Il fuoco ha avvolto, all’alba di un giorno di luglio, la “Venere degli Stracci”, una discussa installazione dell’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto installata a Napoli a Piazza Municipio. Si tratta di una delle sei copie del lavoro dell’artista esposte in diverse città, una è a Rivoli nel Museo Provinciale di Torino di Arte Contemporanea, un’altra persino alla Tate Gallery di Liverpool. Tutte uguali ma di dimensioni ridotte, quella sistemata in piazza del Municipio è la più grande di tutte ed è l’unica opera collocata nella piazza centrale di una grande città. È stato subito chiaro a tutti che si è trattato di un rogo doloso, anche se nessuno ha capito se è stato appiccato per mero vandalismo, per rabbia sociale o per una stupida sfida tra giovinastri. Immediatamente è partita sui social l’aggressione al presunto piromane. In un primo momento si è pensato a gente in vena di bravate. Si era infatti notata, nei giorni precedenti, una martellante campagna di contestazione con espliciti incitamenti alla distruzione dell’opera. Il più aggressivo dei post conteneva un esplicito invito ad agire «Bruciate quella roba in piazza Municipio». Poi, inevitabilmente, qualcun altro ha parlato di responsabilità della camorra, regolarmente chiamata in causa ogni volta che non si riesce a capire senso e motivazioni di un qualsiasi reato. Finché la Polizia non ha fermato un 32enne di Casalnuovo, un uomo senza fissa dimora. Si è subito scoperto che quell’uomo, arrestato con cinque accendini in tasca in una mensa in via Marina, è un certo Simone Isaia. Un giovane di buona famiglia, che aveva girato il mondo e poi era diventato un “clochard” per scelta di vita. È stato individuato dalla questura napoletana grazie alle immagini condotte visionando la rete diffusa della videosorveglianza cittadina. Il piromane è risultato titolare di un conto corrente in banca e possiede due profili facebook, sui quali di tanto in tanto ha pubblicato deliranti post negazionisti. Insomma, è tutto tranne che un povero o un ignorante. Si tratta piuttosto di un tipo piuttosto strano, certamente di cultura alternativa. Gli incitamenti sui social e le reazioni di cittadini indignati avevano in un primo momento fatto avanzare agli inquirenti l’ipotesi di una sfida giovanile, di quelle che si lanciano periodicamente sui social.
Il Sindaco Manfredi aveva pronunciato, forse temendo quanto poi realmente accaduto, un ambiguo, forse affrettato allarme, rilasciando un’intervista alla stampa in cui aveva detto «… dalla Fondazione Pistoletto mi hanno segnalato che negli ultimi giorni si lancia sui social una sorta di gara di gente che invita a bruciare l’opera installata in piazza Municipio».
Il lavoro di Pistoletto, alto circa dieci metri, era costituito sostanzialmente da una montagna di stracci, non ignifughi e senza alcuna sorveglianza, accanto a una monumentale copia della venere di Thorvaldsen, anch’essa realizzata in materiale non ignifugo.
Il Sindaco di Napoli, raccogliendo il diffuso sentimento di indignazione dei napoletani, ha promesso la ricostruzione dell’opera. Che vorrebbe posizionare nuovamente in piazza Municipio. «Stamattina ho sentito Pistoletto – ha detto – il suo lavoro è un grande simbolo di rigenerazione, rappresenta la ripartenza della società e non può essere fermata, né dal vandalismo, né dalla violenza, ma dev’essere portata avanti. Lanceremo una raccolta di fondi, proprio per fare in modo che questa ricostruzione avvenga anche con una partecipazione popolare. Ne rifaremo tante altre, finché l’arte e la bellezza non prevarranno, come già prevalgono, nella nostra città».
La raccolta fondi è già partita e si propone di raccogliere almeno 200.000 euro. Si prevede di ottenerli, con un crowdfunding, entro il solo mese di agosto. Poi, dopo un massimo di altri tre mesi di lavoro da parte dello scultore, si potrebbe ricollocare l’opera nella stessa piazza.
Ma a questo punto vorrei porre una domanda provocatoria, consapevole di dire qualcosa di impopolare, forse difficilmente accettabile. Mi chiedo questa proposta del sindaco sia veramente la soluzione migliore. Soprattutto ricordando che si tratta di un’opera definita dallo stesso autore come una “provocazione culturale”, con la quale ha voluto rappresentare il più becero consumismo, simboleggiato dagli stracci accatastati accanto alla struggente bellezza di una Venere simbolo della bellezza della città. Qualcuno ha voluto leggere anche il simbolo di una grande miseria accostata alla bellezza più struggente, quasi a rappresentare le contraddizioni della città. Interpretazione certamente ardita. Ma, mi chiedo, se in fondo il gesto di incendiare con un banale accendino quella montagna di stracci non sia un gesto altrettanto provocatorio, magari per lasciare la sola venere a rappresentare tutta la bellezza della città. Ma purtroppo quella venere era anch’essa una copia realizzata con materiali infiammabili. E anche questo potrebbe leggersi come una sottile simbologia, come a dire che la città è troppo fragile e che chiunque può distruggerla, persino con un banale accendino. O potrebbe significare che siamo tutti impotenti, alla mercè di chiunque voglia sporcare, distruggere, incendiare, rompere, danneggiare e, espandendo il senso della provocazione, mal governare o parassitare le sue risorse e la sua grande bellezza.
La generosità dei napoletani certamente consentirà alla “Fondazione Altra Napoli” di raccogliere tutti i fondi richiesti e, forse, molti più.
Allora si potrebbe anche pensare di lanciare un bando internazionale in stile francese (come quello che ha consentito a suo tempo la costruzione del Centro Pompidou), rivolto a tutti gli artisti disponibili mettendo i fondi raccolti a disposizione del miglior progetto dedicato alla valorizzazione della città, per realizzare una nuova installazione da collocare nella stessa magnifica piazza in cui era stata collocata la sfortunata Venere degli stracci.
Ha ricordato Mimmo Paladino “… l’arte non è mai un pranzo di gala e piazzare l’arte nel tessuto urbano provoca un sentirsi invasi e dà la tentazione di impadronirsene. È stato così anche per la mia montagna di sale, per il forte valore simbolico del materiale utilizzato”.
Ci piace immaginare che il piromane sia stato indotto dalla mitica Partenope per l’accostamento della sua città con quella montagna di stracci.