LE NUOVE MALATTIE MENTALI

Walter Di Munzio

Le malattie mentali, come tutte le patologie umane, sono aumentate esponenzialmente in questi anni post pandemici, in cui si sono combattute due sanguinose guerre ai confini e, ultimo evento scatenante, si è moltiplicato l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, con tutti i rischi connessi. Ma, ci chiediamo, quali sono le malattie ed i sintomi scatenati da questi tre eventi? Proviamo qui ad elencarne solo alcuni, scientificamente documentati per i primi due, mentre il terzo scenario, è forse un po’ fantascientifico, ma disegna un possibile scenario ipotetico nel quale invece crediamo.

Primo scenario: esiti post pandemici. Dopo una pandemia ancora non completamente superata, abbiamo registrato molti nuovi casi di disturbi ansiosi e depressivi, probabilmente causati dai lunghi periodi di confinamento sanitario e dalla conseguente riduzione dei rapporti interumani. Questo ha causato l’esplosione di un sentimento di diffidenza verso ogni forma di contatto con altre persone, viste come fonte di possibile contagio, e un ridimensionamento di molti rapporti sociali. Questa drastica riduzione dei contatti ha comportato, nei più giovani, un innaturale isolamento che ha impedito loro di partecipare ad eventi musicali, di semplice aggregazione o di tipo culturale. Queste limitazioni hanno causato un forte incremento dell’aggressività e una spinta ad aggregarsi in bande giovanili. Molti studi di comunità sono stati avviati durante e dopo la pandemia producendo dati che hanno indicato un incremento di casi di disturbo post traumatico da stress, di disturbi dell’adattamento e, più genericamente, di patologie di ambito psicologico-psichiatrico. Ma il dato che ci sembra più preoccupante è quello che evidenzia un significativo incremento degli esordi psicotici. Parliamo di psicopatologie gravi, generalmente già presenti sottosoglia e che quindi non si evidenziavano in forme così gravi, ma erano confinate sotto forma di semplici disturbi del comportamento … sovente letti come espressione di “cattivo carattere”, quindi accettati e tollerati dalle comunità di riferimento. Tutti questi disturbi hanno comportato lo strutturarsi di un forte senso di inadeguatezza che a sua volta ha comportato una ricaduta sul livello individuale di autostima.

Secondo scenario: Esiti psicopatologici generati dalla paura per le guerre in atto. Soprattutto se queste si combattono nei pressi tra paesi a noi vicini e tra popolazioni molto simili per razza, colore della pelle e cultura. Le guerre che si combattono lontano, in altri continenti, ci inquietano meno e fanno erroneamente pensare a tutti noi di non essere esposti agli stessi rischi o di appartenere ad un popolo (una razza) strutturalmente incapace di commettere quel tipo di atrocità. Se aggiungiamo che la nostra memoria collettiva è molto labile e breve, questo fatto ci ha già consentito di autoassolverci dagli orrori del recente nazismo e fascismo. Per questo stesso motivo rimuoviamo le stragi perpetrate in Ruanda e il genocidio di intere popolazioni, come quello perpetrato in Africa ai danni delle popolazioni tutsi e hutu per mano di eserciti regolari. Eppure, si è trattato di stragi perpetrate senza alcuna pietà e causate dalla contrapposizione economica e sociale tra i tutsi, dediti all’allevamento, e gli hutu dediti all’agricoltura. Ma il mondo se ne è tenuto distante e li ha lasciati massacrare tra loro senza muovere un dito, lasciando che quei popoli che evidentemente considera “selvaggi”, risolvessero con le armi i loro conflitti interni. Probabilmente anche per il fatto che non sono produttori di gas, di petrolio, né tantomeno fornitori di preziose materie prime per la nostra vorace industria.

Terzo scenario: Esiti da utilizzo della IA (Intelligenza Artificiale). Il recente tumultuoso incremento nell’uso della intelligenza artificiale nell’industria, ma anche nella vita ordinaria (come per esempio in medicina, nella produzione culturale, nel lavoro ordinario) ha prodotto e produrrà, sempre più in futuro, una serie di disturbi psicologici che possono modificare in negativo il nostro stile di vita e aprire scenari nuovi e imprevedibili, dovuti alla massiccia perdita di posti di lavoro. Ciò comporta il dover ridefinire sia le modalità della produzione in generale che il ruolo dei singoli lavoratori nell’ambito della filiera produttiva.

Questo fenomeno era stato già a suo tempo denunciato da Geoffrey Hinton – uno dei fondatori e tra i più prestigiosi dirigenti di Google – quando, denunciando i rischi della AI per l’intera umanità, ha affermato che in futuro la AI produrrà profondi cambiamenti nell’organizzazione delle nostre vite. È chiaro che il sintomo prevalente sarà quello depressivo, causato proprio dalla perdita del lavoro e di ruolo sociale. A questa condizione depressiva potrà seguire una forma di chiusura in sé stessi, in grado persino di generare la riduzione delle proprie difese personali, incluse quelle immunitarie con il conseguente sviluppo di patologie silenti. Ciò significherà perdere i propri obiettivi esistenziali, il ruolo sociale e molta autostima. Un uomo privato del proprio lavoro può anche smarrire il “senso” della sua vita, come accade in coloro che, molto impegnati lavorativamente per tutta la vita, diventano pensionati perdendo il loro ruolo attivo. Si rischia, senza avere nuovi obiettivi da perseguire, di perdere oltre il rispetto sociale anche la stima in sé stessi.

Allora forse si porrà un problema paradossale, quello di come riorganizzare la produzione della ricchezza comune, il lavoro e la vita dei singoli nell’ambito della società. Si ricorrerà forse a nuove forme di sussidio e di assistenza, misure indispensabili quando si verifica la condizione di poter produrre con meno addetti una ricchezza superiore. Non potendo rischiare di generare un esercito di disoccupati, che potrebbero diventare socialmente pericolosi e potenzialmente aggressivi.

Il primo obiettivo da perseguire potrebbe essere quello istituire un salario minimo per tutti. Soprattutto per quei lavori non delegabili alle macchine, come la gestione dei call center o i centri di assistenza all’utenza o, meglio, gli addetti alle professioni sanitarie, attività non surrogabili dalla IA perché necessitano della presenza umana, anche se supportata dalle macchine. Basti pensare agli interventi chirurgici a basso impatto, quelli fattibili in endoscopia o laparoscopia. Ma soprattutto alla velocizzazione della ricerca scientifica e all’addestramento e alla formazione del personale. Inoltre, la presenza umana sarà sempre insostituibile per il controllo e per le attività di supervisione.

Cambieranno probabilmente per molti gli obiettivi di vita e le priorità, oltre alle competenze professionali da acquisire per operare nella organizzazione del lavoro futura.

Tutto ciò potrà coesistere con l’umanità, se questa non sarà un pericolo per la sopravvivenza del pianeta … e delle stesse macchine. Sempre più autonome.

 

 

 

Walter Di Munzio è Psichiatra e pubblicista


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