VOCE CONDANNATA NEL PROCESSO CONTRO WADA / ARTICOLI OK. MA IL TONO…

Condannata la ‘Voce’ al processo ‘WADA’ lo scorso novembre: adesso sono note le motivazioni della sentenza.

La Voce ha scritto in pieno la verità dei fatti, ossia quanto documentato in un anno di inchieste pubblicate nel corso del 2017, una quindicina. Quei fatti – lo attesta il giudice – erano di grosso interesse pubblico, perché riguardavano il giallo Schwazer, relativo alle note vicissitudini nel campione altoatesino di marcia, Alex Schwazer appunto.

Ma il ‘tono’, soprattutto dei titoli, è troppo ‘forte’, manca la dose giusta di ‘continenza’, per cui l’onore e la reputazione della ‘World Anti Doping Agency’ (WADA) sono stati violati e vanno adeguatamente risarciti (in sede civile).

Alex Schwazer

Ecco, in estrema sintesi, l’epilogo – al processo di primo grado – di una vicenda cominciata nel 2017 con quel fiume di articoli e inchieste, la querela sporta da WADA nel 2018, quindi l’inizio del processo davanti alla prima sezione penale del tribunale di Napoli, giudice Cristiana Sirabella.

Abbiamo documentato, sulla Voce, tutto l’iter processuale, udienza per udienza. Evidenziando, tra l’altro, che a fine 2021 il legale di WADA, Stefano Borrella di Milano, ha avanzato espressa richiesta di remissione della querela. Una remissione che, proprio in quella udienza, è stata rifiutata dal direttore della Voce ed autore degli articoli e delle inchieste, Andrea Cinquegrani: il quale, ribadendo di aver rispettato tutti i criteri deontologici e del buon giornalismo, ha sostenuto di voler ottenere giustizia in aula, celebrando il processo.

 

Alessandro Donati

Abbiamo dato conto della fondamentale verbalizzazione, a giugno 2023, di Alessandro Donati, il preparatore sportivo di Schwazer che ha dedicato tutta la sua vita a perseguire l’uso del doping nell’atletica. Autore nel 2021 de ‘I Signori del Doping’, con chiaro riferimento proprio a WADA, Donati ha illustrato in udienza quel giallo tappa per tappa, e quel ‘Sistema Wada’, facendo esplicito riferimento ad una sfilza di ‘anomalie’ grosse come una casa, e rammentando l’esplosiva ordinanza firmata a dicembre 2020 dal gip del tribunale di Bolzano, Walter Pelino, che non solo ha scagionato Schwazer da ogni accusa, ma ha puntato i riflettori contro gli ‘accusatori’, ossia WADA e IAAF, la federazione internazionale di atletica che oggi si chiama ‘Word Athletics’. Pelino ha chiesto di aprire un processo a carico di WADA e IAAF, accusandole senza mezzi termini (e con parole che pesano come macigni) tra l’altro, addirittura, di ‘frode processuale’.

 

Il gip Walter Pelino

Abbiamo poi riferito come nell’udienza finale il pm Daniela Cucaro Santissimo, con la sua requisitoria, si sia a lungo soffermata sul valore del giornalismo d’inchiesta, come quello portato avanti dalla Voce in tanti anni. Un valore – ha sottolineato – ribadito in una recentissima sentenza della Cassazione che illustra in che modo il giornalismo investigativo debba godere di particolari tutele, anche perché spesso può essere molto utile per aprire inediti scenari ‘giudiziari’ (come è successo nel caso delle inchieste Voce 2017, con riferimento all’ordinanza Pelino di fine 2020).

 

 

E proprio nel corso di un altro iter giudiziario che ha visto contrapporsi la Voce al gruppo Marcucci (leader in Italia e non solo sul fronte degli emoderivati con la sua corazzata Kedrion), a giugno 2021 il gip del tribunale di Napoli Valentina Gallo ci ha pienamente assolti per aver rispettato i tre criteri base, sottolineando che il ‘tono’ può anche essere ‘forte’ (quasi strillato) se si è in presenza di argomenti e temi di particolare impatto sociale: come possono essere la tragica vicende del ‘sangue infetto’ o il ‘giallo Schwazer’ (con tutte le implicazioni sul versante del doping tra gli atleti, soprattutto giovani).

Non vogliamo dilungarci oltre, passando quindi alla disamina di alcuni punti della sentenza firmata dal giudice Sirabella che potete leggere integralmente – per completezza di informazione – cliccando sul link a seguire.

In basso trovate poi il link dell’ultimo pezzo sulla vicenda ‘Voce-Wada’, in cui a sua volta potete reperire riferimenti ad altri pezzi di fondamentale importanza: soprattutto quelli che si riferiscono alla ‘storica’ ordinanza del gip Pelino, nonché il testo della altrettanto ‘storica’ sentenza della Cassazione a proposito del giornalismo d’inchiesta.

 

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Proprio nelle prime righe de ‘I motivi della decisione’ (pagina 2) scrive testualmente il giudice: “Giova evidenziare che la piattaforma probatoria a carico dell’imputato (Cinquegrani, ndr) è costituita dalla denuncia sporta dalla P.Q. (parte querelante, ndr), Agenzia Mondiale Antidoping – World Anti Doping Agency (WADA), della cui attendibilità quanto ai fatti denunciati non si ha motivo di dubitare, non emergendo dagli atti altri rapporti tra le parti, diversi da quelli per i quali si procede, che possano far pensare ad un uso strumentale della denuncia o ad intenti calunniatori nei confronti dell’imputato, che alcun rapporto pregresso aveva con il denunciante”.

Sorge subito spontanea la domanda: possibile che l’impianto sul quale il giudice basa il suo convincimento sia sostanziato in primis sulla denuncia stessa, presa come oro colato?

A che serve, allora, lo svolgimento stesso del processo se tutto dipende dal contenuto della querela, sulla cui “attendibilità non si ha motivo di dubitare”?

Subito dopo (sempre a pagina 2) così prosegue il giudice: “Ebbene, dalla denuncia querela emerge che oggetto della stessa è costituito da una campagna diffamatoria posta in essere dal sito wwwlavocedellevoci.it nei confronti della WADA, in relazione al noto caso di doping che ha riguardato il marciatore altoatesino della nazionale italiana di atletica leggera, Alex Schwazer”. Di nuovo, viene immediatamente presa per buona, ottima, la definizione di “campagna diffamatoria” (ancora pagina 2) usata dai legali di WADA. Composta da articoli e inchieste “lesivi dell’onore e della reputazione di WADA”, scrive il giudice (pagina 4), così come le avevano etichettate nella loro querela i legali dell’Agenzia.

“Tale intento diffamatorio veniva perseverato” (pagina 69), continua il giudice: elencando per svariate pagine titoli, sommari e testi praticamente di tutti gli articoli e inchieste della Voce pubblicati nel corso del 2017.

Soltanto nelle pagine finali della sentenza (dalla 15 alla 20, in sostanza) troviamo il ‘cuore’ di tutta la vicenda giudiziaria. Il giudice, infatti, passa ai raggi x i famosi tre criteri base del buon giornalismo e delle norme che lo regolano, ossia la ‘verità’ dei fatti, l’‘interesse pubblico’ alla conoscenza di quei fatti e la ‘continenza espositiva’.

Vediamo, punto per punto, cosa stabilisce la sentenza.

 

FATTI VERI E DI GRANDE INTERESSE PUBBLICO

In via preliminare, comunque, viene osservato (pagina 15) che “nel caso in esame non soccorre la causa di giustificazione del diritto di cronaca atteso che per consolidata giurisprudenza tale diritto può essere esercitato anche quando derivi danno all’altrui reputazione purchè vengano rispettati tre limiti”, ossia quelli appena ricordati.

Per inciso, il giudice non fa riferimento al ‘diritto di critica’, pur espressamente previsto dalla legge e dalle norme in materia di diffamazione: come mai?

Visto che il ‘diritto di critica’ prevede appunto anche quei ‘toni forti’, nel caso soprattutto di pezzi di particolare impatto sociale?

Entriamo nel merito e vediamo cosa scrive il giudice (pagina 15) sul primo, fondamentale punto relativo alla ‘verità’ dei fatti, così come riportati negli articoli contestati.

Il Tribunale di Bolzano

“Nel caso di specie, certamente il Cinquegrani, nell’ambito della sua attività di giornalismo investigativo, verificava la veridicità delle notizie che pubblicava e l’attendibilità della fonte, consultando testate giornalistiche internazionali che, già prima di lui, avevano trattato il caso; seguiva l’andamento delle indagini della Procura di Bolzano in relazione alla fissazione dell’incidente probatorio fissato dal Gip in relazione al prelievo dei campioni biologici del marciatore e gli eventuali esiti di tale accertamento; consultava telefonicamente il prof. Donati, preparatore atletico di Schwazer che, nella sua qualità, era informato dei fatti che riguardavano il marciatore”.

Passiamo al secondo elemento, l’interesse pubblico ai fatti narrati (pagina 16).

Sottolinea il giudice: “Anche il secondo profilo, relativo alla pertinenza della notizia, certamente risulta rispettato, atteso che il giornalista trattava di un caso particolarmente interessante sotto il profilo dell’interesse pubblico, relativo ad un marciatore italiano, noto campione di marcia nei 50 km. (…) In tal senso, la fama mondiale dello sportivo e il suo coinvolgimento in vicende di doping denota, senza ombra di dubbio, che si trattasse di una notizia il cui interesse pubblico alla conoscenza dei fatti era certamente forte”.

Ma eccoci al terzo tassello clou.

 

E’ UNA COLPA AVER ANTICIPATO DI 3 ANNI I FATTI?

Sottolinea il giudice (sempre a pagina 16): “Di contro, a parere dello scrivente, il terzo requisito richiesto per poter invocare la scriminante del diritto di cronaca, quello della pertinenza, non appare rispettato dall’imputato”.

Un evidente ‘refuso’, perché sulla pertinenza si era già pronunciato; qui, ora, si tratta di ‘continenza’.

E poi testualmente dettaglia: “Ed invero, seppure Cinquegrani, nella sua attività di giornalismo investigativo, riportava fatti e notizie veri e di rilevante interesse pubblico pubblicando sul giornale on line ‘lavocedellevoci’ numerosi articoli nei quali, esprimeva la sua perplessità in relazione al modus operandi della WADA e della IAAF che egli accomunava non solo in relazione allo scopo che le due Agenzie si prefiggono di perseguire, ma piuttosto nell’accanimento dalle stesse mostrato in relazione all’accertamento di positività al doping del campione Alex Schwazer, anticipando, di fatto, nei suoi articoli, le valutazioni espresse, a seguito in sede di ordinanza di archiviazione emessa (il 26.11.2020), su richiesta della Procura di Bolzano, in favore del marciatore dal Gip del Tribunale di Bolzano tre anni dopo la pubblicazione da parte dell’imputato dei suoi articoli”.

Di tutta evidenza (potete verificare il testo originale della sentenza, cliccando sul link in basso) la frase rimane monca…

Prosegue e precisa la sentenza (pagina 17): “La circostanza che l’imputato abbia nei suoi articoli anticipato le conclusioni cui giungeva dopo tre anni il gip del tribunale di Bolzano, non può scriminare il Cinquegrani dal reato in contestazione (diffamazione, ndr.) atteso che il Magistrato esprimeva, all’esito di accertamenti effettuati in sede di indagine, le sue valutazioni in un’ordinanza nell’ambito di un processo penale, laddove l’imputato, nell’ambito di un’attività di giornalismo investigativo pur giungendo con anticipo a conclusioni che nella sostanza risultano corrette e comunque pienamente avallate, a posteriori, da quanto riportato nell’ordinanza del Gip, nel pubblicare i suoi articoli non si atteneva certamente al principio di continenza”.

Siamo al vero nodo, all’autentica questione bollente: la ‘continenza’, il ‘tono’.

Veri incontestabilmente i fatti narrati dalla Voce, fatti di grosso interesse pubblico, articoli che hanno anticipato di oltre tre anni quanto poi stabilirà con un’ordinanza il gip di Bolzano (non un signor nessuno); bene, l’autore e la Voce sono colpevoli di lesa maestà, ossia di aver usato un tono troppo ‘forte’ che ha profondamente offeso onore e reputazione di WADA (e di IAAF che stranamente non ha mai querelato). E pur se lo stesso gip Pelino – come potete agevolmente verificare scorrendo le 89 pagine della sua storica ordinanza – ha usato frasi, termini e toni di gran lunga più ‘forti’ rispetto a quelli dei nostri articoli!!

Nelle pagine seguenti (metà 17-18-19 e inizio 20) segue la lunga carrellata di titoli, sommari o incipt in pratica di tutti (o quasi) gli articoli al centro della querelle, ritenuti, appunto, troppo ‘forti’, taglienti, denigratori.

 

Arriviamo alle conclusioni (pagine 20 e 21).

“Ritiene il giudicante che il continuo accostamento della WADA e della IAAF al concetto di ‘combine’, il ricorrente affermare che l’organismo in questione, creato con lo scopo del contrasto al doping, tradisse la sua ‘mission’, omettendo volontariamente i controlli, insabbiando le prove, depistando e lucrando sull’industria del doping; ma soprattutto l’accostamento della WADA a scandali del tutto estranei all’organismo e relativi a casi di tangenti e di arresti eclatanti, l’accostamento della WADA a fatti di criminalità organizzata (con riferimento alla Commissione Antimafia) rispetto ai quali l’Agenzia era del tutto estranea, ma soprattutto l’accostamento della WADA ai concetti di ‘Mafia’, ‘mafiosi’, di ‘piovra mafiosa e i suoi tentacoli’, di ‘collusione e corruzione’ in relazione a fatti non provati (almeno all’epoca della pubblicazione degli articoli), di ‘componenti della gang’, non consentono di ritenere rispettato il limite della continenza, richiesto ai fini della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca”.

E il rush finale: “Anche l’elemento psicologico risultata integrato ed è costituito dal dolo generico consistente nella coscienza e volontà da parte del Cinquegrani di ledere la reputazione della WADA che veniva apostrofata ed indicata come un organismo corrotto, colluso, mafioso, ritenendo che l’imputato, nel corso della sua attività, abbiamo mostrato una particolare pervicacia, portando avanti la sua tesi nel corso del tempo (circa 10 mesi) in cui pubblicava 15 articoli del medesimo tenore”.

Segue la condanna, per Cinquegrani, a 700 euro di multa, 2000 euro per spese di giudizio e “al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile WADA da liquidarsi in separata sede”.

 

P.S. Siamo fieri di questa sentenza. E per tal motivo ringraziamo di cuore il giudice Sirabella.

Oggi, non cambieremmo una sola virgola di quegli articoli. Li scriveremmo nello stesso, identico modo.

Siamo felici che possano aver costituito, per il gip di Bolzano, una efficace base di ‘giornalismo d’inchiesta’.

 

P.S. II. Vi consigliamo caldamente la visione di un film disponibile via Netflix. Si tratta di ‘Concussion’ (distribuito anche come ‘Game Brain’ e in Italia con il titolo ‘Zona d’ombra’), regista nel 2015 Peter Landesman, nel cast un ottimo Will Smith.

Racconta una storia vera mai venuta, almeno da noi, pienamente alla ribalta: ossia la epica lotta di un anatomopatologo e medico legale afroamericano contro NFL, ossia la ‘National Football League’a stelle e strisce.

Un vero colosso.

Proprio come WADA

 

 

 

LA SENTENZA WADA

 

 

 

 

 

 

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Un commento su “VOCE CONDANNATA NEL PROCESSO CONTRO WADA / ARTICOLI OK. MA IL TONO…”

  1. Antonio Diego ha detto:

    Le motivazioni paiono, a giudizio profano, risentire di fragile competenza e conoscenza/esperienza del Giornalismo d’Inchiesta, e di leggerezza di giudizio per motivi non facilmente individuabili! ….?…

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