MONI OVADIA / ‘LINCIATO’ PER LE VERITA’ SULLA PALESTINA  

Prima Patrick Zaki. 

Ora è cominciata la crocefissione mediatica di Moni Ovadia, ebreo – ricordiamolo prima di ogni altra cosa -, artista e intellettuale a tutto tondo, oggi direttore del Teatro comunale di Ferrara.

La sua colpa? Aver detto la verità storica su Israele e la Palestina. Parole chiare, semplici, inconfutabili, ed invece subito tacciate di odio contro il popolo ebreo, di fanatismo, di violenza.

Suona la carica Fratelli d’Italia, individuando il ‘nemico’ da abbattere, tanto che il senatore FdI Alberto Balboni chiede il suo immediato licenziamento dalla direzione del teatro estense. 

Come abbiamo fatto ieri con Zaki, scorriamo quindi alcune frasi ‘incriminate’ e tali da mandare al rogo l’eretico, blasfemo Ovadia.

Che così esordisce: “La morte anche di una sola persona, che sia essa israeliana o palestinese, è una tragedia, e va condannata con tutte le forze”.

Israele lascia marcire le cose, fingendo che il problema palestinese non esista, per cancellare l’idea stessa che i palestinesi esistano: la comunità internazionale è complice. E questi sono i risultati”.

La guerra è la conseguenza di una politica di tale cecità, di occupazione e di colonizzazione. La Striscia di Gaza non è un territorio libero, ma una gabbia, una scatola di sardine. E’ vero che dentro non ci sono gli israeliani, ma loro controllano comunque i confini marittimi e aerei, l’accesso delle merci, l’energia, l’acqua. La comunità internazionale è schifosamente complice”.

Qualche grave errore od omissione? 

Qualcosa da eccepire in un ragionamento così lineare e perfino pacato?

Eppure è cominciata la caccia all’untore. 

Passiamo a vedere cosa ne pensano gli israeliani, soprattutto sul governo e sulla figura del premier Bibi Netanyahu. Il sondaggio è stato effettuato dal Jerusalem Post’, il più autorevole quotidiano di Tel Aviv, non un bollettino della resistenza palestinese. 

Bibi Netanyahu. Sopra, Moni Ovadia

Ebbene, i numeri parlano chiaro e non danno scampo al primo ministro, che a parere dei suoi concittadini dovrebbe dimettersi non da domani, ma da ieri.

Ecco le cifre. Quattro israeliani su cinque lo accusano di aver consentito, con il suo operato, l’azione di Hamas. 

L’86 per cento degli intervistati è convinto che l’attacco a sorpresa rappresenti un totale fallimento della attuale leadership e addirittura il 92 per cento sostiene che la guerra è causa di forte ansia per tutta la popolazione. 

Ancora superiore (pari al 94 per cento) la quota di coloro i quali incolpano il governo di assoluta mancanza di preparazione in tema di sicurezza del Paese.

Non c’è altra soluzione possibile, per il popolo israeliano: Netanyahu se ne deve andare, deve dimettersi o deve essere ‘dimesso’: è il parere di oltre 1 israeliano su 2, con il 56 per cento dei favorevoli alla sua sparizione dalla scena politica. Perfino i suoi stessi elettori  quasi 1 su tre  sono per questa drastica soluzione (il 28 per cento). E più della metà degli intervistati (il 52 per cento) si dichiara favorevole alle dimissioni anche del ministro della Difesa, Yoaw Gallant.

Come stiamo facendo da diversi giorni, praticamente da quando è iniziato il conflitto che miete migliaia di vittime innocenti, vi proponiamo la lettura (attraverso i link che trovate in basso) di alcuni reportage, soprattutto di fonte estera, o comunque interventi per meglio capire le vere ragioni di questa guerra che rischia di mandare in totale tilt gli equilibri geopolitici non solo in quell’area, da sempre esplosiva, ma a livello internazionale, tenuto conto del devastante conflitto in Ucraina e delle altre ‘bombe’ sparse in mezzo mondo, da Taiwan al cuore dell’Africa, per citare solo i casi più eclatanti.

A seguire, quindi, vi proponiamo tre freschi articoli tratti da uno dei migliori siti sul fronte della politica internazionale, ‘Piccole Note’.

Quindi un ‘istruttivo’ e, soprattutto, inquietante pezzo pubblicato da ‘Observateur Continental’, basta leggerne il titolo per rendersene conto: “Le armi inviate in Ucraina hanno sparato contro Israele” (dall’originale in lingue francese “Les armes envoyée en Ukraine ont tirè en Israel”).

Poi, un reportage comparso sul documentato sito ‘Responsible Statecraft’, intitolato “Le truppe americane saranno coinvolte nella guerra Israele-Gaza? (nell’originale, “Will US troops be drawn into the Israel-Gaza war?”.

Infine, una lunga analisi e riflessione svolta dal politologo e giornalista italo-americano  Umberto Pascali che va dritto al cuore di un grosso problema: il premier  israeliano Netanyahu in passato (soprattutto in alcune affermazioni del 2019) ha espresso in modo neanche troppo velato la necessità di sostenere Hamas “per ostacolare la creazione di uno Stato palestinese”. Leggere per credere.

 

 

 

Benjamin Netanyahu

Netanyahu: “Dobbiamo rafforzare Hamas e far arrivare denaro ad Hamas. Questa e’ la nostra strategia!”

DI UMBERTO PASCALI
Netanyahu : “Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas”, ha detto a una riunione dei membri della Knesset del suo partito Likud nel marzo 2019. “Questo fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza dai palestinesi della Cisgiordania”
E poi ha spiegato la sua dottrina su Hamas e Hezbollah.
Abbiamo dei vicini”, ha detto, “che sono nostri acerrimi nemici… Io mando loro messaggi in continuazione… in questi giorni, in questo momento… Li inganno, li destabilizzo, li prendo in giro e li colpisco in testa”. Il sospetto (Netanyahu) ha poi continuato la sua lezione: “È impossibile raggiungere un accordo con loro… Tutti lo sanno, ma noi controlliamo l’altezza delle fiamme“.

Un altro concetto implode: Israele non può essere gestito da un imputato criminale
Una linea diretta corre tra la revisione giudiziaria e la guerra di Gaza. Netanyahu dovrebbe emulare Begin e andarsene, ma non possiamo aspettarci da lui un’introspezione. La futura inchiesta dovrà indagare su quanto tempo il primo ministro abbia dedicato alla riforma – e quanto all’ascolto dei vertici militari.
È deprimente e sconvolgente ricordare oggi l’arroganza di Benjamin Netanyahu durante l’interrogatorio sul Caso 2000, uno dei tre casi di corruzione contro il primo ministro. “Questo è classificato, non fatelo trapelare, ok?”, ha detto, lusingando gli investigatori della polizia con il magico richiamo dei segreti di sicurezza. E poi ha spiegato la sua dottrina su Hamas e Hezbollah.
“Abbiamo dei vicini”, ha detto, “che sono nostri acerrimi nemici… Io mando loro messaggi in continuazione… in questi giorni, in questo momento… Li inganno, li destabilizzo, li prendo in giro e li colpisco in testa”. Il sospetto ha poi continuato la sua lezione: “È impossibile raggiungere un accordo con loro… Tutti lo sanno, ma noi controlliamo l’altezza delle fiamme”.
Questa arrogante visione del mondo, così scollegata dalla realtà, non è l’unica cosa che è esplosa in faccia a Netanyahu, e a noi, sabato mattina. L’altro “concetto” che è crollato era quello su cui molte brave persone avevano messo in guardia: l’idea che la guida dello Stato potesse essere affidata a un imputato criminale.
La storia giudicherà tutti coloro che hanno contribuito a questa distorsione morale – in primo luogo l’imputato stesso e i suoi fanatici sostenitori, i colleghi di partito e i partner della coalizione di governo, ma anche le personalità dei media e i giuristi che si sono mobilitati per mettere in pratica questo abominio.
Inoltre, presumibilmente, getterà una luce poco lusinghiera sugli 11 giudici della Corte Suprema che si sono astenuti dal mettere il dito nella fossa sostenendo di non avere il potere di farlo, chiudendo gli occhi sulle conseguenze disastrose del loro passivismo.
Almeno 700 israeliani uccisi, 2.000 feriti; 130 civili e soldati in ostaggio a Gaza
Quattro cattive opzioni per Israele nella Striscia di Gaza
Mio padre, 62 anni, ha combattuto contro i terroristi di Hamas per liberare la mia famiglia. Lo Stato israeliano ci ha deluso
Ma prima ancora che la storia venga scritta, la commissione d’inchiesta statale che dovrà essere formata una volta che le fiamme si saranno spente dovrà scavare nelle priorità e nell’agenda del primo ministro. Dovrà esaminare quante ore ha dedicato quest’anno al suo pericoloso ministro della Giustizia, allo standard di ragionevolezza della Corte e al Comitato per le nomine giudiziarie, rispetto a quante ne ha dedicate al suo ministro della Difesa e al capo di Stato maggiore dell’esercito; dovrà esaminare quanta attenzione ha prestato al capo dell’Intelligence militare rispetto a quanta ne ha prestata ai suoi avvocati e ai suoi addetti alle pubbliche relazioni.
È esasperante ricordare che solo pochi mesi fa Netanyahu ha trovato il tempo di presentarsi alla Corte distrettuale di Gerusalemme per dissuadere un testimone spaventato, l’uomo d’affari Arnon Milchan, mentre la stessa deterrenza di Israele si stava erodendo. O per ricordare il suo rifiuto di incontrare il Capo di Stato Maggiore dell’IDF Herzl Halevi, che cercava di metterlo in guardia sulle conseguenze distruttive dell’abolizione dello standard di ragionevolezza, il giorno in cui è stata approvata la legge che lo prevede.
È impossibile chiudere gli occhi di fronte alla realtà. C’è una chiara connessione tra il processo per corruzione, la revisione giudiziaria del governo e il più grande fallimento dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, forse addirittura dalla creazione dello Stato.
Certo, le agenzie di intelligence hanno fallito in modo inconcepibile nel prevedere l’attacco vero e proprio. Ma negli ultimi mesi hanno avvertito più volte Netanyahu che i nemici di Israele avevano individuato una debolezza storica, rendendo la probabilità di una guerra più alta di quanto non sia stata dalla Seconda guerra del Libano del 2006.
Tuttavia, invece di far dimettere il Ministro della Giustizia Yariv Levin, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich a causa di questo pericolo, Netanyahu ha dato priorità alla sua sopravvivenza personale e all’integrità della sua coalizione al prezzo di capitolare di fronte a folli razzisti messianici. A tal fine, ha trasformato i suoi rivali interni in nemici e ha sistematicamente distrutto il tessuto connettivo che, con grande difficoltà, teneva insieme la società israeliana.
Lui e i suoi partner in questa organizzazione criminale hanno dimenticato che Israele non è la Polonia o l’Ungheria, ma prima di tutto un Paese profondamente coinvolto in un conflitto nazionale. Di conseguenza, non ha il privilegio di intrattenersi con giochi dittatoriali.
Hamas come partner
In effetti, l’intera visione del mondo di Netanyahu è crollata nel corso di un solo giorno. Era convinto di poter fare accordi con tiranni arabi corrotti ignorando la pietra angolare del conflitto arabo-ebraico, i palestinesi. L’obiettivo della sua vita era quello di far cambiare rotta alla nave dello Stato rispetto ai suoi predecessori, da Yitzhak Rabin a Ehud Olmert, e di rendere impossibile la soluzione dei due Stati. Per raggiungere questo obiettivo, ha trovato un partner in Hamas.
“Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas”, ha detto a una riunione dei membri della Knesset del suo partito Likud nel marzo 2019. “Questo fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza dai palestinesi della Cisgiordania”.
Il peggior attacco terroristico nella storia di Israele toglie a Netanyahu anche il titolo di “esperto di terrorismo”, fonte di orgoglio da quando ha fondato il Jonathan Institute in memoria del fratello Yoni, ucciso durante il salvataggio degli ostaggi di Entebbe. Con il suo aiuto, si è fatto conoscere per anni e alla fine è arrivato all’ufficio del Primo Ministro.
Netanyahu ha imparato la lezione dei suoi predecessori Menachem Begin e Olmert e per anni ha manovrato abilmente per evitare di essere coinvolto in una guerra in cui sarebbero morte centinaia di persone, sapendo che sarebbe stata probabilmente la fine della sua strada come politico. Ma la vertigine del suo attuale mandato, durante il quale ha sacrificato tutto per rimanere aggrappato al potere, ha fatto sì che “il suo scenario da incubo si realizzasse”, per citare un uomo che lo conosce bene.
È stato primo ministro per la maggior parte degli ultimi 16 anni, ma ciò per cui sarà ricordato dopo la sua scomparsa è quest’ultimo devastante anno. In un solo giorno, sotto la sua guida sconsiderata, Israele ha pagato un prezzo di sangue molto più alto di quello pagato durante la Seconda guerra del Libano e simile a quello pagato durante la prima guerra del Libano all’inizio degli anni Ottanta.
A Olmert verrà riconosciuto il merito di aver distrutto il reattore nucleare della Siria e di aver cercato di porre fine al conflitto con i palestinesi. Begin sarà ricordato per aver bombardato il reattore nucleare dell’Iraq e, naturalmente, per aver fatto la pace con l’Egitto. Il portafoglio di Netanyahu è piuttosto scarno, con tutto il rispetto per gli accordi di Abraham.
Non molto tempo fa, si è celebrato il 40° anniversario della riunione di gabinetto in cui Begin annunciò che non poteva più andare avanti. Israele era impantanato nel pantano libanese, con morti che aumentavano di giorno in giorno, e questo lo aveva sopraffatto.
“Il motivo è che, con ogni fibra del mio essere, non posso andare avanti”, disse Begin ai suoi partner del Likud e della coalizione di governo, che lo pregavano di ripensarci. “Ci sono momenti come questo… Se avessi anche solo l’ombra del dubbio di poter continuare, lo farei. Ma non è in mio potere farlo. Cosa deve fare un uomo se non è in suo potere? … Permettetemi di andare dal presidente [per rassegnare le dimissioni] proprio oggi. Perdonami, perdonami, concedimi l’espiazione. Non posso più farlo”.
Ora è necessario che Netanyahu segua le orme del primo leader del Likud. Ma non c’è da aspettarsi un esame di coscienza da parte sua, e certamente non un’autoflagellazione o un rinchiudersi in casa alla Begin. Presto, da un momento all’altro, darà la colpa a tutti tranne che a se stesso. La macchina del veleno ha già iniziato a funzionare.

 

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