferando per il blocco delle assunzioni o anche emanando norme che fissavano tetti di spesa punitivi, per trasferire poi quelle risorse a strutture private in regime di convenzione o di accreditamento, complice anche una sostanziale riduzione di finanziamenti diretti destinati alla sanità pubblica.

Si è così ottenuto che è prevalsa la “logica del profitto”, spinta dalla pervasività del sistema delle convenzioni, degli accreditamenti e della sussidiarietà. Sistemi tutti questi capaci di drenare grandi risorse dalla fiscalità generale, trasferendole agli agguerriti imprenditori del privato. Si è rafforzato così il sempre perseguito principio di “costi pubblici, ma profitti privati” di chiara matrice speculativa.

La prima ricaduta negativa è stata l’applicazione di due CCNL diversi, uno da applicare ai lavoratori del “Pubblico”, l’altro a quelli del “Privato”. Ma questi imprenditori parassitari, non contenti, hanno anche fatto ricorso a forme di lavoro precario, convenzionato, atipico e, infine, hanno inventato il cosiddetto lavoro a “partita IVA”. Una vera e propria anomalia che ha creato ulteriori squilibri nella retribuzione dei lavoratori. Squilibri che sono stati amplificati dall’affrettata spinta alla regionalizzazione della sanità, voluta, per evidenti scopi opportunistici, dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Si è trattato di un vero disastro organizzativo che ha sancito una stretta “collaborazione delittuosa” con la politica locale. Quella sciagurata riforma è riuscita a distruggere la governance del servizio sanitario, ha creato ulteriori disuguaglianze territoriali. Ha trasferito alle regioni le competenze sanitarie e prodotto 21 servizi sanitari regionali, tutti diversi e non coordinati, ma con offerte prestazionali non sempre compatibili. Un ulteriore colpo sarà dato dai progetti di Autonomia Differenziata, che amplieranno differenze simili anche negli altri ambiti messi sotto osservazione, come la scuola, l’ambiente e le politiche del lavoro. Questa prospettiva ha dato il via libera alla sorta di frantumazione in mille rivoli dei già fragili contratti di lavoro, precarizzandoli ad oltranza, ma mantenendo un incomprensibile blocco di assunzioni “pubbliche”. Questa scelta a differenza da quanto dichiarato, non ha prodotto risparmi nella spesa pubblica ma un significativo aumento dei costi complessivi oltre ad un disordine operativo. Questa ridefinizione del lavoro è stata accompagnata, in molti casi, da una gestione autoritaria e antidemocratica, che ha strutturato una forma di dittatura dei manager nei confronti dei lavoratori del comparto sanitario, appesantendo meccanismi sanzionatori e antisindacali.

Ricordiamo, infine, che la regionalizzazione della sanità ha prodotto un’autonomia capace di disintegrare l’intero SSN, convertendolo in tanti sistemi regionali autonomi, ridotti colpevolmente a miniere di risorse da saccheggiare e trasformate in vere e proprie fonti di guadagno per politici e speculatori senza scrupoli. Ha prodotto altre diseguaglianze e un’offerta di servizi e prestazioni erogate sempre più scadenti in quantità e qualità. Questo modello organizzativo è stato alla base delle drammatiche “migrazioni della speranza” di fasce di popolazione alla ricerca delle migliori cure, soprattutto sull’asse Sud-Nord del paese. Assistiamo ad una riorganizzazione mercificata e profittevole della gestione della salute che ha prodotto l’abbandono delle politiche di prevenzione sui territori e sui luoghi di lavoro – come ha drammaticamente dimostrato anche la recente esperienza pandemica – in favore di una politica di “cura” con un approccio sempre più consumistico che ha spinto la sanità verso una medicalizzazione ad oltranza. Il tutto purtroppo favorito dalla lobby dei medici di famiglia.

Il quadro dell’attacco al SSN si è poi completato con la chiusura di molte strutture pubbliche, con la eliminazione di migliaia di posti letto e, dulcis in fundo, con il numero chiuso delle facoltà universitarie che ha prodotto una costante emorragia di personale qualificato. La riduzione degli investimenti diretti, mascherati a volte persino da falsi incrementi di risorse. Senza evidenziare che quelle risorse aggiuntive non solo non potevano compensare l’incremento dei costi, ma erano spesso destinate a incrementare gli interventi esternalizzati, proprio come avviene per i fondi per la riduzione delle liste d’attesa.

Lo scopo di questa minimizzazione strategica è funzionale a implementare, anche nel settore sanitario, la corsa al profitto.

Assistiamo oggi al riemergere di una consapevolezza diffusa che rivendica l’irrinunciabile diritto alla salute e che ridefinisce concetti di risparmio e percorsi di rientro dal debito. Non vorremmo in futuro a nuove penalizzazioni nei confronti di quei sistemi regionali in sofferenza, capaci di produrre ulteriori gap organizzativi. Noi auspichiamo invece un aumento delle risorse loro destinate, purché controllate dalle migliori agenzie nazionali di monitoraggio in sanità. che

Il diritto alla salute è garantito dalla fiscalità generale e gestito da un servizio nazionale, unico in grado di garantire stesse prestazioni ad ogni cittadino, ovunque viva o risieda. Qualora si registrino ulteriori debiti prodotti da regioni inefficienti la strada migliore non sarà quella sottrarre anche servizi ai cittadini, ma di penalizzare i management locali, quando si dovessero rivelare incapaci di organizzare i servizi. Le risorse finanziarie bisognerebbe invece incrementarle proprio a quelle regioni in difficoltà, purché si riesca a garantire il controllo, anche in modalità centralizzata, così come i percorsi di miglioramento locale della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.

Dovremmo tutti lavorare, tecnici e decisori politici per garantire la salute dei cittadini, consapevoli che la salute non è una merce … è un diritto costituzionale

 


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