Rockefeller: lasciate che le banche falliscano

 

Non è usuale che la Grande Finanza, quella vera, si esponga. Così il recente intervento di Ruchir Sharma, presidente del Rockefeller International, sul Financial Times (ripubblicato su Zero Hedge), va letto con molta attenzione.

Lo sintetizziamo, rimandando quanti volessero alla lettura integrale, perché, appunto, di interesse capitale, parola da leggere nei diversi significati del termine.

 

L’era del denaro facile

“Gli ultimi decenni – scrive l’autore – caratterizzati dal denaro facile hanno creato mercati così grandi – quasi cinque volte più grandi dell’economia mondiale – e così intrecciati che il fallimento anche di una banca di medie dimensioni rischia di creare un contagio globale”.

“[…] l’era del denaro facile è stata modellata da un riflesso sempre più automatico dello Stato per salvare – cioè salvare l’economia da una crescita deludente, anche durante i momenti di ripresa, salvare non solo banche e altre società, ma anche le famiglie, le industrie, i mercati finanziari e governi stranieri che attraversano una crisi. Le ultime corse agli sportelli mostrano che l’era dei soldi facili non è finita”.

“In netto contrasto con lo stato minimalista dell’era precedente al 1929, l’America si è posta alla guida di una cultura del salvataggio, che cresce verso nuovi ed estremi massimalismi”.

“I guai di oggi sono stati paragonati alle corse agli sportelli del XIX secolo, ma a quei tempi i soccorsi erano rari. L’iniziale ostilità dell’America alla concentrazione del potere aveva prodotto un governo centrale limitato e senza una banca centrale. In assenza di un sistema finanziario, la fiducia [dei clienti] si fondava su un piano personale, non istituzionale”.

“[…] Il governo circoscritto è stato un elemento chiave della rivoluzione industriale, segnata da recessioni dolorose e riprese robuste, che si sono tradotte in una forte produttività e in una maggiore crescita del reddito pro capite. Negli anni ’60 e ’70, la resistenza ai salvataggi statali era ancora profonda, sia che a supplire fosse una grande banca, una grande società o New York City”.

I salvataggi seriali e la “destinazione errata del capitale”

“Sebbene i primi anni ’80 siano visti come un momento cruciale di un più massiccio ritiro del governo, in realtà quest’era è stata contrassegnata dall’ascesa della cultura del salvataggio, come dimostra la crisi della Continental Illinois, la prima banca statunitense ritenuta troppo grande per fallire”. Che fu salvata da un intervento statale, ricorda.

“[…] Il primo salvataggio preventivo è arrivato alla fine degli anni ’90, quando la Fed è intervenuta a sostegno di un hedge fund molto legato ai mercati esteri, per evitare la minaccia di una crisi finanziaria sistemica”.

“Questi salvataggi impallidiscono a fronte di quelli del 2008 e 2020, quando la Fed e il Tesoro hanno infranto i record precedenti per migliaia di miliardi di dollari, creati o concessi in prestiti e salvataggi in favore di migliaia di società finanziarie e altri settori, in patria e all’estero”.

“[…] I rischi non sono solo morali o speculativi, come molti insistono: sono pratici e presenti. I salvataggi hanno portato a una massiccia destinazione errata del capitale e a un aumento del numero di aziende zombi, che contribuiscono notevolmente all’indebolimento del dinamismo e della produttività delle imprese”.

“[…] Invece di ridare energia all’economia, la cultura massimalista del salvataggio sta gonfiando e quindi destabilizzando il sistema finanziario globale. Man mano che la fragilità cresce, ogni nuovo salvataggio rafforza le possibilità di una successiva crisi”.

“Nessuno che ci pensi per più di un minuto può provare nostalgia per il caos doloroso, ma produttivo, dell’era precedente il 1929. Ma troppo pochi politici riconoscono che siamo all’estremo opposto; i continui salvataggi minano il capitalismo. L’intervento del governo allevia il dolore delle crisi, ma nel tempo abbassa la produttività, la crescita economica e il tenore di vita”.

 

Rockefeller & Bloomberg

Così parlò Rockefeller per bocca del signor Sharma. E la sua opinione ha un peso notevole. Non ci sarebbe che da rallegrarsi che uno dei dominus della Finanza lanci l’allarme sui catastrofici rischi connessi al denaro creato dal nulla.

Ma l’omissione dell’altra faccia della medaglia dei soldi facili, cioè la Finanza virtuale speculativa, diventata anch’essa di dimensioni mostruose e che comporta rischi sistemici altrettanto elevati, lascia interdetti. Il punto è che tale Finanza, che si auto-alimenta al di fuori di ogni legge, ha nei Sharma e nei suoi simili i dominus assoluti, da cui l’interessata omissione.

Non solo, i salvataggi statali in questi anni si sono resi necessari spesso per riparare ai danni provocati dai signori di tale Finanza speculativa, usi ad addossare alle banche le proprie magagne e a rimanere indenni, anzi a lucrare sui disastri provocati.

Insomma, i protagonisti della follia finanziaria di questi ultimi anni ora intendono dare la propria ricetta per uscire dalla crisi di sistema nel quale sembra che siamo precipitati. Come mettere una volpe a guardia del pollaio.

E la ricetta è semplice: lasciare che le banche falliscano e lasciare l’ambito finanziario alla completa mercé delle sue dinamiche interne, dove tutto si riduce alla legge della giungla nella quale vince il più forte, cioè loro.

C’è un’assonanza di fondo tra quanto scrive Sharma e quel che si leggeva in un autorevole articolo di Bloomberg – che abbiamo riportato in un nota relativa al fallimento della Silicon Valley Bank – nel quale si spiegava che, per uscire dalla crisi, le banche piccole devono sparire così che a gestire il Credito siano solo una decina di grandi banche.

Non abbiamo ricette alternative, ma questa non convince affatto, anzi inquieta non poco, dato che l’auspicato fallimento di tanti Istituti di credito metterà sul lastrico tanti risparmiatori.

 

FONTE

PICCOLE NOTE

 

 

LEGGI ANCHE

La cultura dei salvataggi sta destabilizzando

il sistema finanziario globale

 

di Ruchir Sharma, editorialista del Financial Times 

 

Una cultura massimalista di salvataggi e sostegno statale sta gonfiando e quindi destabilizzando il sistema finanziario globale…

 

Ruchir Sharma

Man mano che si diffondono le corse agli sportelli, è diventato chiaro che chiunque metta in dubbio un salvataggio del governo per coloro che sono stati colti sotto i piedi sarà etichettato come un liquidatore degli ultimi giorni, come quelli che consigliarono a Herbert Hoover di lasciar fallire le imprese dopo il crollo del 1929.

 

Il liquidatore sta ora sfidando il fascista come l’insulto più impropriamente lanciato in politica. È vero, non è più politicamente possibile per i governi non organizzare salvataggi, ma questo è un problema a valanga di loro creazione. Gli ultimi decenni di denaro facile hanno creato mercati così grandi – quasi cinque volte più grandi dell’economia mondiale – e così intrecciati che il fallimento anche di una banca di medie dimensioni rischia il contagio globale.

 

Più che bassi tassi di interesse, l’era del denaro facile è stata modellata da un riflesso statale sempre più automatico per salvare – per salvare l’economia da una crescita deludente anche durante le riprese, per salvare non solo banche e altre società, ma anche famiglie, industrie, mercati finanziari e stranieri governi in tempo di crisi.

 

Le ultime corse agli sportelli mostrano che l’era dei soldi facili non è finita. L’inflazione è tornata, quindi le banche centrali stanno inasprendo, ma il riflesso di salvataggio sta ancora guadagnando forza. Più forte cresce, meno dinamico diventa il capitalismo. In netto contrasto con lo stato minimalista dell’era precedente al 1929, l’America ora guida una cultura del salvataggio che continua a crescere verso nuovi estremi massimalisti.

 

I guai di oggi sono stati paragonati alle corse agli sportelli del XIX secolo, ma a quei tempi i soccorsi erano rari. L’ostilità fondante dell’America nei confronti del potere concentrato l’aveva lasciata con un governo centrale limitato e nessuna banca centrale. In assenza di un sistema finanziario, la fiducia è stata mantenuta a livello personale, non istituzionale. Prima della guerra civile, le banche private emettevano le proprie valute e quando la fiducia veniva meno, i depositanti fuggivano.

 

Se all’epoca fosse esistita la Federal Reserve americana, non sarebbe stata di grande aiuto. L’ethos delle banche centrali europee contemporanee era quello di aiutare le banche solvibili con solide garanzie – in pratica erano più dure, proteggendo le proprie riserve e “respingendo i loro corrispondenti bisognosi”, come dice una storia della Fed.

 

Un governo moderato è stato un elemento chiave della rivoluzione industriale, segnata da recessioni dolorose e riprese robuste, che si sono tradotte in una forte produttività e in una maggiore crescita del reddito pro capite. Proprio negli anni ’60 e ’70, la resistenza ai salvataggi statali era ancora profonda, sia che il supplicante fosse una grande banca, una grande società o New York City.

 

Sebbene i primi anni ’80 siano visti come un momento cruciale di un più ampio ritiro del governo, in realtà quest’era è stata contrassegnata dall’ascesa della cultura del salvataggio quando la Continental Illinois è diventata la prima banca statunitense ritenuta troppo grande per fallire. Con una mossa radicale allora, riflessiva ora, la Federal Deposit Insurance Corporation ha esteso una protezione illimitata ai depositanti continentali, proprio come ha fatto per i depositanti SVB.

Le recenti corse agli sportelli sono state paragonate alla crisi dei risparmi e dei prestiti degli anni ’80. Innescata in parte dalla regolamentazione che ha reso impossibile per le S&L competere in un contesto di tassi in aumento, la crisi è stata risolta dalle autorità di regolamentazione che hanno liquidato più di 700 di questi “risparmi” con un costo per i contribuenti di circa 130 miliardi di dollari. Il primo salvataggio preventivo è arrivato alla fine degli anni ’90, quando la Fed ha organizzato il sostegno a un hedge fund profondamente legato ai mercati esteri, al fine di evitare la minaccia di una crisi finanziaria sistemica.

 

Questi salvataggi impallidiscono accanto al 2008 e al 2020, quando la Fed e il Tesoro hanno infranto i record per migliaia di miliardi di dollari creati o concessi in prestiti e salvataggi a migliaia di società della finanza e di altri settori in patria e all’estero. In ogni crisi, i salvataggi hanno mantenuto il tasso di insolvenza aziendale a livelli inaspettatamente bassi rispetto ai modelli passati. Stanno facendo lo stesso ora anche se i tassi salgono e iniziano le corse agli sportelli.

 

I rischi non sono solo morali o speculativi, come molti insistono: sono pratici e presenti. I salvataggi hanno portato a una massiccia allocazione errata del capitale e a un aumento del numero di aziende zombi, che contribuiscono notevolmente all’indebolimento del dinamismo e della produttività delle imprese. Negli Stati Uniti, la crescita della produttività totale dei fattori è scesa ad appena lo 0,5% dopo il 2008, rispetto al 2% circa tra il 1870 e l’inizio degli anni ’70.

 

Invece di ridare energia all’economia, la cultura massimalista del salvataggio sta gonfiando e quindi destabilizzando il sistema finanziario globale. Man mano che la fragilità cresce, ogni nuovo salvataggio rafforza la causa per il successivo.

 

Nessuno che ci pensi per più di un minuto può provare nostalgia per il caos doloroso ma produttivo dell’era precedente al 1929.

 

Ma troppo pochi politici riconoscono che siamo all’estremo opposto; i continui salvataggi minano il capitalismo. L’intervento del governo allevia il dolore delle crisi ma nel tempo abbassa la produttività, la crescita economica e il tenore di vita.


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