Salute mentale / Dalla chiusura dei Manicomi all’apertura delle REMS

Come mai in Italia non è stata mai attuata la rivoluzionaria ‘legge Basaglia’ che 45 anni fa aboliva i manicomi?

Perché non sono mai state messe in campo quelle strutture territoriali in grado di aiutare sul serio chi è psicologicamente debole, fragile, ‘diverso’, e quelli che un tempo venivano etichettati come ‘pazzi’, ‘folli’ e sbattuti in manicomio a marcire?

Strutture, soprattutto, in grado di aiutare i familiari, per decenni lasciati letteralmente da soli a fronteggiare il problema sempre più grave?

Come dimostrano anche le vicende degli ultimi anni, degli ultimi mesi, ormai quotidiane, con scoppi di violenza in soggetti all’apparenza tranquilli, calmi, ‘normali’.

Walter Di Munzio nella Biblioteca dell’ex Ospedale Psichiatrico Vittorio Emanuele II di Nocera Inferiore. Sopra, una foto di Luciano D’Alessandro per il libro “Sopra la panca”

Nel pezzo che segue lo psichiatra e firma della ‘Voce’, Walter Di Munzio, affronta il problema. Come quello delle cosiddette ‘REMS’, ossia le strutture che dovrebbero sulla carta fronteggiare problemi giganteschi e poco, purtroppo, riescono a fare.

Perché è sempre mancata, in Italia, una reale volontà politica di attuare la Basaglia. Anche per favorire i soliti interessi privati (vedi in questo caso le cliniche) che frenano ogni progresso civile e sociale, a favore della salute di tutti i cittadini.

Un ricercatore di grande valore, Di Munzio, per anni e anni al fianco dell’indimenticabile Sergio Piro, uno dei fondatori e animatori di ‘Psichiatria Democratica’, fianco a fianco di Franco Basagliache dal suo avamposto triestino lottava per abbattere quei manicomi, quelle ‘istituzioni totali’ che erano la totale non-soluzione del disagio psichico.

La Voce fin dagli anni ’70 ha pubblicato articoli, inchieste e reportage sulle ‘istituzioni totali’ e moltissime proprio sui manicomi. Seguendo con grande interesse quanto Sergio Piro ha realizzato negli anni, prima a Materdomini, fino alla ‘rivoluzionaria’ esperienza del Frullone a Napoli: negli anni in cui stava per decollare la Basaglia.

E il primo libro edito dalla nuova Voce negli anni ’80 (per la precisione nel 1987) è firmato proprio da Sergio Piro e Walter Di Munzio, “Sopra la panca – storia senza conclusione di follia, manicomi e riforme in Campania”, corredato da una stupenda serie di foto griffata Luciano D’Alessandro. Quelle foto che oggi sono ospitate in una bellissima sala dell’ex manicomio ‘Vittorio Emanuele II’ di Nocera Inferiore, al quale la Voce ha appena dedicato una corposa pubblicazione che potete trovare sul nostro sito (in basso trovate il link).

Sergio Piro

Sergio Piro, tra l’altro, ha collaborato per anni alla ‘Voce’, con le sue imperdibili rubriche, ‘la Biro di Piro’ e ‘senzatitolo’.

Ecco quindi, a seguire, l’intervento-inchiesta firmato da Walter Di Munzio: il quale, tra l’altro, è il coordinatore scientifico della Fondazione Cerps che negli ultimi anni ha valorizzato, e continua a valorizzare, l’immenso e preziosissimo archivio-biblioteca del Vittorio Emanuele II.

 

 

 

 

 

L’antica sede del Vittorio Emanuele II

 

LA LUNGA RIVOLUZIONE BASAGLIANA

Nel 1978 è iniziata la lunga rivoluzione basagliana dell’assistenza psichiatrica, prima con la legge 180 (nota in tutto il mondo come legge Basaglia) approvata a maggio e poi a dicembre di quello stesso anno integralmente assorbita nella legge 833 che istituì in Italia il Servizio Sanitario Nazionale.

Con queste leggi si avviò nel nostro paese una straordinaria stagione di riforme e di innovazione organizzativa che – sulla spinta di un grande movimento di opinione che vide coinvolti assieme operatori sanitari, studenti e, soprattutto e per la prima volta, giornalisti e tanti operatori dell’informazione – ha radicalmente riformato l’assistenza psichiatrica italiana. Ha chiuso, primi al mondo, i grandi manicomi, ha posto con forza la questione dei diritti civili e del rispetto umano per migliaia di persone “recluse” in quelle che erano definite “istituzioni totali”.

Altre foto di Luciano D’Alessandro

Una rivoluzione sociale che rese l’Italia migliore anzi, per la prima volta, la fece diventare il riferimento mondiale per tutti coloro che operavano nel settore e che percepivano la violenza intrinseca e l’assoluta insostenibilità di quell’assurda forma di reclusione sanitaria che si mascherava di cura e di accudimento.

Solo chi ha lavorato in quegli anni nei manicomi può veramente capire e ricordare quei corpi seminudi che vagavano senza meta in stanzoni spogli e senza alcun conforto umano. Molte le testimonianze di quel periodo, di psichiatri, studenti, artisti e fotografi. In Campania ricordiamo le famose fotografie scattate da Luciano D’Alessandro e gli scritti di Sergio Piro, riferimento prestigioso di un’intera generazione di professionisti, l’uomo che ha cambiato profondamente le forme organizzative dell’assistenza ai malati mentali, che ne ha decodificato il linguaggio, che ha impostato una nuova pratica e una teoria rivoluzionaria della cura e del reinserimento sociale.

Erano in tutta Italia gli anni della chiusura dei manicomi e del definitivo superamento di quel concetto “decenza formale” che aveva consentito sino a quel momento di rinchiudere uomini, donne e, a volte, persino bambini in quei lager immondi al solo scopo di sottrarre alla vista della popolazione dei “normali” tutti coloro che con atteggiamenti, o comportamenti, fuori dalla norma potevano creare disagio o stupore agli altri, siano essi parenti o cittadini integrati nella società civile. Lavoro, famiglia e moralismo acritico.

Erano i principi imperanti, ma i folli no. Erano costantemente rifiutati perché facevano paura. Allora come oggi erano considerati pericolosi, violenti e incapaci di inserirsi perché trasgressivi e diversi.

Poi i grandi movimenti di massa nati dal sessantotto, diffusero soprattutto tra i giovani, gli atteggiamenti più trasgressivi e solo allora ci si cominciò a porre domande sul comportamento dei folli. Si capì allora che non erano né incapaci di lavorare, né di comunicare, né erano incurabili. E, proprio dal nostro Paese, partì quella magnifica sperimentazione sull’intero territorio nazionale, che dimostrò al mondo che era veramente possibile costruire una rete di strutture più piccole e vicine ai territori capaci di ospitare i malati mentali, e di curare la malattia, ma anche di avviare programmi di riabilitazione e di reinserimento sociale, abitativo e lavorativo.

Il tutto gestito da una rete multiprofessionale di operatori, rete costituita non solo da medici e infermieri, ma anche da psicologi, sociologi e molti nuovi profili formati ad hoc, quali sono stati i tecnici della riabilitazione psichiatrica, gli animatori di comunità e gli operatori sociosanitari, dalle cooperative sociali di supporto, dai gruppi di auto aiuto e dalle aggregazioni spontanee di ex pazienti, familiari, volontari e cittadini. Alcuni di questi profili furono poi, grazie ai cambiamenti attivati dalla riforma della psichiatria, valorizzati e fatti propri persino dall’università e sono stati oggetto di specifici corsi di laurea.

Ma questi grandi cambiamenti non coinvolsero allo stesso modo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). Queste strutture continuare a funzionare accogliendo gli autori di reato, quelle persone non condannabili perché giudicate incapaci di intendere e volere. Ma erano una piccola minoranza tra i malati mentali.

Solo oltre 40 anni dopo si affrontò il problema della chiusura anche degli OPG. Furono istituite le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) previste dalla legge 81 del 2014 per accogliere in strutture più piccole e vicine ai territori di appartenenza le persone affette da disturbi mentali e autori di reato. A queste persone la magistratura poteva ora applicare una misura di sicurezza detentiva alternativa al ricovero nei vecchi Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Allora fu finalmente possibile chiudere le ultime strutture manicomiali ancora attive, quei vecchi Manicomi Criminali che saranno definitivamente aboliti solo nel 2013 e realmente tutti chiusi il 31 marzo 2015.

Si concludeva allora il complesso circolo del processo riformatore avviato nel 1978, processo che aveva consentito l’apertura delle nuove strutture e quelle previste per compiere la transizione verso la Sanità Territoriale, già indicata nel 1968 dalla legge 833, ma ora ribadita anche dal PNRR: le Case della Salute e gli Ospedali di Comunità.

Quando (e se) riusciremo a compiere quest’ultimo passo avremo finalmente ripristinato la legittima integrazione della salute mentale nella sanità pubblica, sempre attenti a garantire l’integrazione con le strutture del settore sociale (case-famiglia, gruppi di convivenza, comunità terapeutiche e socioassistenziali).

Esattamente quell’operare sociale e sanitario sperimentato in psichiatria negli anni della riforma nelle diverse strutture attivate dopo la chiusura dei manicomi. Strutture ispirate alla centralità del territorio nella gestione delle cure, alla forte integrazione operativa tra strutture di assistenza territoriali e strutture di tipo ospedaliero, alla composizione multidisciplinare delle equipe di gestione delle malattie… non solo quelle mentali.

Non è certamente un caso se il modello che ha ispirato la stesura della parte del PNRR relativa alla transizione verso la Sanità Territoriale è integralmente derivata dall’esperienza fatta sul campo, in cinquant’anni, dalla nuova organizzazione della psichiatria. Un percorso rivelatosi vincente e possibile, anche a fronte delle costanti difficoltà di finanziamento.

Oggi sarebbe necessario attivare un terzo Progetto Obiettivo Nazionale Salute Mentale – dopo i primi due che consentito la corretta attivazione prima dei nuovi servizi territoriali di salute mentale e che poi ha normato sia gli standard di personale e poi le procedure di funzionamento nell’ambito delle varie tipologie di strutture attivate, per normare, finalmente, i percorsi di integrazione operazionale con il resto del mondo della sanità e con i servizi sociali. Questi ultimi ancora dispersi tra comuni, zone sociosanitarie e aggregazioni territoriali di comuni.

Sarebbe l’ultimo step necessario per non perdere di vista gli obiettivi della riforma.

 

 

 

 

LINK

Leggi la monografia sul Vittorio Emanuele II  

SCRITTI DA LEGARE

https://www.lavocedellevoci.it/monografia-biblioteca-nocera-vvv/

 

 

 

 

I DUE VIDEO

SCRITTI DA LEGARE – IL VIDEO – Prima e seconda parte


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