11 giugno 1984. Si spegneva Enrico Berlinguer.
Con lui moriva il PCI, l’unico partito che nel nostro dopoguerra abbia realmente cercato di dare un futuro diverso agli italiani, di costruire sul serio una giustizia sociale degna di questo nome, di realizzare le utopie di un ‘diverso modello sociale possibile’, attuabile e a misura d’uomo.
Dopo di lui, e dopo il PCI, il diluvio.
A seguire solo miseri rappezzi di una sinistra che erano stata sepolta con il suo corpo, cascami di partiti farsa, dal Pds ai Ds passando per l’Ulivo fino al Partito Democratico che ha rappresentato la peggior sintesi del binomio Dc-Psi. E, comunque, i partiti (così come i leader politici) di allora erano di gran lunga più rappresentativi, centomila volte più significativi delle odierne monnezze a forma (sic) di partito totalmente autoreferenziali, straordinariamente incapaci di rappresentare i bisogni dei cittadini: e si vede, plasticamente, dalla crescita esponenziale del partito del non-voto, che ormai supera largamente quota 50 per cento.
La ‘Voce’, quel maggio 1984, era al suo secondo numero in edicola. E a tutta copertina campeggiava il viso di Enrico Berlinguer, senza alcun titolo. E proprio pochi mesi fa, in un pezzo che potete rileggere andando sul link in basso, abbiamo riportato diversi passaggi del suo intervento in occasione del quattordicesimo congresso del PCI: tutti di straordinaria attualità, a cominciare dalle proposte di allora, ad esempio, sui temi della guerra (o, se preferite, della pace) e del lavoro.
Il PD di Elly Schlein (e sarebbe comunque stato ben poco diverso con altri) oggi è zero, neanche la pallidissima ombra di quel PCI.
Ha perso ogni identità, ogni aggancio con la realtà: e solo tornando ‘indietro’ a quelle utopie, a quei temi ‘forti’ identitari (giustizia sociale, difesa dei più deboli, pace, lavoro) si può tentare di ricostruire qualcosa dalle macerie. Proprio come dopo un devastante terremoto, ripartire dalle basi, basi solide, appunto capaci di ridare un’identità perduta.
E’ una bestemmia, forse, parlare di pensioni minime non da fame?
Di super tasse per i super ricchi, chiamatele patrimoniali se proprio volete?
Di sanità sottratta ai famelici appetiti dei privati e dei colossi farmaceutici?
Elly Schlein ha fatto il suo bravo temino sbarcando alla ‘Whirlpool’ di Napoli, da anni in crisi. Ma basta l’abbraccio con Bersani e soprattutto con Roberto Speranza che ha massacrato gli italiani col suo ‘Tachipirina e Vigile Attesa’ per ricostruire qualcosa di credibile? Missione impossibile, destinata al più sonoro naufragio.
Tornando ad Enrico Berlinguer e ai 39 anni dalla sua morte, vogliamo segnalare una lettera inviata a ‘Repubblica’ dai figli (Bianca, Maria, Marco e Laura) in cui chiedono al neo ri-direttore dell’Unità, Piero Sansonetti, di non usare più la foto del padre per pubblicizzare il ritorno in edicola che quotidiano fondato da Antonio Gramsci (un altro che si sta certo rivoltando nella tomba, soprattutto se legge i fondi in prima pagina dello stragista Giusva Fioravanti).
Si riferiscono, in particolare, ad una storica foto del 1984, durante una manifestazione contro i tagli alla scala mobile. “L’abbiamo rivista in questi giorni, utilizzata come spot pubblicitario – scrivono i figli – e grande è stato il nostro sconcerto e, ancor più, la nostra amarezza. Da quella prima pagina sono passati, così come dalla morte di nostro padre, quasi quarant’anni e, nel frattempo, il mondo è totalmente cambiato. Da allora l’Unità ha avuto numerosi direttori fino a concludere definitivamente la sua storia ormai sei anni fa. Quello che torna oggi in edicola è un quotidiano interamente nuovo che dell’antico e glorioso giornale conserva solo il nome. E solo perché quando è stato messo all’asta un imprenditore più rapido degli altri è riuscito ad acquisirne la proprietà. Ma della storia precedente nulla rimane: nemmeno uno di quei redattori che hanno tenuto in vita il giornale fino al 2017”. E concludono: “Certo la memoria storica appartiene a tutti e per noi è motivo di gioia sapere che la vita e l’attività di nostro padre vengano sentite e vissute da quanti gli vogliono ancora bene, ciascuno secondo la propria soggettività; ma altra cosa è trasformare il suo ricordo in un brand pubblicitario. Per favore, lasciatelo in pace”.
12 giugno. Muore Silvio Berlusconi. Tutti ne parlano, oggi, con un groppo in gola. Tutti lo ricordano.
Noi vogliamo ricordare un paio di passaggi da non poco, sul fronte della lungimiranza politica.
Come mai, in questi mesi di conflitto in Ucraina, nessuno ha mai parlato dei suoi storici accordi raggiunti a Pratica di Mare più di 20 anni fa, sottoscritti da Putin e Bush con la benedizione e la fattiva collaborazione di Berlusconi?
Dimenticati, seppelliti anche quelli – davvero strategici – sotto quintali di naftalina. Proprio come viene fatto con gli altrettanto strategici accordi di Minsk (mai rispettati) che avrebbero potuto garantire una pace vera tra Russia e Ucraina. Perché vengono totalmente ‘oscurati’ mentre possono rappresentare ancora oggi una base di partenza reale per la Pace e quanto meno sancire un immediato cessate il fuoco?
Solo poche settimane fa, un ancora lucidissimo Berlusconi (e certo più lucido di tutti i cervelloni, politologi e pennivendoli che affollano gli ormai disgustosi salotti dei talk di casa nostra) ha commentato l’incontro tra la premier Giorgia Meloni e il guitto-presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. “Io non l’avrei mai incontrato fossi stato premier”, il suo commento.
E lo stesso Berlusconi – proprio come il centenario Henry Kissinger – ha stigmatizzato l’incredibile allargamento ad est della NATO, con il tradimento degli accordi presi nel 1991 dai paesi NATO con Gorbaciov di non oltrepassare mai la linea dell’Oder.
E da allora, invece, ben 13 Paesi ex sovietici sono finiti sotto l’ombrello NATO…
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La grande attualità del pensiero politico di Enrico Berlinguer
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