GIUSTIZIA IN CRAC / NON SOLO ZUNCHEDDU

Due casi in pochi giorni.

E il record raggiunto solo un paio di mesi fa, lo scorso novembre.

Stiamo parlano del crac giustizia, di una legge che ormai da anni non esiste più per i cittadini, privati di un fondamentale, primario diritto come neanche nelle più selvagge foreste, dove almeno un minimo di regole pur ci sono.

Ecco, in rapida carrellata, i ‘casi’ del giorno. Rammentando che – secondo le cifre ufficiali, ovviamente per difetto – negli ultimi 20 anni sono circa 30 mila gli ‘errori’ (sic) giudiziari accertati e che hanno poi obbligato lo Stato a risarcire le vittime: le quali comunque saranno sempre in largo, ‘eterno’ credito visto che gli anni ‘rubati’ non tornano più.

Partiamo dalla Sardegna, con la storia ai confini della realtà – ma ben dentro i confini di una giustizia ‘fisiologicamente’ ormai malata, e quotidianamente ‘patologica’ – del pastore sardo che è stato sbattuto in galera, proprio come quel mostro da sbattere in prima pagina un tempo interpretato da un grandioso Gianmaria Volontè, e dopo 33 anni è tornato a riveder la luce non a scacchi.

Ci è finito, in gattabuia, a 26 anni e passata una vita (“chi me la ridà più? E pensare che volevo solo farmi una famiglia”, osa dire adesso) all’inferno ora riacquista la libertà a 59 anni suonati.

Perché forse per una ‘fortunata’ coincidenza il procuratore generale di Cagliari ha deciso di riaprire il caso, ha chiesto la revisione del processo e si è appurato che le prove della sua colpevolezza erano taroccare.

Il povero Beniamino Zuncheddu non aveva, cioè, ammazzato due pastori (la strage di Sinai del 1991), e il terzo sopravvissuto lo aveva accusato pur sapendolo innocente, ‘imbeccato’ ad hoc da un agente. Sarebbe il copione per un ottimo vintage thriller, è invece la nostra tragica realtà ‘giudiziaria’.

Non sono un eroe ma solo un sopravvissuto”, le altre poche parole che timidamente riesce a pronunciare, come uno scampato al genocidio di Gaza o un astronauta di ritorno dopo decenni a vagare negli spazi.

 

Mario Ciancio Sanfilippo. Sopra, Beniamino Zuncheddu

Sbarchiamo in Sicilia, dove è andata in scena un’altra vicenda kafkiana, stavolta durata meno, appena un quarto di secolo, per quanto concerne le un po’ troppo ‘laboriose’ indagini.

Al centro della story l’imprenditore e editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo.

Dopo interminabili, estenuanti indagini a vuoto, il processo a suo carico per legami con esponenti di spicco della Cosa nostra etnea inizia sette anni fa, nel 2017.

E si conclude adesso, davanti alla prima sezione penale del tribunale di Catania che sentenzia: “Il fatto non sussiste”. Candido come un giglio, Ciancio, per il quale invece la procura aveva chiesto 12 anni di galera e la confisca di tutti i bene che nel frattempo erano stati dissequestrati.

Esulta uno dei suoi avvocati, Francesco Colotti dello studio di Giulia Bongiorno, che si fece le ossa trent’anni fa al processo Andreotti ed è oggi la spalla ‘legale’ di Matteo Salvini. “Mi sono commosso – nota – perché finalmente dopo tanti anni è stata restituita dignità a Mario Ciancio Sanfilippo”.

Asetticamente commenta Dario Montana, figlio del commissario Beppe Montana, ammazzato da Cosa nostra il 28 luglio 1985: “Siamo soddisfatti che abbiano comunque raggiunto un risultato storico: Mario Ciancio andato a giudizio, e questa città non voleva si celebrasse il processo che non è stato seguito. Sul destino di Ciancio siamo indifferenti”.

I familiari di Montano, così come l’Ordine dei giornalisti della Sicilia, l’associazione antimafia ‘Libera’ e il Comune di Catania si erano costituiti parte civile.

 

La ‘Voce’, quasi trent’anni fa, pubblicò non poche inchieste sui ‘Cavalieri dell’Apocalisse mafiosa’, il poker Cassina-Costanzo-Finocchiaro-Rendo, secondo la definizione coniata da ‘I Siciliani’, la storica rivista animata da Pippo Fava, ammazzato da Cosa nostra.

Michele Gambino

E fu proprio un suo allor giovane redattore, Miki Gambino, a scrivere per noi svariati pezzi, anche perché all’epoca in particolare un Cavaliere, Carmelo Costanzo, s’era tuffato nel business della ricostruzione post terremoto 1980 in Campania (e nell’affare Monteruscello, la Pozzuoli bis).

In un paio di reportage dell’estate 1985 faceva capolino anche il nome di Mario Ciancio. Ecco uno dei passaggi: “Costanzo punta decisamente in alto, con il suo 18% nientemeno che del gruppo Repubblica/Espresso. E’ poi azionista con un altro big siciliano, Mario Ciancio, al ‘Giornale di Sicilia’ e alla ‘Sicilia’ di Catania”.

 

 

Venezia

Passiamo ad un caso ben minore, comunque in grado di far segnare il primato nazionale sul fronte della durata (sic) dei processi.

Stavolta ci tuffiamo in Laguna, dove a novembre scorso si è concluso un processo, stavolta civile, iniziato nel 1973 al tribunale di Venezia. La querelle riguardava l’esproprio di un terreno nel piccolo comune di Cavallino, secondo l’allora ministero dell’Economia e l’Agenzia del Demanio destinato a servire per realizzare una diga nel post alluvione del 1966, la devastante ‘Acqua Granda’ che devastò il Polesine.

I proprietari del terreno che volevano attrezzare l’area a camping si opposero: persero il primo grado di giudizio nel 1997, e poi si aggiudicarono nel 2017 il secondo. Da qui il ricorso dei perdenti e la ‘storica’ sentenza a loro favore della Cassazione di novembre 2023. 17 mila e 700 euro per danni. Ok?

Con molta calma…

P.S. Per gustare in modo che più abbondante non si può il piatto ‘Giustizia in crac’, vi consigliamo caldamente di leggere la cover story messa in rete e pubblicata sul nostro sito poco più di una settimana fa circa le motivazioni della ‘Sentenza Wada-Voce’ di cui abbiamo spesso scritto.

Parla da sola.

 

VOCE CONDANNATA NEL PROCESSO CONTRO WADA / ARTICOLI OK. MA IL TONO…


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