Qualcuno ha detto che si è trattato di “una rivoluzione gentile”. Parliamo di quella realizzata da un gruppo di psichiatri italiani. Basaglia, Piro e tanti altri che hanno radicalmente cambiato in Italia l’organizzazione dei vecchi “servizi di psichiatria”, trasformandoli in moderni e innovativi “servizi di salute mentale”. Questa transizione ha consentito il passaggio da un sistema di cura che guardava ad una malattia per la quale bisognava solo individuare la causa – una qualunque possibilmente organica– alla gestione di una patologia definita di “comunità”, la cui causa si deve ricercare utilizzando un approccio integrato, cioè in grado di analizzare sia le cause sociali che quelle da ricercare con un approccio organicista, e infine le cause dipendenti da fattori socioculturali. Tutto ciò ha reso necessario prendere in carico intere comunità e per salvaguardarne la salute mentale. Ciò è possibile solo attivando massicci programmi di prevenzione e con una rigorosa continuità assistenziale sette giorni su sette e tutti i giorni dell’anno. Se ne deduce l’esigenza prioritaria di realizzare una rete interconnessa di servizi territoriali, ambulatori di prossimità, residenze per cronici e, soprattutto, garantire servizi di assistenza domiciliare e piccoli reparti in ospedale generale collegati alla rete dei servizi territoriali per gestire al meglio la crisi acuta.
La salute mentale ha costituito, da allora, il primo ambito della medicina che ha organizzato un simile modello. Lo stesso scema organizzativo importato poi integralmente quando l’Europa ha deciso di riorganizzare la sanità italiana in senso territoriale, come indicato nel PNRR.
Il nostro paese ha saputo mettere al centro della sua azione riformatrice alcuni principi, primo tra tutti chiudere i manicomi e ripristinare i diritti civili negati ai pazienti lì rinchiusi. Diversa e più raffinata valenza hanno poi assunto alcune particolari strategie terapeutiche, come quella di comprendere il linguaggio schizofrenico, cosa sino a quel momento considerata non possibile. Così come fu necessario restituire a quelle persone le più elementari condizioni di vita civile, a cominciare dal diritto all’abitare dignitosamente e in autonomia e dal ritrovare dignità di cittadinanza esercitando un proprio lavoro.
I metodi ed i principi di questa rivoluzione dell’assistenza fatta in quegli anni si estese rapidamente a tutto il mondo civile, facendo dell’Italia il paese a più alto tasso di innovazione nel settore, oltre a farne un ineludibile punto di riferimento per infermieri, psichiatri, psicologi e sociologi, ma anche per studenti e utenti. Tutti costoro iniziarono a guardare al nostro paese con interesse e in tanti vennero a studiare il lavoro fatto, per replicarlo assumendolo come modello da seguire.
Di questo straordinario gruppo di operatori vogliamo qui ricordare Franco Basaglia e Sergio Piro. Il primo, del quale è appena ricorso il centenario dalla nascita, che cade solo tre anni prima di quello del secondo. Basaglia, morto dopo due anni dall’approvazione della “sua” legge 180, ha infatti dato il suo nome a quella storica riforma. La 180, approvata nel 1978, fu poi nello stesso anno assorbita da una più generale riforma sanitaria, la 833 che introdurrà in Italia un sistema sanitario nazionale.
Basaglia riuscì a chiudere i primi manicomi nel nord del paese, lavorò prima a Gorizia e poi a Trieste. Il suo lavoro sarà poi replicato in altre grandi città, nelle quali si chiusero i manicomi. Sergio Piro, in quegli stessi anni, lavorò al sud e riuscì a creare i presupposti per chiudere il più grande manicomio privato del sud Italia (il Materdomini di Nocera Superiore). Fu per questo motivo licenziato e allontanato da quel presidio con la forza della polizia e tra due ali di lavoratori che lo esaltavano. Riuscirà a continuare il suo lavoro a Napoli dove assunse in sequenza la direzione dei due manicomi cittadini. Il secondo, il Frullone, divenne sotto la sua direzione un centro internazionale di studi sulle pratiche psichiatriche e sui protocolli della nuova assistenza. Pragmatico e concreto Basaglia, un intellettuale di grande carisma, raffinato teorico Piro, un ricercatore attento ai metodi di decodifica del linguaggio schizofrenico e agli aspetti scientifici della ricerca sulle buone pratiche, da cui partire per riuscire a trasformare il vecchio modello assistenziale. Questo era di tipo carcerario e bisognava riuscire a farlo transitare in un modello moderno e assieme capace di riportare umanità e speranza di riuscire a vivere tra la gente cosiddetta “normale”, valorizzando i talenti che ciascuno ha dentro di sé. Sono proprio questi talenti inespressi il punto di partenza per ogni possibile tentativo di cura e di reinserimento sociale, lavorativo e relazionale.
Per tutti costoro non si era mai posto prima l’obiettivo di una reale restituzione alla vita civile. Uomini e donne reclusi in quelle che, non causalmente, erano definite “istituzioni totali”, cioè strutture nelle quali si svolgerà l’intera loro vita, sempre lontano da un mondo che voleva solo dimenticarli. Ignorati e lontani dal cuore e dagli occhi di chi, per paura o per oscuri interessi, si rifiutava di accettarli. Si sarebbero così risolte problematiche ereditarie, di identità sessuale, di incesti familiari, di vergogna e volontà di nascondere quelle sventurate persone al resto della comunità, forse inquietata dalla loro diversità.
“… il grado di civiltà di un popolo si misura nella sua capacità di affrontare il disagio mentale, senza chiudere i “pazzi” nei manicomi”. Queste parole di Franco Basaglia saranno poi assunte come manifesto da tutti gli operatori che lottarono per cambiare il più crudele sistema di assistenza. Quella battaglia fu vinta quando si cambiarono radicalmente il modo di percepire la malattia mentale e si restituì a quei pazienti la dignità della loro vita e la speranza di una possibile guarigione. Tutto ciò recuperando anche forza lavoro, creatività e intelligenze.
Siamo ora tutti più consapevoli della responsabilità collettiva di non far perdere la spinta innovativa prodotta da operatori come Basaglia e Piro, e di voler andare oltre continuando il processo di trasformazione in senso “democratico” dell’assistenza. Sappiamo di voler difendere il SSN con tutte le nostre forze, senza cedere alle lusinghe della omologazione e alle discutibili scelte del potere che orienta oggi la sanità pubblica verso privatizzazioni selvagge o esternalizzazioni di servizi. Si soffoca così l’essenza di un servizio sanitario nazionale, universale e fruibile da tutti, e non si potrà restituire senso ai nostri servizi, che appaiono pericolosamente a rischio smantellamento. Non è affatto vero che per fare tutto questo servono enormi risorse. Un modello fondato sul privato speculativo, infatti, costa molto di più e non potrà mai garantire cure per tutti.
Oggi a cento anni dalla nascita di Franco Basaglia e di Sergio Piro, dovremmo tutti avere la consapevolezza che siamo di fronte a un’occasione da non perdere per evitare di buttare al vento la forza e l’energia che entrambi questi psichiatri hanno apportato all’intera società. La loro azione è stata al tempo stesso di rottura e di innovazione. Non si è trattato solo di abbattere l’istituzione manicomiale e restituire la libertà agli internati ma, lontani dalle radicali posizioni dell’antipsichiatria, questi due giganti hanno rappresentato uno straordinario stimolo alla riflessione e persino all’evoluzione della stessa democrazia in tutti i paesi che hanno vissuto la rivoluzione psichiatrica.
La chiusura di quei lager disumani ha consentito di individuare e sostituire i muri e le sbarre con parole che curano e con una grande partecipazione alla vita degli altri. Sarà questa la vera sfida nella società contemporanea, è la sfida che in futuro ci coinvolgerà tutti, ognuno per la sua parte, e impedirà a chi ne sarà coinvolto di omologarsi in una zona grigia, implementando indifferenza e colpevole complicità. Ma nessuno potrà più esserne inconsapevole.
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