GIUSTIZIA – UN LIBRO SVELA LA RADICE DEL MALE ITALIANO

Mentre si inaugurano in pompa magna gli anni giudiziari lungo tutta la penisola, il libro di Rita Pennarola pone a confronto per la prima volta i sistemi Giustizia dei principali stati occidentali, documentando le tragiche unicità del nostro Paese. A cominciare dalla composizione del CSM, che non ha uguali in nessuna nazione civile del mondo, per continuare con “l’assalto” al Parlamento dei magistrati distaccati, che scrivono le leggi invece di limitarsi ad applicarle. Attraverso i verbali della Costituente, “La Repubblica delle Toghe” racconta come è stato di fatto violato l’articolo 1 sulla sovranità popolare, indicando la via d’uscita possibile per riportare l’Italia nell’alveo dei Paesi occidentali ed attrarre nuovamente investimenti dall’estero.

 

Ogni anno i cittadini spagnoli pagano con le tasse in media 7 risarcimenti per ingiusta detenzione, per una spesa totale che si aggira, al massimo, sui 700.000 euro.

Negli stessi dodici mesi in Italia i contribuenti pagano di tasca propria 24 milioni di euro di risarcimenti a coloro che sono stati colpiti da ingiusta detenzione.

Gli appena 140 casi di risarcimento della Spagna in 10 anni, confrontati ai 547 casi italiani in un solo anno, il 2022, completano il quadro.


Ben oltre il calvario di Beniamino Zuncheddu, che si vorrebbe far passare come “caso limite”, i numeri forniscono l’impressionante quadro di uno spaventoso unicum, tutto italiano, in tema di cosiddetti “errori” giudiziari. Ma di abissali differenze con i Paesi civili, in materia di giustizia, ce ne sono anche altre. Per esempio, l’Italia è l’unico Paese occidentale che consente la confisca dei beni senza la condanna. Negli altri Paesi europei, dove le norme sulla presunzione d’innocenza sono effettivamente applicate, non è possibile giungere a una confisca del patrimonio senza che vi sia stato un accertamento definitivo sulla responsabilità.

Rita Pennarola

 

Si potrebbe andare avanti a lungo. Ed è quello che fa, numeri, cronache e statistiche alla mano, la giornalista Rita Pennarola nel fresco di stampa La Repubblica delle Toghe – L’errore costituzionale che ha trasferito la sovranità dal popolo italiano alla magistratura (La Bussola Editrice).

Ma quale fu, quel fatale errore, meticolosamente documentato nel libro dall’autrice?

«C’è stato un momento preciso nella vita della nostra repubblica – spiega Pennarola – in cui si è formato quel grumo di potere che oggi, a distanza di oltre 75 anni, continua a frenare le sorti dell’economia, a devastare  vite umane e reputazioni, a portare in carcere mille innocenti ogni anno, a polverizzare imprese con migliaia di lavoratori, desertificando l’apparto industriale messo su col sangue e il sacrificio dei padri».

E «quel grumo – si legge nel libro – ha un nome ben preciso: è l’articolo 104 della Costituzione sulla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, che non trova uguali in nessun’altra parte del mondo civile, emanato come norma costituzionale il 25 novembre 1947».

Sabino Cassese

Da allora in poi, qualsiasi controllo sull’operato del potere giudiziario è stato delegato ai magistrati stessi. Per dirla con il giurista Sabino Cassese, «l’abnorme dila­tazione del potere giudiziario» ha fatto diventare il nostro Paese una «società amministrata dalla giustizia penale», che «ha l’ambizione della popolarità» e si circonda di «un alo­ne mediatico».

 

 

 

IL RIBALTONE ALLA COSTITUENTE

Quella notte del 1947, in seduta pomeridiana, avvenne un subitaneo ribaltamento di tutto quanto era stato fino ad allora deciso dai padri costituenti in materia di giustizia. Un solo, giovane neo-costituente, appena ventinovenne, da poco entrato in magistratura, riuscì ad aggregare alcuni colleghi per sbaragliare il tavolo. Si chiamava Oscar Luigi Scalfaro. Era il futuro capo dello Stato. Il suo gruppo riuscì a far passare quell’articolo 104 sulla composizione del CSM.

Quell’articolo, da allora, rotola ogni giorno sulle sorti del nostro Paese come un pesante fardello frenando ogni possibile ripresa, facendo accumulare, nel corso dei decenni, lo spaventoso debito pubblico sulle spalle di ogni cittadino italiano a causa dei mancati investimenti delle major straniere, che della giustizia italiana proprio non si fidano, come documenta implacabilmente, statistiche alla mano, questo libro. Dobbiamo allora risalire a quella notte, secondo l’autrice, per comprendere quello che accade oggi, per trovare una spiegazione, per esempio, al fatto che in queste settimane di bufera su ArcelorMittal, è emersa la notizia che l’ex gloriosa Ilva non solo intende lasciare l’Italia, ma ha già programmato consistenti investimenti sulle nuove tecnologie. Dove? In Francia.

Umberto Terracini

E allora torniamoci, a quella notte, ripercorsa nelle pagine del libro, per scoprire che il presidente dell’Assemblea Costituente, il comunista Umberto Terracini, non meno dell’ala democristiana, rappresentata con onore da Meuccio Ruini, fino a quel momento avevano sostenuto l’imprescindibile esigenza di una assoluta parità numerica, nel Consiglio Superiore, fra togati e laici, con il presidente della Repubblica quale supremo ago della bilancia.

Ma non andò così: «da quella notte in poi – si legge nel libro – l’Italia vanta il poco invidiabile primato di avere, unico Paese al mondo, una schiacciante predominanza di magistrati in carriera (i due terzi) rispetto alla componente laica espressione del Parlamento (un solo terzo, con funzioni quindi meramente figurative), nel massimo organo che regola e governa non solo i ranghi del potere giudiziario ma, attraverso di esso, l’intero Paese».

Per la prima volta “La Repubblica delle toghe” accende i riflettori, con un linguaggio semplice ed accessibile, su ciò che accadde quella notte, valutando, sulla scorta di analisi comparative basate su testi scientifici, sia le norme costituzionali che regolano il potere giudiziario negli altri Paesi civili (Spagna, Francia, Germania, Portogallo, Regno Unito, Stai Uniti ed altri), sia i riflessi che tali ordinamenti comportano sull’economia dei rispettivi Stati, sulla base dei dati forniti dal fonti ufficiali, come Eurobarometro, o come i Rapporti della Commissione europea sullo stato di diritto nei 27 Paesi.

Matteo Renzi

Le diverse proposte di riforma della magistratura succedutesi negli ultimi trent’anni vengono esaminate nel libro una dopo l’altra, partendo dai leader politici che le avevano annunciate, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi fino a Matteo Salvini. Di pari passo, nel libro viene mostrata l’allucinante coincidenza temporale fra tali annunci e le subitanee conseguenze giudiziarie piombate sul capo dei predetti leader.

Così, mentre in Italia continua ad impazzare il rituale chiacchiericcio politico su riforme come separazione delle carriere o responsabilità civile dei magistrati, questo libro avanza l’unica proposta che, come un’autentica chiave di volta, sarebbe in grado di riallineare il nostro Paese alle altre democrazie occidentali: quella modifica costituzionale dell’articolo 104 sulla composizione numerica del CSM, riportandolo a quella parità numerica che era stata chiesta, tanti anni fa, da padri della patria quali Terracini e Ruini.

Enrico Costa

Ad irrobustire l’apparato scientifico riportato nel volume, documentato da ampia bibliografia, è soprattutto la lunga intervista al deputato Enrico Costa, oggi al centro del dibattito per il suo emendamento che vieta la pubblicazione integrale, pedissequa, delle ordinanze di custodia cautelare. Definito nel libro, non a caso, “L’ultimo Samurai”, Costa incarna, secondo l’autrice, l’estremo baluardo a tutela dello Stato di diritto, restando quotidianamente in trincea per difendere la libertà di questo Paese ed il ruolo del Parlamento, ad oggi di fatto esautorato dal sopravvento del potere giudiziario, con uno squilibrio fra poteri dello Stato che questo libro porta alla luce fino in fondo, compresi i riflessi sull’economia e sullo stato sociale.

 

 

ANTEPRIMA

 

 

DAL CAPITOLO  

“GLI ITALIANI NON SI FIDANO”

 

Benché generalmente sottaciuto dal contesto mediatico, non meno che nell’ambito della discussione politica ed isti­ tuzionale, il problema dell’“investitura divina” della magi­ stratura italiana, connesso alla mancanza di strumenti terzi per il controllo sull’operato di giudici e pubblici ministeri, è una spina latente, che però serpeggia nella percezione del­ la maggior parte di cittadini ed imprese.

Lo stesso Rapporto 2022 della Commissione Europea sulla situazione dello Stato di diritto nei Paesi membri, pur non essendo del tutto obiettivo, perché basato sulle infor­mazioni fornite dagli stessi Stati (in particolare, per l’Italia, dal CSM), mostra che da noi il livello di indipendenza del­ la magistratura percepito di cittadini ed imprese è tra i più bassi d’Europa; si attesta infatti ad uno scarno 37%, men­ tre va oltre il 75% in Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Lussemburgo. Peggio di noi fanno solo Slovacchia, Polonia e Croazia, che si fermano intor­no al 30%.

Caso particolare è poi quello della Grecia, culla della ci­ viltà e del diritto. Qui la percezione sull’indipendenza del­la magistratura resta piuttosto bassa (intorno al 40%), ben­ ché i diversi Consigli Superiori della Magistratura, previsti dalla Costituzione del 1975, siano costituiti esclusivamente da magistrati. Ed indicati dai giuristi come “organi di auto governo”. Qualcosa di simile all’Italia, dove la netta mag­gioranza nel CSM è di magistrati? Tutt’altro. In Grecia le cariche apicali del potere giudiziario, quali ad esempio il presidente e il vicepresidente del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti, sono nomina­ti con decreto del presidente della repubblica su proposta del Consiglio dei Ministri e del Guardasigilli, previo pare­re di un organo parlamentare apposito. Tanto che la stes­sa Commissione Europea, nel medesimo Rapporto 2022 sullo Stato di Diritto, sottolinea che «non vi è alcun coin­volgimento di magistrati in queste procedure di nomina». Da parte nostra, registriamo che in Grecia, a differenza di quanto avviene in Italia, il sistema di pesi e contrappesi è stato correttamente applicato, assegnando la prevalenza di togati nei Consigli superiori, ma stabilendo un ruolo cen­ trale dell’esecutivo nella nomina dei vertici.

Torniamo così alla fiducia — rectius, alla sfiducia — de­gli italiani nel loro sistema giudiziario. Anche il Rapporto Eurispes (giugno 2022) segnala che il livello di credibilità della magistratura agli occhi degli italiani «è precipitato ai minimi storici»: due su tre non sono soddisfatti del siste­ ma giudiziario italiano. Il 20,6% degli intervistati dichiara di non avere alcuna fiducia, il 45,3 ne ha poca.

Di conseguenza, più di un cittadino su quattro (il 27,3%) preferisce non denunziare reati o illeciti. Fra questi, l’11% afferma che i fastidi di un procedimento giudiziario sono nettamente superiori ai benefici che potrebbero deri­varne, il 10,1 non può sostenere le spese di giudizio e il 6,2 si dichiara totalmente sfiduciato. Questa accentuata diffi­denza — nota l’Eurispes — si è diffusa anche tra le for­ze politiche a vocazione giustizialista, come il Movimento 5 Stelle e i partiti di sinistra, arrivando a toccare oltre il 65,9% di sfiduciati.

Analoga desolazione nel mondo economico e imprendi­ toriale, dove il sentimento di sfiducia non si discosta molto da quello dei cittadini. Appena il 39% delle imprese dice di credere nel funzionamento della giustizia italiana. Sono in­ vece quasi sei su dieci (58%) le aziende che hanno un visio­ ne negativa o molto negativa dei giudici. Evidenti i riflessi sulla nostra economia, dove sale continuamente la lamen­ tela contro le imprese multinazionali che delocalizzano i loro impianti in altri Paesi con diversa impostazione della Giustizia. Senza che mai nessuno s’interroghi sul fatto che non è la lentezza o la sola burocrazia a fungere da repellen­te, bensì quella visione totipotente ed autocratica della ma­ gistratura italiana, che ha già fatto precipitare i nostri livel­ li occupazionali e produttivi, facendo scappare le imprese all’estero.


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