DE ANGELIS, IL PORTAVOCE NERO

Marcello De Angelis è il responsabile della comunicazione della regione Lazio. È uno dei più fidati collaboratori del presidente della regione Lazio Rocca. È colui che ha postato quell’infelice post sul suo profilo Facebook nel quale ha tentato di smentire d’un colpo le verità emerse alla fine dei tre gradi di giudizio sulla strage fascista di Bologna e, nientemeno, il Presidente della Repubblica Mattarella, che nel suo discorso di commemorazione del 43° anniversario della strage aveva citato esplicitamente il dispositivo della sentenza del Tribunale di Bologna, nella parte che aveva riconosciuto, al di là di ogni ragionevole dubbio, la matrice neofascista dell’attentato. “… so per certo – ha scritto – che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione, io lo so con assoluta certezza. E in realtà lo sanno tutti, giornalisti, magistrati e ‘cariche istituzionali’. E se io dico la verità, loro – ahimè – mentono”.  Ma il presidente Rocca ha immediatamente precisato che De Angelis non è mai stato, come scrivevano alcuni giornali, il suo portavoce, ma “solo” il responsabile dell’ufficio regionale di comunicazione. Il presidente, nel vano tentativo di giustificare quel post, ha detto che De Angelis “… ha parlato a titolo personale, mosso da una storia familiare che lo ha traumatizzato profondamente e nella quale ha perso affetti importanti”.

Ma chi è De Angelis e che storia politica ha? Ma, soprattutto, a quale terribile trauma si riferisce il presidente Rocca?

De Angelis è un giornalista molto noto negli ambienti della stampa filogovernativa, ha lavorato per Libero, per Il Tempo e per Il Secolo d’Italia, di cui è stato direttore. Ma in gioventù è stato anche un militante neofascista di “Terza Posizione”.

Il trauma a cui fa riferimento il presidente Rocca è quasi certamente quello della misteriosa morte del fratello Nanni, trovato senza vita in una cella in cui era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Era anch’egli, come il fratello Marcello, un militante di quello stesso gruppo di estrema destra, era stato arrestato poche ore dopo la strage della stazione di Bologna, mentre tentava già di lasciare l’Italia assieme a Luigi Ciavardini. Aveva con sé documenti falsi e molti soldi in tasca. Si era appena recato ad uno strano appuntamento (con agenti dei servizi? con altri militanti?) per ritirare i due “lascia-passare”, ma non riuscirono ad usarli perché subito arrestati entrambi.

Il post di de Angelis è stato perlomeno sconcertante. Anche perché il Presidente Mattarella aveva richiamato nella sua commemorazione proprio brani della sentenza definitiva del Tribunale di Bologna in cui si riconosce la matrice neofascista della strage. Strage ricordiamo che aveva causato ben 85 morti e oltre 200 feriti.

Ma con quel post De Angelis ha lasciato intendere di essere stato testimone di fatti che dimostrerebbero l’innocenza dei tre leader dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) condannati in via definitiva come autori materiali di quella strage. Ma se i tre veramente fossero stati ingiustamente accusati. Allora perché non lo ha dichiarato prima, possibilmente di fronte alla magistratura. E di cosa è stato testimone? Perché non si è presentato nel corso del processo come testimone a discarico?

Perché un giornalista noto, che certamente conosce bene sia la comunicazione istituzionale che quella privata, non ha pubblicato la sua verità in modo chiaro e comprensibile avendone di certo la possibilità? Perché ha avuto quelle resistenze che oggi appaiono più come omertosi silenzi che come timore delle conseguenze? Chi e cosa ha voluto coprire?

Se è a conoscenza di fatti precisi o di coinvolgimenti e strane circostanze in qualche modo riferibili a quella terribile strage, ha il preciso dovere di parlare o di dimettersi. Anche perché parliamo di una strage che ha generato orrende mescolanze tra estremisti criminali, delinquenti comuni e agenti di servizi segreti deviati, fino ad indurre omicidi di stato.

Nel suo post De Angelis aveva anche scritto, testualmente “… posso dimostrare a chiunque abbia un’intelligenza media e un minimo di onestà intellettuale che Fioravanti, Mambro e Ciavardini non c’entrano nulla con la strage. Dire chi è responsabile non spetta a me, anche se ritengo di avere le idee chiarissime in merito nonché su chi, da più di 40 anni, sia responsabile dei depistaggi”.

Le sue parole hanno scatenato, com’era facilmente prevedibile, una violenta polemica politica. I partiti di opposizione hanno immediatamente chiesto le rituali dimissioni di Rocca che dice che le parole di De Angelis non coincidono affatto al suo pensiero, ma sono frutto di sue conoscenze e chi le ha pronunziate se ne assume la responsabilità.

Rocca ha quindi tentato di calmare le acque prendendo le distanze dal revisionismo del capo della comunicazione della sua regione. Ma rimane uno strano miscuglio di motivazioni e di intrecci parentali. Un persistente familismo che si palesa sempre più nell’ambito del cerchio magico meloniano e che coinvolge spesso personaggi provenienti dalla destra eversiva romana. La strage di Bologna spinse il governo dell’epoca a mettere al bando molti esponenti di Terza Posizione, nei confronti dei quali furono spiccati mandati di cattura (tra i quali uno anche nei confronti dell’attuale leader di Forza Nuova, Roberto Fiore), ma quasi tutti si rifugiarono nel Regno Unito. Qualcuno fu arrestato e De Angelis, all’epoca ventenne, con questi. Fu fermato proprio mentre fuggiva in Inghilterra e non si sa perché non venne estradato in Italia ma restò alcuni mesi in prigione per poi costituirsi in Italia nel 1989. Fu condannato a cinque anni di carcere, ne scontò una parte per tornare libero nel 1992. Da allora ha iniziato la sua seconda vita. Da grafico e da giornalista, scrivendo prima per alcune testate minori dell’estrema destra per poi passare a testate nazionali. Si iscrisse ad Alleanza Nazionale nel 1995 dove conobbe Francesco Storace e Gianni Alemanno, allora militanti in quelle organizzazioni che sarebbero poi diventate potere istituzionali nel Lazio e a Roma. Grazie a queste amicizie entrò nel giro che lo ha poi portato alla regione Lazio, per ricoprire il ruolo di garante degli interessi di Fratelli d’Italia nell’ambito del governo regionale.

La strage di Bologna, la latitanza, la morte del fratello, l’iniziale coinvolgimento nelle indagini lo hanno spinto alle sibilline dichiarazioni che ha inopinatamente fatto “… a me, questo ignobile castello di menzogne – ha scritto riferendosi anche al discorso di Mattarella – ha tolto la serenità, gli affetti e una parte fondamentale della vita. Non riusciranno a farmi rinunciare a proclamare la verità. Costi quel che costi…”.

Ma la coerenza sul “costo da pagare” non è arrivata mai fino al punto da fargli raccontare la verità che dichiara di conoscere.

 


Scopri di più da La voce Delle Voci

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento