“Psicopatologia dei fascismi” è il titolo dell’intervento più che stimolante – in un momento ‘storico’ come quello che stiamo attraversando, anche in Italia con il governo meloniano – firmato da Walter Di Munzio, psichiatra e pubblicista, e – lo ricordiamo – autore con il grande Sergio Piro del primo libro edito dalla ‘Voce’ nel 1987, “Sopra la Panca – storia senza conclusione di follia, manicomi e riforme in Campania”. Per anni Sergio ha scritto imperdibili rubriche sulle colonne della Voce (“la Biro di Piro”, “senzatitolo”); ed ora Walter è una delle nostre ‘colonne’ online, con le sue analisi socio-psico-politiche che vanno al cuore dei problemi.
Il titolo del suo intervento di oggi riporta alla mente quello del celebre saggio scritto nel 1933 dallo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich, “Die Massenpsychologie des Fascismus”, e cioè “Psicologia di massa del fascismo”, un testo fondamentale per capire cosa c’è dentro e dietro quel ‘nero’ che ha agitato e ancora agita la storia. (A.C.)
Il fascismo italiano è stato un trauma che ha attraversato la storia collettiva degli italiani, ha coinvolto profondamente la psicologia dell’intero paese, il nostro. È durato vent’anni, ha influenzato fino in fondo i comportamenti e la psiche collettiva del paese. Ma, dopo la Liberazione, quella stessa psiche lo ha rimosso. Ma la rimozione è stata parziale, lasciando densi residui nella memoria degli italiani.
Sono questi i tratti inconfondibili che riemergono periodicamente, a volte persino inconsapevolmente, e che si manifestano nei comportamenti, nei pregiudizi, nelle convinzioni collettive. La rimozione dell’essenza del fascismo è stata spontanea, come d’altronde accade per tutte le rimozioni, ma proprio per questo motivo è stata incompleta. Allora il trauma è destinato a tornare, magari in altre forme e con nuovi protagonisti. Non parliamo naturalmente dell’ideologia fascista ben strutturata o quella fondata su solide basi ideologiche.
SENTIMENTI, EMOZIONI, COMPORTAMENTI
Parliamo di sentimenti, emozioni, comportamenti e pregiudizi tipici di quella cultura e, a volte, di comportamenti involontari. Ci riferiamo a quel sentimento di paura e di rifiuto viscerale verso gli immigrati e verso ogni tipo di fragilità. È chiaro che, in questo caso, entrano in gioco proprio quelle tracce ancora presenti nella memoria collettiva, tracce di dolori e ricordi ben radicati nella nostra storia collettiva di umiliazioni subite nel passato. Quasi come una volontà di riscattare una parte della propria storia … rifiutando l’accoglienza e alimentando luoghi comuni, contro quell’umanità che, in fondo, ci somiglia tanto. Ma questo non oggi non esiste più, oggi ci rappresentiamo forti e arroganti, capaci di vivere una nuova innocenza, nell’illusoria consapevolezza di essere ormai parte di storia diversa. Abbiamo scotomizzato proprio quei pezzi di storia recente nei quali quelli brutti, sporchi e cattivi eravamo noi, emigranti poveri in cerca di fortuna in altri paesi, con tutto il carico di sofferenza e di rabbia, ma anche portatori di mafia e di disperazione.
FASCISMO “DA RICATTO”
Sentimenti questi che hanno ora prodotto il riemergere di quel pensiero da “fascismo di riscatto” che ha pervaso larghe fasce di italiani, finalmente figli dell’agiatezza seguita allo sviluppo della nostra economia dopo l’ultima guerra. È forse anche per questi motivi che Giorgia Meloni, quando è andata al potere con il suo partito, non ha modificato l’imprinting fascista della sua formazione politica, e non intende farlo perché è la base del suo consenso elettorale. È riuscita a raccogliere sul pano elettorale sia la rabbia della parte più povera del proletario che l’arroganza di quella borghesia parassitaria arricchitasi nelle pieghe della prima repubblica, tra speculazioni edilizie, accaparramento e privatizzazione dei beni pubblici (spiagge, industrie e informazione) in spregio ai diritti di tutti gli altri.
Umberto Eco elaborò molti anni fa un’analisi accurata di questo fascismo residuale e giunse alla conclusione che era un atteggiamento ipocrita e inconsistente, entrato subdolamente nelle menti degli italiani facendo leva su due valori:
- Il valore della tradizione, accompagnato da riferimenti e conoscenze arcaiche.
- Il valore dell’eroismo (e della morte), capace di esaltare azioni audaci e di inculcare l’idea che persino la morte è cosa risibile se accompagna gesta eroiche.
A questi valori aggiunge la denuncia della codardia di quegli intellettuali e artisti che si dichiarano antifascisti e si schierano per libertà e democrazia.
Da tutto ciò risulta che il fascismo rifiuta ogni forma di pensiero critico. Il disaccordo allora diventa “tradimento” e quelli che pensano in modo diverso dal capo, sono da considerare dissidenti e, per questo, devono essere messi a tacere. Il principale tratto psicologico del fascista è dunque l’intolleranza.
Questo tratto rivela paura delle differenze e del nemico, inquadrato sempre come parte del male assoluto.
Altri due sentimenti sono tipici del fascista e sono nazionalismo e xenofobia. Queste forme di apologia e di rifiuto si manifestano non solo in riferimento ai paesi di origine, ma anche di fronte all’identità di alcuni gruppi. Si sottolinea, fino all’esasperazione, solo il tratto positivo della propria cerchia mentre si rifiuta sempre quello dell’estraneo. Si è illuso chi ha pensato, all’indomani dell’avvento al governo di Giorgia Meloni, che allora la destra estrema si sarebbe accreditata e non avrebbe più parlato di fascismo. In realtà, sembra proprio che stia accadendo il contrario. Aver vinto le elezioni – senza peraltro raccogliere una valanga di voti, ma grazie alla fuga dal voto degli elettori e, soprattutto, agli eterni conflitti nello schieramento progressista – non poteva di per sé fungere da fattore di legittimazione, tanto più che della svolta “conservatrice” di Fratelli d’Italia, auspicata da molti osservatori, non si vedono neppure le avvisaglie. Ma sarebbe stato ingenuo pensare che ciò potesse avvenire.
RIMOZIONE SPONTANEA
Una rimozione spontanea, come del resto, lo sono tutte le rimozioni, può ripresentarsi – come ogni oggetto rimosso dall’inconscio – sia in forma mascherata, come è accaduto nella società democratica dopo la fine del fascismo, con comportamenti, strutture e forme, di cui non si è capita la continuità fascista, come è stato per la continuità burocratica, con l’intervento dello Stato nella sfera economica, o con la stessa partitocrazia, figlia degenere dell’esperienza di partito unico.
Alla fine, il fascismo è considerato un fenomeno della mente, da studiare in una prospettiva psicologica della storia, oltre che dal versante antropologico, fatto di pratiche e costumi.
Cambiare un’idea politica è possibile, cambiare una mentalità e i relativi comportamenti molto meno. Da tutto quanto affermato deriva che il fascismo non è mai morto. Lo aveva capito bene Aldo Moro quando nel 1962 affermava “… la radice del totalitarismo fascista affonda nel corpo sociale della nazione”.
A riscrivere il passato, a destra, non sono stati solo intellettuali, scrittori e giornalisti più o meno legati alla stessa destra, ma anche una più vasta platea di intellettuali capaci di produrre una lettura edulcorata e tranquillizzante del regime.
Ma se il partito che ne ha raccolto l’eredità, FdI, è oggi al governo è forse il momento per fargli dimostrare che si può governare un grande paese europeo con una cultura che non si richiama al conservatorismo, ma al neofascismo.
In fondo era proprio questa la riflessione che intendeva fare lo scrittore Scurati nel suo intervento censurato.
Ultima annotazione. Il fascismo è elitario. Disprezza chiunque considera inferiore anche quando lo votano. Vengono condannate e considerate come una colpa tutte le forme di debolezza e ogni manifestazione di vulnerabilità.
I neofascisti in fondo considerano la questione dell’emancipazione di genere solo per consolidare le discriminazioni, persino quando sono loro stessi a portare una donna ai vertici del governo.
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