Ad inizio del settembre dello scorso anno, dopo poche settimane dalla conquista talebana di Kabul – avvenuta il 15 agosto – e la rovinosa fuga occidentale dal Paese, pubblicavamo un anticipazione del volume “The Afghanistan Papers” scritta da Nick Turse sul giornale d’inchiesta The Intercept.
Il libro conteneva la serie di articoli che Craig Whitelock, giornalista del Washington Post, aveva iniziato a pubblicare sul quotidiano statunitense dal 9 dicembre 2019, facendo crollare i castelli di menzogne sull’allora quasi ventennale avventura bellica occidentale nel paese asiatico.
Come scrivemmo allora: «Ciò che emergeva dal dossier non era solo la differenza tra narrazione ufficiale e realtà fattuale. Uno degli elementi più stupefacenti è il fatto che nessuno capiva il motivo del prolungarsi della guerra e nemmeno della strategia adottata e persino – per quanto sembri assurdo – chi fosse il nemico».
Sebbene il contesto ucraino sia differente, bisognerebbe porsi qualche domanda alla luce di ciò che è emerso e sta a fatica emergendo sull’Afghanistan.
L’Occidente ha voluto rimuovere troppo in fretta la sua sconfitta e la fuga scomposta dal paese, così come la guerra sporca condotta contro la popolazione afghana in più di un ventennio di disastrosa occupazione militare.
Con l’escalation del febbraio scorso in Ucraina è stata messa poi una specie di “pietra tombale” sui misfatti occidentali nel paese, così come sulla lunga serie di crimini commessi, in particolare dagli anglo-americani, nel corso della loro Storia recente.
In generale, della sconfitta strategica dell’Occidente e delle menzogne sostenute per supportare tale impresa bellica, non si è voluto più parlare nonostante – mutatis mutandis – lo scenario ucraino si stia rivelando non meno insidioso.
Nel mentre non si vuole rivangare il passato, l’Unione Europea caldeggia l’idea della creazione di un “tribunale speciale” per giudicare dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, di fatto assecondando ulteriormente le proposte formulate dall’Ucraina e finora sostenute praticamente solo da Stati Baltici e Polonia.
Proprio per questo ci sembra utile “rimettere il dito nella piaga” e proporre la traduzione di questa recente inchiesta di The Intercept, che fa in parte luce su uno dei particolari rimossi della guerra sporca statunitense: le truppe d’élite afghane che agivano di fatto sotto il diretto controllo della CIA, la cui attività “contro-insurrezionale” si risolveva spesso nell’uso di veri e propri squadroni della morte per terrorizzare la popolazione locale.
Per una sorta di nemesi storica, i componenti di queste truppe arrivati negli USA, spesso sono poi diventati parte di quell’esercito di working poor che vive negli Stati Uniti.
Come afferma l’ex corrispondente del New York Times per l’Afghanistan, Fahim Abed, autore dell’inchiesta sugli ex componenti di queste truppe: «Le mie conversazioni con Hayanuddin e altri membri della milizia hanno fornito nuovi dettagli sulla struttura di comando, sulle operazioni e sugli ultimi giorni di vita di unità oscure che, pur essendo nominalmente supervisionate dai servizi segreti afghani, erano in realtà costruite, addestrate e in molti casi completamente controllate dalla CIA.
I loro combattenti detengono indizi su molti misteri della guerra, tra cui il modo in cui l’intelligence statunitense ha progettato e supervisionato anni di incursioni notturne mortali che hanno contribuito alla vittoria finale dei Talebani e il modo in cui un accordo segreto tra nemici di lunga data potrebbe aver accelerato il crollo fulmineo delle forze di sicurezza afghane lo scorso agosto.
Celebrati come “eroi” dai loro responsabili americani e da alcuni afghani che si oppongono ai Talebani, i miliziani come Hayanuddin erano temuti e detestati da molti afghani delle zone rurali, che hanno subito il peso delle loro strazianti incursioni. Mentre centinaia di membri dell’Unità Zero e i loro parenti più stretti sono riusciti a raggiungere gli Stati Uniti, hanno lasciato dietro di sé famiglie allargate che hanno subito abusi, incarcerazioni e minacce di morte da parte del nuovo governo.»
Attraverso la traiettoria di queste milizie si può leggere il fallimento dell’impresa bellica statunitense nel Paese, ed il disperato tentativo delle autorità collaborazioniste di cercare di impedire la riconquista talebana del Paese utilizzandole come carne di cannone senza più la copertura statunitense.
Questo modus operandi non sembra essere molto differente da quello usato nel contesto ucraino, ma gli osservatori occidentali dell’informazione non sembrano farci caso, nonostante le evidenti similitudini.
Pensiamo che sia solo questione di tempo perché si ripeta lo stesso scenario, che sarà anch’esso ferocemente negato dagli apparati ideologici occidentali, fin quando l’evidenza empirica non stravolgerà la “narrazione dominante”; ed è anche per questo che legarsi mani e piedi alla follia bellicista delle élite occidentali appare l’ennesimo errore.
FONTE
https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/12/03/gli-scheletri-nellarmadio-della-guerra-usa-in-afghanistan-una-lezione-per-lucraina-0154988
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