MORIRE DI AZOTO ATROCEMENTE

Ancora una esecuzione, si tratta di un uomo condannato a morte nel 1988 per aver ucciso Elizabeth Sennett su commissione del marito che voleva riscuotere il premio dell’assicurazione. Nel frattempo, la giustizia è andata avanti continuando il suo corso sino alla decisione di giustiziarlo utilizzando l’azoto. Un precedente tentativo era andato a vuoto essendo il condannato sopravvissuto alla iniezione letale. Kenneth Smith, ora è morto per la somministrazione di azoto. Una morte terribile che ha comportato oltre mezz’ora di agonia con violenti dolori e spasmi ininterrotti. La morte è sopraggiunta dopo questo lungo calvario per blocco respiratorio. La pratica, si sapeva, è risultata crudele. I veterinari, che la utilizzavano negli allevamenti dei suini, si sono rifiutati di continuare a praticarla avendo all’atroce sofferenza degli animali. Ma per gli uomini va bene. I paesi che praticano ancora la pena capitale considerano spesso i condannati a morte alla stregua di rifiuti umani.

Ad oggi solo cinque paesi hanno ripreso le esecuzioni di condannati a morte. Si tratta di paesi in cui si pratica poco la democrazia. Sono Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore. Altri paesi, che prevedevano la pena capitale, hanno da tempo deciso di accogliere i pressanti inviti dell’ONU sospendendo sine die le esecuzioni capitali. Ma se pochi hanno ripreso le esecuzioni ve ne sono altri che le hanno addirittura incrementate. L’Iran, passata in un anno da 314 a 576, l’Arabia Saudita che ha già giustiziato 196 persone a fronte delle 65 dell’anno precedente e, unico tra i cosiddetti “paesi civili”, gli Stati Uniti passati da 11 a 18 esecuzioni.

La domanda è “… può considerarsi civile un paese che uccide un uomo o una donna, qualunque sia il reato commesso”. Tanto più se si utilizzano metodi sprezzanti del rispetto umano. È una reazione orrenda, una logica da vecchio far west, è come praticare una sorta di vendetta di Stato anche contro i suoi stessi cittadini.

Possiamo solo immaginare cosa potrebbero mai fare contro un popolo considerato nemico. È per questo motivo che poi devono definirlo “terrorista”. Parola magica che ha il potere di cancellare ogni pudore per il crimine che si commette, ogni senso di colpa e che si giustifica l’uso indiscriminato della violenza, senza dover provare la veridicità delle accuse lanciate. È il potere conferito agli americani dopo la strage del 11 settembre e trasferito poi anche all’esercito israeliano dopo l’aggressione del 7 ottobre.

Ma perché in Alabama si è giunti ad utilizzare l’azoto … pur conoscendone i tremendi effetti? Probabilmente la causa prima risiede nel fatto che le industrie farmaceutiche, negli ultimi anni, hanno interrotto le forniture dei loro farmaci utilizzati nei cocktail letali. Calmanti e sedativi che consentivano una morte senza dolore aggiuntivo. Le reiterate condanne morali provenienti da tutto il mondo civile e dalle organizzazioni umanitarie sovranazionali hanno consentito la sospensione delle esecuzioni capitali, universalmente considerate barbarica e non casualmente equiparata dall’ONU alla pratica della tortura. Tante sono state le manifestazioni e le proteste in America e nel mondo contro la pena di morte, e tanti sono stati anche i danni d’immagine e la pubblicità negativa per le aziende produttrici dei farmaci utilizzati nelle iniezioni letali ed ha comportato loro anche bruschi crolli di vendite. Ma sono crollati con questi anche le vendite di tutti gli altri farmaci prodotti dalle stesse aziende. Ne è risultato un enorme danno economico che ha costretto a interrompere immediatamente le forniture di barbiturici, pancuronio, pentothal e degli altri farmaci utilizzati in quei micidiali cocktail.

Unica possibilità residua per lo stato dell’Alabama è stata quella di utilizzare l’azoto, ancora facilmente reperibile sul mercato. Le alternative consentite e praticate negli altri Stati americani sono ancora la fucilazione, l’impiccagione, la decapitazione e la camera a gas. Ogni stato poteva scegliere una di queste opzioni. Il metodo per le esecuzioni in vigore nei penitenziari dello stato dell’Alabama, dove era imprigionato Kenneth Smith, è stato quello dell’iniezione letale.

Smith, condannato a morte da oltre venticinque anni ha vissuto da allora nel braccio della morte del penitenziario Holman. Con tutta la disperazione che comporta vivere tanti anni in attesa quotidiana di essere giustiziato.

Dopo questa esecuzione è stato diffuso un commento ufficiale di condanna dalle Nazioni Unite, che lo ha considerato come un reato di tortura. Immediatamente ha fatto seguito una clamorosa presa di posizione di condanna da parte della Casa Bianca, che sta conducendo una campagna elettorale tutta centrata su temi etici, di rispetto della costituzione dopo i fatti di Capitol Hill e di gestione della violenza esplosa negli Stati Uniti con i ripetuti attacchi armati nelle scuole da parte di giovani e di esaltati. Cosa che è stata possibile sia per la facilità di accesso alle armi incluse quelle militari, che per la convinzione di potersi fare giustizia da soli e con qualsiasi mezzo. Lo garantisce a tutti i cittadini americani la costituzione federale che autorizza ad armarsi per difendere famiglia e proprietà privata. L’esistenza della pena di morte giustifica questa convinzione.  

Il presidente ha persino interpellato la Corte Federale chiedendo che si pronunci sulla compatibilità della pena di morte, con l’Ottavo Emendamento della Costituzione federale statunitense che sancisce il divieto di infliggere «pene crudeli e inusuali». Ha sostanzialmente prospettato la possibilità di vietare la pena di morte in tutti gli stati federali.

Ma una considerazione ci appare dirimente. Può uno stato di diritto uccidere un uomo? No, nemmeno di fronte al più grave dei reati. È barbaro e inaccettabile.

Non casualmente è una pratica utilizzata ancora nei paesi dittatoriali per spegnere l’opposizione e per utilizzare la pena di morte per silenziare il popolo e per mostrargli i muscoli … anziché il cuore o il cervello.

 


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