PONTE SULLO STRETTO / CIUCCI & CAVALLI DI RITORNO

Arieccolo.

Ciucci Pietro torna in sella dopo decenni di gloria e qualche anno sotto la naftalina grazie alla bacchetta magica del ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Matteo Salvini che, oltre al Ponte sullo Stretto, resuscita anche il suo primo timoniere, il Ciucci, nominandolo amministratore delegato della nuova-vecchia società che si occuperà del faraonico appalto (è affiancato, come presidente, dal costruttore Giuseppe Recchi).

Si tratta del manager pluripoltronista negli anni ’90 e primo decennio 2000, sbocciato alla corte dell’allora presidente dell’IRI Romano Prodi, fiorito sotto tutti i governi di centrodestra e centrosinistra, quindi alla guida dell’ANAS per tutti gli appalti con un santo patrono del calibro di Antonio Di Pietro, quando in sella ad Italia dei Valori era titolare dello stesso strategico ministero per Infrastrutture e Trasporti.

Ora rinasce come l’araba fenice, Ciucci superstar, nonostante non poche grane giudiziarie che l’hanno inseguito fin negli ultimi anni.

Antonio Di Pietro. Nel montaggio in alto, Pietro Ciucci

Proprio per la ‘allegra’ gestione ANAS, nel settennato 2006-2017, è stato braccato a lungo dalla Corte dei Conti, che a carico suo e di altri 4 consiglieri ha chiesto una condanna arcimilionaria, naturalmente finita nella solita, beata prescrizione. Una Corte dei Conti oggi messa in un cantuccio dal governo Meloni, solo perché vuol vederci chiaro nei conti PNRR

E sempre la Corte dei Conti (stavolta la sezione del Lazio) quattro anni fa, nel 2019, ha chiuso una interminabile indagine per una illegittima proroga di una concessione autostradale (si trattava dell’A4 e della A31) a favore dei soliti Benetton: una proroga ottenuta senza alcuna gara. La Corte ha calcolato un danno da 600 milioni di euro per il nostro erario: inutili gli sforzi per recuperare quel bottino, per la consueta salvifica prescrizione. E pensare che a presentare il primo esposto, per quei fatti, era stato l’allora ipercritico (e ora tutto pro Ponte) senatore Lucio Malan, all’epoca con la maglietta di Forza Italia e ora con quella di Fratelli d’Italia.

La ‘Voce’ ha scritto non pochi articoli e inchieste, soprattutto sull’ANAS griffata Ciucci. E ha tracciato le tappe principali della lunga scalata del super-manager nel nostro ricco parastato: con poltronissime che hanno spaziato dal settore bancario a quello dei servizi e dei grandi gruppi. Solo per fare qualche nome: Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano, poi Stet, Aeroporti di Roma, Finmeccanica, Sme, Autostrade, per citare solo le principali. Degno rivale di quell’Andrea Mastrapasqua, altro brasseur di Stato dalle cento poltrone, a partire dallo scranno dell’INPS: all’epoca arrivò a presenziare addirittura in una ventina di consigli d’amministrazione contemporaneamente.

Torniamo comunque a porci il solito interrogativo: per quale imperscrutabile motivo mai l’ubiquo Salvini si è intestardito a voler di nuovo il pluri-affossato progetto del Ponte sullo Stretto, con tutte le drammatiche urgenze economiche che si trova a dover fronteggiare il Paese?

E’ logico, fisiologico, normale buttare dalla finestra i 15 miliardi previsti che oltretutto – se mai l’opera decollerà – raddoppieranno o triplicheranno di certo? Caso mai con controlli ridotti al lumicino, vista l’aria che tira, per la gioia di cosche e clan di mafia e ‘ndrangheta che non aspettavano altro, un altro banchetto tipo TAV. Che, a proposito, a oltre trent’anni dal suo inizio, deve essere ancora terminata, visto che manca all’appello l’eterna tratta con la Francia.

Pensionati con le minime da fame, giovani senzalavoro e precari a vita, arrendetevi: il governo se ne strafotte di voi e vuole a tutti i costi il Ponte sullo Stretto.

Capito?

 

 

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