IRAN / SITUAZIONE SEMPRE PIU’ BOLLENTE

Situazione sempre più incandescente in Iran, non solo per le proteste popolari, comunque abbondantemente e scientemente  amplificate dal ‘mainstream’ occidentale.

Accade soprattutto per le crescenti tensioni fra Iran e Turchia, causate dal fatto che il governo Erdogan avrebbe l’intenzione di lanciare un’offensiva contro le forze curde nel nord della Siria.

A questo proposito, l’Ansa riferisce di un colloquio telefonico intercorso, su questo tema, tra il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabddlahian e l’omologo turco Mevlut Cavasoglu. Ecco le parole-avvertimento del primo: “Operazioni militari non solo non possono risolvere alcun problema, ma allo stesso tempo complicano ulteriormente la situazione e provocano perdite di vite umane”.

Estremamente pericoloso quindi, in questo così tragico momento, gettare altra benzina sul fuoco e allargare i confini dei conflitti.

Di seguito vi proponiamo la lettura di due interessanti inchieste.

Una arriva dal sempre più aggiornato ‘Piccole Note’, dove si parla della consueta ‘ombra’ americana in quest’area. Da segnalare il riferimento ad un reportage comparso su ‘The Cradle’ – il sito animato da Pepe Escobar – che vi invitiamo a leggere, caso mai facendo ricorso al traduttore automatico. Si intitola “A War of narratieves: Who killer the child in Iran’s Izeh?”.

 

 

Iran: i morti di Izeh e la partita con gli Stati Uniti

 

L’assassinio di Kian Pir-Falak, un bambino iraniano di 9 anni, avvenuta nella cittadina iraniana di Izeh, ha fatto il giro del mondo, soprattutto perché la mamma, distrutta dal dolore, ha accusato della morte i miliziani Basij, che dipendono dal governo di Teheran.

Il sito The Cradle racconta però tutt’altra storia. Nella guerra di propaganda che si sta giocando in Iran avremmo preso il suo scritto come una fonte parziale, ma ha il difetto di basarsi su una documentazione inconfutabile, a differenza delle tante storie che si raccontano sull’Iran. Infatti, riporta i video di quanto avvenuto. E annota una stranezza che, in effetti, colpisce.

Così, iniziamo dalla stranezza. The Cradle ricorda che, insieme a Kian, sono state uccise altre sei persone, tra cui un altro bambino, Abteen Rahmani, di 13 anni. Eppure nessuno dei media occidentali ha riportato tale notizia, nonostante fosse coinvolto anche quest’altro fanciullo.

Possibile che i parenti e i testimoni dell’eccidio abbiano dato un’altra versione dei fatti, da cui la necessità di censurare? La domanda è legittima, dal momento che la disinformazione sulla strana rivoluzione iraniana è arrivata al parossismo, come denota la notizia, del tutto infondata, secondo la quale Teheran aveva condannato a morte 15mila oppositori (in realtà una sola persona è stata condannata anche se non è dato sapere perché).

 

I video di Izeh

Ma, al di là delle domande che suscitano le lacunose informazioni dei media mainstream, val la pena scorrere i video pubblicati da The Cradle, in particolare il filmato ripreso da una body-cam in dotazione a un Basij che presidiava il posto.

Il video mostra la pattuglia appostata a un angolo della strada, che porta a qualche posto dal quale si sentono esplodere colpi. Gli agenti si sbracciano e gridano ai veicoli in transito di non andare. “Non andate da quella parte, giratevi da questa parte…. vi uccideranno”. Alcuni si fermano, tornano indietro, altri, invece, incuranti degli avvertimenti, vanno avanti.

A sparare, evidentemente, sono altri, i ribelli, oppositori o come si vuole chiamarli. Più significativo ancora il dialogo tra gli agenti riferito da The Cradle. “Per favore, digli di mandarci 10 Kalashnikov”, grida qualcuno. Un altro si lamenta in agonia, “Ci dicono di andare in piazza a mani vuote”. Un giovane dice a un alto ufficiale: “Haji, diverse (forze) sono state colpite” e l’ufficiale gli chiede: “chi? Nostri uomini?”.

Successivamente si sente la voce dell’ufficiale che dice: “Se non hai armi da fuoco, entra nella sala di preghiera”. “Non abbiamo niente… nessuno ha niente” dice un altro. Infine, negli ultimi secondi del video, un uomo – forse l’alto ufficiale – maledice quelli li hanno mandati in questa debacle. Un giovane dice: “Rimanere qui non ha senso”. E come se indicasse il suo fucile, un ragazzo di nome Reza dice: “Cos’è questo? È un giocattolo, un giocattolo!”.

Ancora The Cradle: “Un video di un giovane  volontario Basij ricoverato in ospedale, che parla con difficoltà per una ferita da arma da fuoco al collo, fornisce un’ulteriore prova che uomini armati sconosciuti stavano sparando proiettili veri quella notte. In questo, dice che i suoi colleghi avevano solo pistole paintball con cui difendersi” (le paintball sono usate usualmente per far fronte alle proteste di piazza; se ne fecero largo uso, ad esempio, nel corso dei disordini dei gilet gialli in Francia).

 

I morti del regime-change

Il fatto che le manifestazioni non sono poi così pacifiche lo indica anche il numero delle forze di polizia uccise, almeno 50 finora, mentre i civili uccisi negli scontri sarebbero circa 300, ma resta da capire se, come raccontano in Occidente, siano stati tutti uccisi dalla repressione o, come avvenuto a Izeh, da altri.

Si tratta di una guerra ibrida, come dimostrano le incursioni di “oppositori” dal Kurdistan iracheno, contro i quali Teheran ha lanciato una controffensiva, per ora solo a distanza, accompagnata dalla richiesta al governo iracheno di tenere a freno gli aggressori.

Le operazioni dei curdi iracheni insistono sul Kurdistan iraniano, regione nella quale si è generata la sollevazione. E l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa ha chiesto di fornire armi ai curdi di questa regione (arrivano, dato quanto accade).

Non una rivoluzione, ma una guerra ibrida che gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno portando all’Iran, avviata dalla morte di Mahsa Amini e dalle successive proteste contro il velo di alcune donne iraniane.

Sulla morte di Amini abbiamo scritto in precedenza, pubblicando il video girato in questura nel quale si vede che la ragazza ha un malore e viene soccorsa, cosa che stride con quanto viene raccontato (ma i dubbi su quanto accaduto successivamente possono essere legittimi).

 

Masih Alinejad e l’intervento Nato

Abbiamo anche scritto della strana influencer Masih Alinejad, esule iraniana che vive negli Stati Uniti sotto la tutela dell’Fbi e da lì, con un lavoro che dura da dieci anni, ha creato una rete di opposizione al governo di Teheran usando il rigetto del velo di parte delle donne iraniane.

Nella nota avevamo pubblicato la foto di Alinejad con Mike Pompeo, che sostiene da tempo un regime-change in Iran. Ma uno scritto recente della Alinejad, pubblicato sul Washington Post, mostra con ancora più chiarezza le sue posizioni.

Evocando, al solito, la destituzione delle autorità iraniane ha raccontato del suo commosso incontro con Macron e altro. Se accenniamo a tale articolo è perché in esso la Alinejad spiega tutto il suo rigetto per l’accordo sul nucleare iraniano, stretto da Obama e cancellato da Trump (su istigazione dei falchi), che Biden aveva tentato di rianimare.

Una posizione propria dei neoconservatori Usa, che non intendono mollare la presa su Teheran e far cadere le sanzioni, cosa che avverrebbe se l’accordo fosse ripristinato. Tali sanzioni, non sollevate neanche durante la pandemia, impedendo a Teheran l’accesso alle medicine, ha affamato la popolazione iraniana, anche quelle donne che la Alinejad  dice di difendere.

Non solo, nell’articolo la Alinejad evoca un potenziale conflitto della Repubblica islamica dell’Iran “con la Nato”, idea che non sembra dispiacerle affatto. Sul punto riportiamo il titolo di un articolo del Timesofisrael di ieri: “L’IDF [l’esercito israeliano] conduce esercitazioni aeree congiunte con gli Stati Uniti, simulando attacchi contro l’Iran e i suoi delegati”.

 

Iran – Stati Uniti

Questa la situazione. Non è una questione di velo o non velo, ma tutt’altro. E la propaganda anti-iraniana che promana dai media mainstream è quella che abbiamo già visto prima di altri interventi militari made in Usa. Stessa manipolazione dei fatti, stessa ferocia.

Per concludere con una nota leggera, si può ricordare come i media avessero riferito che i giocatori della nazionale iraniana di calcio fossero stati minacciati di morte, le loro famiglie sequestrate e a rischio se non si fossero impegnati nel mondiale.

Così, guardando la partita Iran – Stati Uniti pensavamo di vedere una squadra che scendeva in campo col coltello tra i denti. Non solo per il prestigioso obiettivo in ballo, la storica qualificazione agli Ottavi, ma anche per l’avversario, gli odiati Usa. In più c’erano le minacce, le torture.

Invece è stato tutt’altro: i ragazzi iraniani, al confronto degli sfrenati americani, sembrava che stessero giocando un’amichevole… e le minacce?

Al di là, e in netto contrasto con la propaganda, i messaggi di rispetto e fratellanzaintercorsi prima della partita tra i calciatori iraniani e Weah, in forza alla nazionale degli Stati Uniti. Non li ha riportati nessuno, se non Irna, agenzia stampa del governo iraniano, quello che avrebbe dovuto gettare in prigione i calciatori in questione, ucciderne mogli e figli etc.

 

 

Il secondo pezzo compare sul blog antimilitarista di Antonio Mazzeo e si intitola “Prove di guerra anti-Iran nei cieli del Mediterraneo”: ci riguarda, quindi, molto da vicino.

 

 

 PROVE DI GUERRA ANTI-IRAN NEI CIELI

DEL MEDITERRANEO

DI ANTONIO MAZZEO

Prove di guerra nucleare anti-Iran. Ha preso il via martedì 29 novembre nei cieli del Mediterraneo orientale una delle più grandi esercitazioni aeree mai effettuate congiuntamente dalle forze armate di Stati Uniti d’America e Israele. Fino a giovedì 1 dicembre i cacciabombardieri USA e israeliani simuleranno un attacco contro le centrali sospettate di concorrere al programma di riarmo nucleare iraniano.

“Caccia e aerei cisterna per il rifornimento in volo della Israeli Air Force (IAF) e di US Air Force parteciperanno all’esercitazione e simuleranno diversi scenari per far fronte alle minacce regionali”, spiega in una nota l’ufficio stampa dell’Aeronautica militare di Tel Aviv.

E’ The Jerusalem Post a rivelare il vero obiettivo dei war games. “Con le crescenti tensioni per il programma nucleare dell’Iran e le ostilità nella regione, Israele e la Repubblica islamica si minacciano reciprocamente e gli Stati maggiori dei due paesi affermano che le rispettive forze armate sono in grado di colpire gli avversari”, scrive il quotidiano. In vista di un sempre più prevedibile attacco alle infrastrutture nucleari iraniane, le autorità israeliane hanno varato un ambizioso e costoso programma di rafforzamento del dispositivo aeronavale: per il bilancio della difesa 2023 sono stati stanziati 58 miliardi di shekel (16,29 miliardi di euro circa), 3,2 miliardi dei quali destinati specificatamente contro Teheran.

Secondo quanto riportato dai media statunitensi, la decisione di organizzare l’esercitazione aerea è stata presa lo scorso 23 novembre in occasione della vista negli USA del Capo delle forze armate di Israele, il generale Aviv Kochavi. “Il leader militare israeliano insieme al Capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti d’America, gen. Mark Milley e al comandante di CENTCOM (Central Command) gen. Michael Kurilla, starebbero considerando di svolgere nelle prossime settimane un’attività addestrativa congiunta per addestrare i militari in vista di un possibile conflitto con l’Iran e i suoi alleati in Medio oriente”, annunciava Fox News Digital a conclusione del vertice.

Durante la sua missione in territorio USA, il gen. Aviv Kochavi è stato pure ospite del consigliere del presidente Biden per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, e del direttore della Central Intelligence Agency (CIA), William J. Burns. Al Comando delle forze navali di Norfolk (Virginia), il capo delle forze armate israeliane è stato accompagnato dai massimi responsabili di US Navy a bordo di un sottomarino nucleare e di una portaerei per “approfondire le conoscenze sulle loro capacità operative”, come riporta la Marina USA. Kochavi ha concluso il tour partecipando a un’esercitazione di “pronto intervento” in caso di crisi presso il quartier generale del Comando centrale  CENTCOM a Tampa, Florida, dove ha ricevuto la medaglia al Merito militare “per aver contribuito a rendere più profonda la partnership strategica tra gli Stati Uniti d’America e Israele”.

“Al fine di migliorare le nostre capacità per affrontare le sfide nella regione, l’attività comune con CENTCOM si espanderà significativamente in futuro”, ha dichiarato il gen. Kohavi prima di far rientro in Israele. “Allo stesso tempo le forze armate israeliane continueranno ad agire a ritmo accelerato contro il radicamento del regime iraniano nella regione”.

“L’Iran è sottoposto a molte pressioni economiche, militari e interne e d’altro canto continua a promuovere il suo programma nucleare”, ha aggiunto Kohavi. “Con il gen. Mark Milley siamo d’accordo: ci troviamo in un punto critico e il tempo richiede di accelerare i piani operativi e di cooperazione contro l’Iran e i suoi alleati terroristi regionali”.

La pericolosa escalation del confronto-scontro di Washington/Tel Aviv con Teheran trova conferma in altre recentissime dichiarazioni ufficiali. Una settimana prima del viaggio del gen. Kohavi, era stato il comandante di CENTCOM, gen. Michael Kurilla, a recarsi in vista nel nord di Israele per partecipare alla consegna di tre nuovi cacciabombardieri F-35 “stealth” da parte della holding industriale-militare Lochkeed Martin, previa scorta nell’Oceano atlantico e nel Mediterraneo di due bombardieri strategici B-52 di US Air Force. “Noi stiamo operando insieme su tutti i fronti per raccogliere dati di intelligence, neutralizzare minacce e prepararci per vari scenari in una o più arene, sviluppando capacità militari contro l’Iran e altre minacce in Medio oriente”, dichiaravano i generali Kohavi e Kurilla.

Il 22 novembre il Comando delle forze navali USA e della V Flotta di stanza a Manama (Bahrain) ha emesso un comunicato stampa in cui si accusava l’Iran per l’attacco di un drone aereo contro una nave cisterna battente bandiera liberiana, il 15 novembre nelle acque del Mar arabico settentrionale. “Un laboratorio di U.S. Navy in Bahrain ha confermato l’Iran connection: due tecnici esperti in ordigni e esplosivi sono saliti a bordo della motonave Pacific Zircon, il giorno successivo all’attacco, per valutare i danni e raccogliere i frammenti del velivolo senza pilota per le analisi forensi”, scrive il Comando USA. “Il laboratorio ha accertato che il drone che ha colpito la nave cisterna è uno Shahed-136, adattandosi a un modello storico del crescente uso di una capacità letale direttamente da parte dell’Iran o dai suoi alleati in Medio oriente. L’Iran ha rifornito di droni aerei gli Huthi in Yemen ed essi sono stati utilizzati contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti negli ultimi anni. In aggiunta, la piattaforma Shahed-136 è la stessa dei droni che l’Iran ha fornito alla Russia per essere impiegati contro l’Ucraina”.

Ancora più nette le parole del vice ammiraglio Brad Cooper, comandante dell’U.S. Naval Forces Central Command e della V^ Flotta: “L’attacco iraniano contro un’unità commerciale in transito in acque internazionali è stato deliberato, palese e pericoloso, e ha messo in grave pericolo le vite dell’equipaggio, destabilizzando la sicurezza marittima in Medio oriente”.

Coincidenza vuole che due giorni prima della pubblicazione del comunicato stampa sul presunto strike “iraniano” alla Pacific Zircon, una delegazione delle forze armate israeliane guidate dal consigliere per la sicurezza nazionale Eyal Hulata, veniva ricevuta proprio dal Comando delle forze navali USA in Bahrain. Ad accogliere gli israeliani il viceammiraglio Brad Cooper e il coordinatore dell’U.S. National Security Council per il Medio oriente e il nord Africa, Brett McGurk. “La delegazione ha visitato il quartier generale della V^ Flotta per discutere sulle future opportunità di cooperazione nell’area e conoscere gli impegni in atto per rafforzare le partnership marittime regionali e integrare le nuove tecnologie”, riporta il Comando di Manama. “L’autunno scorso il Pentagono ha riposizionato Israele dall’area sottoposta al Comando USA in Europa e quello del Comando centrale che opera in questa regione per rafforzare la cooperazione militare navale principalmente nel Mar Rosso”.

In Bahrain la delegazione israeliana ha pure incontrato i membri della Task Force 59, l’unità d’élite della Marina USA istituita nel 2021 per contribuire allo sviluppo di nuovi sistemi di droni navali e subacquei e di tecnologie AI (Intelligenza artificiale) a favore della V^ Flotta. “La task force ha presentato agli ospiti i risultati delle collaborazioni avviate con l’industria privata, le università e i partner regionali per migliorare la visibilità sopra, sotto e il mare”, spiega US Navy. Adesso con la maxi-esercitazione aerea israelo-statunitense si passa a dare visibilità alle minacce nucleari nei cieli del Mediterraneo e del Golfo Persico.


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