STATI UNITI & PANDEMIA / DEPISTAGGI, DIRTY BUSINESS E CENSURE VENGONO A GALLA

Tutti i nodi, alla fine, vengono prima o poi al pettine. Tranne in Italia – fino ad oggi – dove di buchi neri, grandi misteri, depistaggi di Stato è lastricata la nostra drammatica storia degli ultimi decenni.

Negli USA, invece, alcune ‘dirty stories’ cominciano a venire a galla. Soprattutto quelle griffate Joe Biden, non solo in questi anni di presidenza, ma anche quando era il vice di Barack Obama ed era il grande sponsor degli affari arcimiliardari portati a segno dal rampante rampollo, Hunter, oggi sotto finalmente sotto accusa, dopo mesi e mesi di indagini, per i business intrecciati dall’Ucraina (dove ha dato una grossa ‘mano’ per impiantare una sfilza di bio-laboratori, tante piccole Wuhan!) fino alla Cina e alla Russia, i due ‘nemici storici’ (sic).

La ‘Voce’ ha seguito fin dall’inizio le inchieste dei procuratori generali della Louisiana e del Missouri, che hanno acceso i riflettori soprattutto su dei maxi filoni d’inchiesta.

Il primo riguarda la incredibile censura operata sui media e soprattutto sui social media per quanto concerne la politica governativa a stelle e strisce in tema di contrasto alla pandemia da Covid-19: un vero e proprio bavaglio, non solo, ma pressioni, condizionamenti e minacce per le quali dovranno pagare il conto svariati papaveri della Casa Bianca e primo fra tutti il super virologo Anthony Fauci.

Anthony Fauci

Il quale è anche protagonista del secondo, ancor più inquietante, filone d’inchiesta: quello sulle vere origini del Covid, su cui la Voce ha scritto caterve di articoli e inchieste. Finalmente, anche in questo caso, i dirty business stanno man mano venendo alla luce, e soprattutto il ruolo svolto dagli Stati Uniti nel finanziare quelle famigerate ricerche sul ‘gain of function’ portate avanti dai laboratori dell’Istituto di Virologia di Wuhan: dove sono state progettate le ‘biologic wars’ del presente e, soprattutto, del futuro.

Anche in questo caso è fondamentale il ruolo svolto dal NIAID, ossia il ‘National Institute for Allergy and Infectiouse Deseases’ presieduto ininterrottamente dal 1984 al 2022 proprio dal super virologo, Fauci, che ha affiancato ben 7 presidenti Usa: solo Donald Trump era entrato in rotta di collisione con lui proprio sul tema del contrasto al covid.

A questo punto vi proponiamo la lettura di alcuni pezzi.

Il primo, pubblicato da ‘Epoch Times’, accende i riflettori sui rinnovati tentativi della Casa Bianca di continuare ad esercitare pressioni censorie sui social media: incredibile ma vero.

Gli altri due (li potete leggere cliccando sui link in basso) riguardano le vere origini del covid. Il primo è ripreso sempre da ‘Epoch Times’ e si intitola “Medico americano aveva segnalato problemi di sicurezza nel laboratorio di Wuhan già nel 2017”.

Il secondo, invece, è stato pubblicato da ‘Renovatio 21’: “La CIA e Wuhan: una storia tutta da scrivere”.

Come al solito, se volete leggere articoli e inchieste pubblicati dalla Voce in questi tre anni e mezzo di pandemia & depistaggi, basta andare alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra home page e digitare il nome del personaggio (ad esempio Anthony Fauci, per citarne uno solo fra tanti) o della società od organizzazione (ad esempio il NIAID, oppure scritto per esteso), per ritrovarne di tutti i colori.

Buone letture.

La Corte Suprema consente temporaneamente all’amministrazione Biden la censura sui social media

Di Matteo Ford 

Il giudice della Corte Suprema Samuel Alito posa a Washington il 23 aprile 2021. (Erin Schaff/Pool via Reuters)

Il 22 settembre, il giudice della Corte Suprema americana Samuel Alito ha allungato i tempi fino al 27 settembre per decidere se confermare l’ordine di un giudice federale che impedisce i contatti tra governo e aziende di social media in merito alla censura.

Per dare ai giudici più tempo per riflettere su come gestire il caso, il giudice Alito ha sospeso fino al 27 la sentenza di un tribunale di grado inferiore che impediva alle agenzie federali di contattare le società di social media con richieste di rimozione di contenuti.

La nuova ordinanza nel caso, Murthy v. Missouri (fascicolo giudiziario 23A243), è arrivata nella tarda giornata lavorativa del 22 settembre. Il principale richiedente era il ministro della Sanità statunitense Vivek Murthy, che i critici accusano di aver partecipato agli sforzi del governo per sopprimere e censurare la libera discussione su questioni di sanità pubblica come il Covid-19.

Joe Biden

Il 14 settembre, il giudice Alito aveva sospeso fino al 22 settembre la sentenza del 4 luglio del giudice distrettuale americano Terry Doughty della Louisiana, nominato dal presidente Donald Trump.

L’ordinanza del giudice Doughty ha vietato a diverse agenzie, tra cui il Dipartimento di Giustizia (Doj), il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, il Dipartimento di Stato, l’Agenzia per la Sicurezza Informatica e le Infrastrutture e i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (Cdc), di intimidire le società di social media.

La causa che ha dato origine all’ingiunzione è stata intentata dai procuratori generali del Missouri e della Louisiana, che hanno accusato i funzionari dell’amministrazione Biden di impegnarsi in quella che equivale a una censura governativa per procura, appoggiandosi alle società di social media per rimuovere post o sospendere account.

La causa sosteneva che l’amministrazione Biden avesse esortato o addirittura incaricato Facebook, Twitter, LinkedIn e YouTube «di censurare punti di vista e oratori non apprezzati dalla sinistra», con la scusa di combattere la «disinformazione» e la «malainformazione».

L’ingiunzione del giudice Doughty prevede che le agenzie e i loro dipendenti non possano comunicare con le società di social media «sollecitando, incoraggiando, facendo pressioni o inducendo in qualsiasi modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti contenenti libertà di parola protetta».

Le agenzie governative non potranno segnalare contenuti sulle piattaforme di social media né cercare di rimuovere contenuti o sopprimerne la portata. Le agenzie inoltre non possono esercitare pressioni sulle piattaforme affinché modifichino le loro linee guida per la rimozione, la soppressione o la riduzione dei contenuti che contengono libertà di parola protetta.

Ma l’ingiunzione ha consentito ai funzionari federali di continuare a corrispondere con le società di social media riguardo ad attività criminali, minacce alla sicurezza nazionale e altre questioni.

L’8 settembre, la Corte d’Appello del 5° Circuito degli Stati Uniti ha parzialmente confermato l’ingiunzione del giudice Doughty, consentendo ad alcune agenzie di comunicare con le aziende in alcune circostanze.

Il repubblicano procuratore generale del Missouri Andrew Bailey, il mese scorso ha dichiarato alla sottoserie American Thought Leaders: Now di EpochTv che la «vasta impresa di censura» dell’amministrazione Biden, che prende di mira le voci americane e opera in «uno scenario distopico, di natura orwelliana», dovrebbe essere definitivamente interrotta.

Il 26 maggio, in tribunale, il giudice Bailey ha chiesto addirittura agli avvocati del Dipartimento di Giustizia «se avessero letto il libro di George Orwell, ‘1984’, e avessero familiarità con il Ministero della Verità dell’Oceania».

Bailey ha affermato che la parte preliminare del processo di analisi «ha scoperto una relazione di coercizione e collusione tra la Casa Bianca che operava mediante una serie di agenzie federali per mettere a tacere le voci americane sui social media delle grandi tecnologie, in violazione del Primo Emendamento».

«Dobbiamo costruire un muro di separazione tra tecnologia e Stato per proteggere i diritti del Primo Emendamento degli americani, e il primo mattone di quel muro è stato posato il 4 luglio, quando la corte ha concordato con la nostra posizione sulla questione e ha emesso a livello nazionale un’ingiunzione che impedisce al presidente [Joe, ndr] Biden e alla burocrazia federale di coordinarsi con i grandi social media tecnologici per mettere a tacere il discorso politico fondamentale, che è protetto dal Primo Emendamento».

Bailey spiega che dopo che il tribunale di prima istanza ha agito, il Dipartimento di Giustizia si è mosso «quasi istantaneamente» contro l’ingiunzione e «ha avuto effettivamente l’audacia di sostenere che la nazione avrebbe subito un danno irreparabile se non gli fosse stato permesso di continuare a violare i diritti del Primo Emendamento degli americani».

Nella sua sentenza, il giudice Doughty ha fatto nuovamente riferimento al lavoro del compianto autore George Orwell, scrivendo che «durante la pandemia di Covid-19, un periodo forse caratterizzato soprattutto da dubbi e incertezze diffusi, il governo degli Stati Uniti sembra aver assunto un ruolo simile a un ‘ministero della verità’ orwelliano».

Nella richiesta d’emergenza del Dipartimento di Giustizia del 14 settembre, il procuratore generale degli Stati Uniti Elizabeth Prelogar ha chiesto alla Corte Suprema di consentire ai funzionari federali di mettere in discussione i post online che, secondo loro, rappresentano un pericolo per la salute pubblica. Il Dipartimento di Giustizia ha inoltre sostenuto che i funzionari federali devono essere in grado di comunicare con le aziende per scopi di sicurezza nazionale; «Secondo l’ingiunzione, il ministro della Sanità, il segretario stampa della Casa Bianca e molti altri assistenti presidenziali di alto livello rischiano il disprezzo se le loro dichiarazioni pubbliche su questioni politiche oltrepassano le linee mal definite tracciate dal Quinto Circuito. I funzionari del Cdc corrono lo stesso rischio se rispondono accuratamente alle domande delle piattaforme sulla salute pubblica. E gli agenti dell’Fbi rischiano di essere trascinati in tribunale se segnalano contenuti pubblicati da terroristi o disinformazione diffusa da attori stranieri maligni nascosti».

La Prelogar ha inoltre sostenuto che l’ingiunzione del giudice Doughty era «decisamente eccessiva» e «copre migliaia di funzionari e dipendenti federali e si applica alle comunicazioni con e su tutte le piattaforme di social media».

 

LINK ORIGINALE

Supreme Court Temporarily Allows Biden Administration’s Social Media Censorship Efforts

 

LINK

Medico americano aveva segnalato problemi di sicurezza nel laboratorio di Wuhan già nel 2017

 

La CIA e Wuhan: una storia tutta da scrivere


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