Il mare, la luna, i coltelli…titola uno dei principali libri di storia dedicati al cinema di, e su, Napoli, focalizzando lucidamente l’attenzione sui due grandi poli tematici dei film ambientati nella metropoli partenopea: l’anima mediterranea, scenario di una mirabile unione tra un paesaggio suggestivo e il calore del suo popolo, e la violenza endemica di una malavita che infesta e pervade la città nascosta, povera e degradata.
Due linee di tendenza a prima vista del tutto antitetiche e drammaticamente stridenti, che sin dalle origini del cinema (arte di cui Napoli è stata una delle capitali e rappresenta tuttora un centro di attrazione di portata mondiale) hanno segnato tanto l’autorappresentazione della città sul grande schermo quanto gli stilemi narrativi delle produzioni nazionali e straniere. In entrambi i casi, tuttavia, questa linea di demarcazione non è stata così assoluta: in molti film su Napoli, da quelli più memorabili alle produzioni regionali, la tensione realistica ed engagè convive con gli stereotipi, la suspence si stempera in un sottofondo comico, lo sguardo truce di killer spietati si alterna con il sorriso bonario delle maschere del popolino (in nessun’altra filmografia del mondo i caratteristi hanno il rilievo e la popolarità di quelli napoletani), sublimando quella predisposizione al melodramma che il mondo riconosce come prerogativa caratterizzante e insuperabile del popolo e della cultura italiana.
Le opere cinematografiche che meglio hanno operato questa intrigante contaminazione tra commedia e noir nella realtà di Napoli (si pensi a Operazione San Gennaro di Dino Risi o ai titoli recenti dei Manetti Bros, l’uno e gli altri non napoletani, forse non per caso) sono considerati ormai classici, non solo in Italia, di un genere particolare che costituisce uno dei capitoli più originali e importanti (e di grande successo popolare) di questo percorso storico-critico nei film sulla Napoli criminale.
Su un piano autoriale elevato si collocano quei (pochi) titoli che hanno indicato una svolta nella rappresentazione della realtà napoletana, all’insegna del rigore contenutistico e formale, come il memorabile Processo alla città di Zampa e i capolavori di Francesco Rosi. Un rigore artistico senza sbavature, e ricco di soluzioni tecniche e creative, che ritroviamo – pur con motivi ispiratori diversi – in due titoli cult che hanno segnato l’immaginario popolare, a Napoli e nel mondo, come Napoli violenta di Umberto Lenzi, insuperato best seller del genere, e Il camorrista, vibrante esordio di Giuseppe Tornatore.
Lungo un crinale meno nobile in termini di qualità, ma coronato da un riscontro popolare di lunga durata, ritroviamo il filone del cinema-sceneggiata, con Mario Merola suo re insuperato, interamente concepito e prodotto a Napoli, che oggi vive una seconda giovinezza tra i cinephiles meno sussiegosi e alimenta insospettate suggestioni socio-antropologiche.
Con il nuovo cinema napoletano d’autore, a sua volta (quello di Capuano, Patierno, Ferrente, Toni D’Angelo, Fiume e di tanti promettenti cineasti), nei coraggiosi prodotti documentari e di animazione, e con il recente successo planetario di Gomorra, il noir si è definitivamente affrancato dalle contaminazioni oleografiche, esprimendo ad alti livelli artistici tutta la carica oscura e violenta di una realtà sempre magmatica e imprevedibile ma oggi evidentemente limitata negli orizzonti di cambiamento e speranza che l’hanno caratterizzata anche nei giorni più difficili della sua storia.
Di questo universo cinematografico e culturale così variamente articolato, straordinariamente fertile e sempre mutevole e aperto, gli autori di questo libro (ai quali va il nostro convinto e riconoscente apprezzamento per la competenza e l’impegno di ricerca) hanno cercato di illustrare i caratteri salienti, di addentrarsi nei risvolti meno noti, di analizzare – dove possibile, con gli autori stessi – i motivi ispiratori, le soluzioni tecniche, le scelte sul linguaggio, la visione della comunità di cui molti di loro continuano a far parte, attivamente.
Il nostro viaggio nella “Napoli calibro 35 millimetri” non ha mai avuto, per usare un’espressione abusata ma efficace, la pretesa dell’esaustività. È un capitolo così denso e importante, senza soluzione di continuità, che sollecita fin da ora nuovi apporti e ricerche. A noi basta la consapevolezza di aver realizzato un percorso necessario, finora mai tentato in una dimensione così ampia, per ribadire il valore di una storia artistica e produttiva e, nei limiti del possibile, provare a far giustizia di letture superficiali e sommarie sul cinema e sulla realtà di Napoli.
È stato, soprattutto, un viaggio avvincente e pieno di sorprese. Che vi invitiamo a condividere con noi.
Paolo Spagnuolo e Paolo Speranza
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