Uno scienziato e il suo doppio. Il primo è Ishiguro Hiroshi, scienziato giapponese docente all’Università di Osaka considerato uno dei massimi esperti mondiali di intelligenza artificiale e robotica umanoide. Il suo doppio è Geminoid, un robot perfettamente identico al suo creatore, al punto da sostituirlo in molte alcune occasioni pubbliche, persino per tenere conferenze o lezioni, senza che mai gli interlocutori si si siano accorti di alcunché. “Ci abitueremo presto alle macchine e, grazie a loro, miglioreranno la nostra vita” ripetere nelle numerose conferenze e letture magistrali che da anni il professor Hiroshi tiene in tutto il mondo. Ha costruito un suo sosia androide, utilizzando persino con i suoi capelli, capace di fare e pensare tutto ciò che lui fa e pensa.
“Dobbiamo accettare l’idea che è ormai possibile superare i limiti del nostro corpo – dice spesso – anche perché possiamo tranquillamente essere sostituiti dalle macchine …” e in effetti ciò già avviene da tempo. Basti pensare alla produzione industriale, che utilizza da anni sulle catene di montaggio, dove lavorano macchine robotizzate e si utilizza sempre meno manovalanza umana. Ma pensate soprattutto, più banalmente, alle tante protesi che utilizziamo. Sono entrate a pieno titolo nei volumi di medicina già dal secolo scorso. “… è tempo di realizzare – continua con convinzione – una vera ed efficace simbiosi tra umani, robot e avatar, una integrazione che sarà capace di produrre una crescita evolutiva … che non dovremmo mai confondere con una illusoria idea di immortalità”. Dovremmo, insomma, essere consapevoli che la differenza tra uomo e animale, dal punto di vista evolutivo, risiede nella prerogativa tutta umana di utilizzare la tecnologia.
Un obiettivo da porci con crescente consapevolezza dovrebbe essere, secondo il professor Hiroshi, quello di arricchire la nostra con vita utilizzando consapevolmente la tecnologia di cui disponiamo. Secondo lo scienziato giapponese, in ultima analisi, il genere umano “viene dall’inorganico e tornerà ad essere inorganico” a differenza di un suo sosia androide che continuerà a svolgere i suoi compiti per molto tempo ancora. Dovremmo, anche per questo, abituarci ad utilizzare avatar o robot androidi e a non concepire più l’uomo solo come una felice combinazione di cervello e corpo. Non a caso le ricerche moderne sull’intelligenza artificiale si orientano velocemente ad approfondire il concetto di “coscienza”.
Anche in Italia si lavora sulla IA per cominciare ad integrare robot e avatar nella vita sociale. Queste “macchine” possono lavorare accanto agli esseri umani, in tutti i campi del sapere. Dalla fisica alla medicina, dalle scienze umane all’economia.
Si pone, a tutti i livelli, il grande tema della “fiducia” nelle macchine, una questione da affrontare nel momento stesso in cui si affidano a queste compiti decisionali. Per questa ragione si è deciso di costituire nell’università di Milano un Humane Technology Lab, nel quale studiosi provenienti da campi diversi inizieranno a lavorare assieme e a riflettere sui rapporti tra le nuove tecnologie e la dimensione dell’umano. All’interno del nuovo centro di ricerca ha già preso forma un programma di studio sui robot. Le narrazioni condivise in tema di robotica e IA tendono a polarizzarsi, declinandosi in senso entusiastico o catastrofista. Ciò che accomuna queste due opposte narrazioni è stato definito come una forma di “determinismo incantato”, che riduce la complessità dell’umano e della sua dimensione sociale nella razionale convinzione che bastino formalismi matematici per comprendere le innovazioni e le nuove intuizioni scientifiche evidenziate dalla ricerca sulla robotica e sulla IA. Si tratta però di una visione pseudo-neutrale e decontestualizzata. In quest’ambito le riflessioni del professor Ishiguro ci aiutano a ripensare, orientandoci proprio verso un nuovo antropocentrismo, concetto rilanciato persino da papa Francesco con il “Laudate Deum”.
La visione di Hiroshi Ishiguro si fonda sull’idea che le neuroscienze possono farci sviluppare robot umanoidi (come Geminoid) che ci fanno comprendere meglio gli esseri umani, agendo e lavorando al loro posto. “Un avatar eccede le abilità percettive ed espressive dell’essere umano”, ha dichiarato Hiroshi in una recente conferenza tenuta a Milano.
Ma perché dovremmo aver bisogno di un robot simile a noi? Magari solo per aumentarne la credibilità e l’accettazione da parte della restante comunità nell’ambito della quale deve lavorare. Pensate ai ristoranti da poco aperti in Giappone nei quali i clienti umani sono serviti da personale robot, sia ai tavoli che in cucina nel ruolo di addetti alla preparazione dei pasti. O pensate alle tante interfacce automatiche attive nei call centers o a quelle utilizzate da tempo da Amazon e da Google.
Grazie agli attuali studi neuroscientifici gli androidi da utilizzare nell’immediato futuro saranno realizzati sempre più sul modello umano, abbandonando quello metallico dei primi robot. “Gli androidi avranno sempre più non solo le forme, ma anche intenzioni e desideri simil umani tali da renderli autonomi … e questa sarà una vera e propria evoluzione per l’uomo. Forse allora potremo anche arrivare a costruire robot con una propria coscienza. Capire e riprodurre la coscienza degli umani sarà l’obiettivo di ricerca nel prossimo futuro ed entro il 2050, forse, avremo una società nelle quale le persone saranno liberate dai limiti del corpo, dello spazio e del tempo. Le capacità dell’essere umano saranno implementate dalla IA”. È questa l’ultima provocazione rilanciata dallo scienziato giapponese. Insomma, quello che vent’anni fa sembrava solo fantascienza assume oggi contorni verosimili. Hiroshi si è domandato che tipo di società avremo nel futuro. La sua risposta è quella di intravedere “… una società simbiotica, dove esseri umani e robot vivano insieme superando i vincoli del corpo, del cervello, dello spazio e del tempo”. Questa risposta ci rimanda un’immagine visionaria che è diventata ormai oggetto di ricerca.
Si apre un dibattito scientifico … e contemporaneamente etico, che dovrà prima risolvere paure e resistenze individuali e collettive.
Nella foto Ishiguro Hiroshi e il suo doppio
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