Giornalisti in catene – Risarcimento da 80mila euro ad una giudice contro “Fuori dal coro”

Volete chiamarlo baccarat? Preferite il gioco del lotto? La roulette? Di sicuro in Italia quando un povero cristo intenta una causa per rivendicare i propri diritti, sente che nel migliore dei casi sta entrando in una specie di casinò, dove si gioca un poker al buio e il banco vince sempre. Lo sanno sulla loro pelle le migliaia e migliaia di italiani vittime, quasi sempre oscure, di malagiustizia, ben consapevoli del fatto che il giudice che ha sbagliato, o è stato smaccatamente di parte, non solo non andrà incontro ad alcuna punizione, ma anzi proseguirà a gonfie vele nella sua progressione automatica di stipendio e carriera.

Enrico Costa

Ben diversamente vanno le cose se a promuovere un giudizio con richiesta di risarcimento danni è un magistrato. Il battagliero deputato di Azione Enrico Costa, da sempre sulle barricate per la difesa dei diritti, in un tweet di poche ore fa ha rivelato il contenuto di un studio statistico secondo cui «quando a fare causa è un magistrato, gli accoglimenti sono maggiori della media, i risarcimenti superiori, i tempi dei processi più brevi».

Il cinguettio di Costa è arrivato a margine della notizia del risarcimento da 80mila euro che una ex pm di La Spezia riceverà per essersi sentita diffamata dalla trasmissione di Rete 4 “Fuori dal coro”, modello di sano giornalismo d’inchiesta condotto da Mario Giordano.

 

Mario Giordano

Ma c’è ancora di peggio perché, come spiega l’ottimo Maurizio Blondet nel pezzo tratto dal suo blog che trovate qui di seguito, nella sentenza in cui ha assegnato il risarcimento d’oro alla magistrata il giudice è arrivato al punto di scrivere che non è necessario scrivere cose false per beccarsi una condanna per diffamazione. Calpestati così, in un colpo solo, i principi deontologici e giuridici che dall’origine del Codice Rocco ad oggi regolano le condotte dei giornalisti: verità dei fatti, continenza nell’esposizione e rilevanza pubblica della notizia. Tutto spazzato via da questa sentenza.

Nell’esprimere la massima solidarietà ad un maestro di giornalismo qual è Mario Giordano, noi della Voce segnaliamo i tanti articoli già pubblicati che documentano come sia stato possibile ridurre in schiavitù ed in miseria giornalisti che avevano solo esercitato il dovere d’informazione, rispettando alla lettera i tre principi sopra ricordati.

Vi rimandiamo ai link sotto riportati, ma qui vogliamo ricordare ad esempio il caso di una giornalista ormai settantacinquenne, paziente oncologica, che a ventitrè anni dalla pubblicazione di un articolo riguardante un magistrato, pur avendo dimostrato per tabulas nei tre gradi di giudizio la verità dei fatti narrati ed esposti in forma british, si vede prelevare ogni mese un quinti della misera pensione di invalidità in favore di quel magistrato che si era sentito diffamato, persona peraltro assai facoltosa, che di quei 100 euro al mese non avrebbe certo necessità, mentre sarebbero indispensabili alla ex giornalista per pagarsi le cure anticancro…

Quanto agli 80mila euro di cui parlavamo a proposito dell’articolo di Blondet, sommessamente ricordiamo che nella vicenda giudiziaria del 2014, responsabile della chiusura dell’edizione in edicola della Voce dopo 30 anni di storia, la presunta diffamata, conterranea ed amica di Antonio Di Pietro, aveva chiesto un risarcimento di 40,000 euro. Ma il giudice di Sulmona aveva voluto fare le cose alla grande, assegnandole oltre centomila euro….

Qualcuno ha detto basta, basta piangersi addosso. Contro simili scempi giudiziari occorrerebbero riforme epocali, decisive, in grado di ripristinare in questo Paese la Democrazia e il Diritto, sfigurati da simili vicende. E non è detto che prima o poi queste riforme non arrivino. Perché una è già quasi in cantiere e presto ne daremo ai lettori della Voce notizie più precise…

 

 

Vendetta e intimidazione di un giornalista

 

Maurizio Blondet

Una magistrata riceverà un risarcimento di 80mila euro per essere stata diffamata dalla trasmissione televisiva di Rete 4 “Fuori dal coro”

80 mila euro sono una cifra enorme, inaudita per questo genere di cause. Sono chiaramente la vendetta della corporazione togata per il direttore di una trasmissione che tante volte ha messo in luce l’inazione-omertà dalla casta magistratuale di fronte ai danneggiati (o morti) da vax mRNA e alle imposture e feroci e arbitrarie repressioni delle libertà agite dalla dittatura terapeutica.

I lettori che – anche giustamente – si indignano di fronte ai giornalisti-seri che diffondo le menzogne ufficiali prescritte dall’Alto dell’Agenda di Spopolamento 2030, considerino dall’esempio di Giordano cosa ci si guadagna, da giornalisti-lavoratori dipendenti da un editore attento ai profitti – a dire la verità: il licenziamento o almeno l’esautoramento dal programma, la tacitazione-censura da parte dell’editore, che conta i danni che diffondere la verità gli procura. La punizione da 80 mila euro a carico dell’editore, è dunque non solo vendetta ma anche intimidazione.

Qui il testo della “sentenza”:

Secondo la sentenza – di cui il Corriere della Sera ha pubblicato alcune parti – la trasmissione non avrebbe solo criticato l’operato della magistrata, ma l’avrebbe diffamata esponendo «inutilmente la persona del magistrato al pubblico scherno». Fuori dal coro è condotta dal giornalista Mario Giordano, che è stato condannato al risarcimento insieme a RTI, la società di proprietà di Mediaset che produce il programma. Giordano e RTI sono stati condannati a risarcire 20mila euro per ognuna delle quattro puntate in cui si parlava della vicenda: è una cifra piuttosto alta per una causa di questo genere.

Secondo il giudice che ha emesso la sentenza, per agire nei limiti del diritto di critica la trasmissione avrebbe dovuto rivolgere le critiche genericamente alla procura di Massa, quindi un «ufficio impersonale», senza attaccare personalmente la magistrata, esponendola così «a pubblico ludibrio».

La “sentenza” stabilisce anche un nuovo principio del diritto: da scolpire in bronzo, come le XII Tavole

[…] Per arrivare a una condanna per diffamazione non è necessario che si dica una cosa falsa, si può diffamare anche dicendo una cosa vera […]

 

 

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