Trump oscura Biden.
Incredibile ma vero, anche negli Usa la giustizia funziona perfettamente a orologeria.
Nel giorno (martedì scorso) in cui sulle prime pagine dei media a stelle e strisce poteva campeggiare il volto corrucciato di Joe Biden per le indagini a carico suo e del figlio Hunter, la scena viene invece occupata dalla clamorosa incriminazione del suo predecessore alla Casa Bianca, Donald Trump, che si dovrà presentare davanti alla Corte Federale di Miami il prossimo 13 giugno per rispondere di ben 7 capi d’imputazione.
Posta Trump: “La corrotta amministrazione Biden ha informato i miei legali che sono stato incriminato, apparentemente per la bufala delle scatole. Anche se Joe Biden ha 1.850 scatole all’Università del Delaware, altre a Chinatown, e ancor di più all’Università della Pennsylvania e documenti sparsi sul pavimento del garage dove parcheggia la sua Corvette”. E aggiunge: “Il corrotto Dipartimento della Giustizia di Biden mi accusa nello stesso giorno in cui è uscita la notizia di un informatore il quale sostiene che Joe Biden abbia preso tangenti da Burisma in Ucraina. Pensate sia una coincidenza?”.
Sui documenti top secret che Trump conservava nella sua villa di Mar-a-Lago e sequestrati tempo fa dall’FBI c’è il più stretto riserbo. Filtra solo la notizia di lettere del dittatore nordcoreano Kim Jong-un e niente più.
Maggiori notizie, invece, sul giallo che da tempo (la Voce ne sta scrivendo da almeno un paio d’anni) coinvolge Joe e Hunter Biden, il rampollo che ha fatto grosso affari in Ucraina e in Cina.
E proprio i business ucraini sono al centro di un bollente memoriale in possesso dell’FBI sul quale si stanno scatenando feroci polemiche con accuse al calor bianco.
Tra i più accesi il presidente della Commissione di Sorveglianza della Camera, il repubblicano James Comer, che è arrivato a chiedere l’incriminazione del direttore dell’FBI, Christopher Wray.
Ma riavvolgiamo il nastro e poi vediamo le news.
A maggio Comer riferisce in Commissione che l’FBI è in possesso di un documento esplosivo, risalente al 2020, e contenente accuse precise e circostanziate contro i due Biden, fornite da un informatore, un cosiddetto ‘wistherblower’, giudicato ‘molto fidato e altamente credibile’.
Comer ha chiesto i documenti bollenti al capo dell’FBI, che inizialmente ha opposto un secco no. Dopo ulteriori richieste e la richiesta di incriminazione, alla fine Wray ha parzialmente ceduto: vale a dire ha consentito a Comer e ad alcuni membri della Commissione di ‘visionare’ le carte. L’incontro si è svolto in Campidoglio, a Capitol Hill.
Dopo aver analizzato la documentazione, Comer non è andato leggero: “Qui si tratta di riciclaggio di denaro. Le affermazioni fatte nel documento suggeriscono un modello di corruzione in cui i pagamenti sarebbero stati effettuati tramite conti fittizi e più banche. E sono oltretutto coerenti con ciò che abbiamo trovato e divulgato a tutti voi in Romania”.
Il riferimento è ai documenti bancari già all’esame dei deputati repubblicani sempre a maggio, secondo i quali vari membri della famiglia Biden (in primis, of course, Joe e Hunter) avevano ricevuto circa 10 milioni di dollari da ‘attori stranieri’. Circa 1 milioni, a quanto pare, proveniva da un affarista rumeno tra il 2015 e il 2017, quando Biden ricopriva la carica di vicepresidente dell’amministrazione Obama.
Commenta Comer: “I funzionari dell’FBI hanno confermato che il documento non è stato smentito ed è attualmente utilizzato in un’indagine in corso”.
Con ogni probabilità, si tratta dell’inchiesta della procura federale del Delaware sugli ‘affari’ di Hunter Biden.
“Le informazioni lette nei documenti sono choccanti”, afferma dal canto suo Marjorie Taylor Greene, repubblicana della Georgia e membro della Commissione di Sorveglianza della Camera (l’House Committee on Oversight and Reform). E aggiunge: “Hanno arruolato Hunter Biden nel consiglio della società energetica ucraina Burisma per far sparire i problemi. Lo schema di corruzione risale al 2015-2016, quando Hunter stava cercando di acquistare anche una società petrolifere e del gas negli Stati Uniti”.
Un altro passaggio bollente riguarda il procuratore generale ucraino Viktor Shokin, troppo ficcanaso. Stava indagando proprio su ‘Burisma’ e il ruolo svolto nell’affaire da Hunter Biden, quindi andava fermato. Rinfrescano la vicenda due reporter del ‘Washington Times’, Susan Ferreho e Kerry Picketche dettagliano: “I Biden hanno guadagnato milioni di dollari con l’affare Burisma e certo non potevano permettere che un magistrato rovinasse i loro progetti. Per questo Shokin venne ostacolato in tutti i modi e poi rimosso dal suo incarico, come afferma chiaramente l’informatore”.
Questo è solo il capitolo Ucraina.
Perché c’è anche quello che concerne i maxi business griffati Hunter Biden con l’odiata Cina, di cui la ‘Voce’ ha scritto in passato. Un capitolo molto delicato, perché – sulla carta – la Cina è il grande nemico da battere, dopo la ‘pratica’ russa.
Ma se saltano fuori – soprattutto in piena campagna per le presidenziali – le connection cinesi di casa Biden è un guaio da novanta: non solo i business di Hunter con banche, finanziari e affaristi con gli occhi a mandorla, ma anche il ‘Wuhangate’ che vede coinvolto in prima persona il super consulente scientifico di ben 7 presidenti Usa, Anthony Fauci, indagato (insieme ad altri 9 vertici della Casa Bianca) dai procuratori della Louisiana e del Missouri: sia per i depistaggi in materia di pandemia e il condizionamento dei media, che proprio per i rapporti tra il suo ‘National Institute for Allergy and Infectious Deseases’ (il ‘NIAID’ guidato dal 1984 al 2022) e l’Istituto di Virologia di Wuhan per le pericolosissime ricerche (e per questo vietate negli Usa) sul ‘gain of function’, la vera causa per l’origine (artificiale) del coronavirus.
Se le due ‘bombe’ cinesi esplodono proprio in piena campagna, cosa ne è del povero Joe Biden?
LINK VOCE
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