LIBERTA’ DI STAMPA /  SEMPRE PIU’ A RISCHIO IN EUROPA

Libertà di stampa e d’opinione sempre più in pericolo, nella tanto democratica Unione europea, e in tutti i suoi stati membri.

Non è bastato l’European Freedom Act. Invece di tutelare, come ad esempio succede negli Usa con la possibilità di accedere a documenti anche riservati e comunque rilevanti per la pubblica opinione, fa l’esatto contrario. Perché il suo stravolgimento ora implica addirittura la possibilità di ‘spiare’ i giornalisti, e soprattutto, di costringerli a rivelare le loro ‘fonti’ che invece, come sa anche un bambino, devono restare assolutamente protette, riservate.

Adesso il secondo colpo, anche stavolta attraverso un trucco, un vero e proprio trabocchetto.

 

LA SECONDA LEGGE TRAPPOLA UE 

E’ infatti in queste settimane iniziata la discussione sulla nuova legge UE contro le ‘querele temerarie’ (le cosiddette SLAPP), un argomento sul quale la ‘Voce’ ha scritto montagne di articoli da oltre trent’anni a questa parte, quando contro di noi – a fine anni ’80, primi ’90 – cominciarono a fioccare azioni civili miliardarie di risarcimento danni. Mitica quella dell’allora potente ministro DC del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, che ci chiese la bellezza di 11 miliardi (avete letto ben, 11 MILIARDI) di vecchie lire, sentendosi leso nell’onore per il volume ‘‘O Ministro’ a lui dedicato, pubblicato dalla Voce in coedizione con la ‘Publiprint’ di Trento, firmato da Andrea Cinquegrani, Enrico Fierro e Rita Pennarola.

 

 

Torniamo a bomba, ossia alla prima legge che vivaddio, dopo un trentennio, dovrebbe finalmente vedere la luce. Ma c’è il serio rischio di un autentico ‘aborto’. Se infatti il testo varato dalla Commissione Ue è accettabile, totalmente stravolgenti sembrano le modifiche che i singoli Stati membri vorrebbero apportarvi e lo stesso Consiglio UE!

Per questo si stanno mobilitando alcune associazioni, che stanno elaborando appelli rivolti ai ministri della Giustizia dei vari paesi UE.

L’iniziativa è nata soprattutto per impulso dei familiari di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese ammazzata nel 2017 per una serie di articoli che denunciavano le connection politico-affaristiche (e anche malavitose) del governo e del suo premier in particolare. A Daphne venne addirittura congelato il conto corrente personale, perché uno dei suoi querelanti era il ministro della Giustizia (sic) maltese. E sul suo capo, al momento dell’assassinio, pendevano 48 procedimenti penali e/o civili a carico, anche con pesanti richieste di risarcimenti danni. Le famigerate ‘querele temerarie’ di cui ora il Parlamento UE sta discutendo.

Denuncia il figlio di Caruana Galizia: “Se questa legge resta così com’è, serve a ben poco e mia madre non sarebbe stata minimamente tutelata. E’ un grave torto verso i suoi colleghi in tutta Europa”.

Parole pesanti come macigni.

 

IL J’ACCUSE DI SIELKE KELNER

Ed ecco, di seguito, alcune dichiarazioni di Sielke Kelner, ricercatrice dell’‘Osservatorio Balcani Caucaso’, tra le più attive per una corretta formulazione della legge anti-querele temerarie.

Sielke Kelner

“Nonostante le numerose raccomandazioni rivolte dalla Commissione Ue, i singoli Paesi non hanno neanche iniziato a raccogliere i dati sulle querele, che è necessario quantificare con precisione per poter contestualizzare i fatti”.

“Siamo molto preoccupanti per come stanno andando le cose. Ma è necessario darsi molto da fare, mobilitare la gente, perché occorre cercare di influenzare il processo finchè c’è ancora spazio di manovra”.

“Il testo base è valido, ma la proposta avanzata dal Consiglio Ue e soprattutto le correzioni proposte dagli Stati membri lo indeboliscono di molto, restringendone fortemente il campo d’azione”.

O ribaltandone l’ottica, come è successo per il ‘Freedom (sic) Act’.

Continua l’analisi di Kelner: “Servono maggiori garanzie procedurali. La principale è la possibilità da parte del giudice di dichiarare inammissibili i casi manifestamente infondati o esagerati. Gli Stati, invece, hanno ridotto il tutto ai ‘casi con una pretesa palesemente infondata’, senza aggiungere ‘ogni ragionevole dubbio’. Il che riduce di molto sia la portata della legge che la sua applicazione”.

A proposito dei risarcimenti a carico degli autori delle ‘querele temerarie’: “Nel testo proposto dagli Stati membri ogni riferimento è sparito. Questo invece può rappresentare un forte deterrente: chi abusa dell’istituto della diffamazione ci penserebbe due o tre volte prima di avviare un’azione legale se ci fosse la certezza di essere obbligato a pagare un risarcimento danni nel caso di abuso di processo”.

Uno degli appelli per la libertà di stampa in Europa

L’azione temeraria mira a limitare la libertà di espressione su questioni di pubblico interesse: può riguardare la salute, la sicurezza pubblica, l’ambiente, i diritti dei cittadini. Per capire il loro peso, possiamo chiederci quanti articoli non sono mai stati pubblicati perché i giornalisti o gli editori, spesso piccoli, hanno temuto azioni legali risarcitorie?”.

In Italia c’è una tradizione di politici che hanno la querela facile. Tanti di loro ricorrono, o minacciano, azioni legali temerarie per cercare di silenziare le critiche. E questo va contro la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo cui se sei un personaggio pubblico devi tollerare dei livelli di critica più alti: un po’ perché è il tuo mestiere e un po’ perché se vuoi rispondere hai tutti i microfoni per farlo”.

“In Italia alcuni disegni di legge, molto preoccupanti, prevedono addirittura l’inasprimento delle sanzioni a carico dei giornalisti, fino alla temporanea interdizione dalla professione. Sembra ci sia proprio l’intento di tutelare ben più il querelante del querelato. Sotto questi profili, l’Italia è considerata da chi studia il fenomeno uno dei paesi con la situazione peggiore”.

“Per fronteggiarla occorre una forte sensibilizzazione e mobilitazione civile, creare una rete. Ricordo il caso di una rivista studentesca di Lipsia, ‘Lutzhe’, cui una grossa immobiliare chiese un risarcimento danni da 25 mila euro. La ritirò dopo la mobilitazione della cittadinanza”.

I giornalisti che hanno il dono della scrittura devono scrivere, gli attivisti e le associazioni devono fare da cassa di risonanza e gli avvocati portare le loro competenze. Solo creando una massa critica, in Italia e nel resto d’Europa, possiamo sperare di arrivare a influenzare il potere decisionale. La Commissione Ue definisce giornalisti e attivisti come ‘pubblici watchdog’, ossia guardiani dell’interesse pubblico. Una stampa e un attivismo forti sono fondamentali per il processo democratico. Ed è interesse di tutti che siano tutelati”.

    

       QUELLA PRIMA QUERELA ALLA ‘VOCE’

Ai lettori della Voce, ben informati sulle tante vicende giudiziarie che in quarant’anni l’hanno coinvolta, costante bersaglio di liti spesso e volentieri ultra-temerarie con maxi richieste di risarcimento danni (non solo ‘O Ministro, ma una sfilza di politici e pezzi da novanta), e con un ‘autunno caldo’ che stiamo affrontando (come documentiamo nella cover story dello scorso 11 ottobre), vogliamo rammentare un episodio che ci resta impresso nella memoria.

Si tratta di una delle prime, se non la prima addirittura, querela contro la Voce, che allora si chiamava ‘la Voce della Campania’. Ad attivarla un gruppo sorrentino che, d’improvviso, dal commercio di ortofrutta passò a maxi investimenti alberghieri.

Il pezzo era dettagliato, conteneva una serie di elementi e circostanze ben precise. Ma ci arrivò la querela.

Manuela Mazzi

Venimmo convocati al vecchio palazzo di giustizia partenopeo, a Castel Capuano. Un piccolo ufficio e due giudici – Fausto Esposito e Manuela Mazzi – che si occupavano all’epoca (siamo a metà anni ’80) di querele & diffamazioni, i reati stampa. Il nostro fascicolo era stato affidato al giudice Mazzi: che mi convocò, illustrò il contenuto della querela e mi assegnò due settimane di tempo per controbattere alle contestazioni sollevate dai querelanti. “Se non mi porterà documenti sufficienti per sostenere quanto scrive, punto per punto, la rinvierò a giudizio”.

Trascorsi due settimane di fuoco, impegnato a raccogliere tutte le pezze d’appoggio, dalle visure camerali relative alle società, a quelle catastali, ed altro ancora.

Mi presentai davanti al giudice Mazzi portando quella documentazione e rispondendo anche a diverse domande che mi pose.

Dopo un mese venni a sapere che la querela era stata ‘archiviata’. In fase istruttoria, quindi.

Sorge spontanea la domanda, soprattutto al fine di evitare l’incredibile intasamento dei tribunali, molto spesso alle prese con procedimenti e poi processi che invece si potrebbero evitare, cercando di capire subito se la causa è fondata o meno. Si eviterebbero enormi spese per la giustizia e non solo.

Il giudice Mazzi fece il suo dovere.

Lesse le carte, dedicò del tempo per quella vicenda senza liquidarla come una pratica condominiale (anche quelle meritano tutto lo scrupolo e il rispetto del caso).

Come mai poche toghe seguono quell’esempio?

Come mai è invalsa negli anni la prassi, “tanto poi ci sono tre gradi di processo per accertare la verità dei fatti?”.

 

 

 

 

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