LE COLLUSIONI ‘CENSORIE’ DEL GOVERNO USA CON TWITTER E FACEBOOK

Ad agosto, il CEO di Meta Mark Zuckerberg ha ammesso nel podcast di Joe Rogan che l’FBI ha contattato l’azienda avvertendola della “propaganda russa” poco prima che la storia del laptop di Hunter Biden venisse pubblicata dal NY Post.

“Fondamentalmente, il contesto è che l’FBI, credo, sia venuta da noi, da alcuni membri del nostro team, e ci ha detto: ‘Ehi, solo perché lo sappiate, dovreste stare in massima allerta… Pensiamo che ci sia stata molta propaganda russa nelle elezioni del 2016’. Abbiamo ricevuto l’avviso che, in pratica, sta per esserci una sorta di dump simile a quello. Quindi siate vigili”, ha detto Zuckerberg a Rogan.

Adesso vediamo, secondo quanto si evince da alcuni documenti trapelati e resi noti da The Intercept, che la collusione del governo con le big tech è molto più profonda.

The Intercept cita documenti interni del Dipartimento della Sicurezza Nazionale (DHS) che mostrano come il governo degli Stati Uniti abbia lavorato fianco a fianco con le piattaforme dei social media per censurare quella che considera “disinformazione” online.

A porte chiuse e attraverso pressioni sulle piattaforme private, il governo ha usato il suo potere per cercare di orientare l’informazione online, scrivono Lee Fang e Ken Klippenstein, nella loro inchiesta dove vengono descritte nel dettaglio le strette relazioni di lavoro, gli incontri regolari e persino gli strumenti utilizzati tra il DHS e i leader della Silicon Valley.

Il DHS, creato dopo l’11 settembre per coordinare le operazioni di intelligence e sicurezza, ora considera la sorveglianza della “disinformazione” una parte fondamentale del suo mandato. Una relazione ufficiale, citata dai media, afferma che il dipartimento intende puntare su “informazioni inesatte” su argomenti quali: le origini della pandemia di Covid-19 e l’efficacia dei vaccini, la giustizia razziale, il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e la natura del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina.

Questa relazione tra le grandi aziende tecnologiche e il governo degli Stati Uniti sembra essersi cementata in seguito al panico suscitato dall’esito delle elezioni del 2016, generato dalla convinzione che Donald Trump avrebbe potuto vincere solo grazie a interferenze straniere. Tuttavia, da allora l’attenzione del DHS si è estesa anche all’attività interna sui social media. Un funzionario anonimo dell’FBI ha indicato che, nell’estate del 2020, è stato “riassegnato dal suo normale lavoro di contrasto ai servizi segreti stranieri alla sorveglianza degli account dei social media statunitensi”.

Inoltre, prima delle elezioni del 2020, l’FBI e la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), che fa capo al DHS, hanno tenuto incontri mensili con aziende come Twitter, Facebook, Reddit e Microsoft. Come parte di un’iniziativa in corso tra il settore privato e il governo per discutere come le aziende avrebbero “gestito la disinformazione”.

I verbali della riunione del CISA mostrano anche che il direttore della Election Security Initiative, Geoff Hale, ha sollecitato l’uso di terze parti no profit come “centro di raccolta delle informazioni attendibili per evitare l’apparenza di propaganda governativa”.

Così Facebook ha creato un portale speciale che richiede un’e-mail delle forze dell’ordine per accedervi. Esiste anche un processo formalizzato che consente ai funzionari pubblici di segnalare direttamente i contenuti su Facebook o Instagram e di richiederne la rimozione attraverso l’apposito portale. Il “sistema di richiesta di contenuti” è attivo all’indirizzo facebook.com/xtakedowns/login.

 

Twitter ha invece smentito la notizia, dichiarando a The Intercept: “Non ci coordiniamo con altre entità quando prendiamo decisioni sulla moderazione dei contenuti, e valutiamo in modo indipendente i contenuti in linea con le regole di Twitter”.

Anche se documenti e messaggi scambiati via mail, mostrati proprio su Twitter da Lee Fang, mostrano che la dirigente di Twitter Vijaya Gadde – licenziata da Elon Musk la settimana scorsa – si è incontrata con cadenza mensile con il DHS per discutere dei piani di censura.

Inoltre, secondo i documenti giudiziari visionati da The Intercept, l’FBI potrebbe aver giocato un ruolo più importante di quanto si pensasse in precedenza nella censura della storia del laptop di Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente, in quanto due agenti del Bureau sarebbero stati direttamente coinvolti nelle conversazioni che hanno portato alla soppressione della storia da parte di Facebook. Questi funzionari sono stati identificati come Laura Dehmlow, capo sezione della Foreign Influence Task Force (FITF) dell’FBI, ed Elvis Chan, agente speciale dell’ufficio di San Francisco, California.

Molti dei documenti sono venuti alla luce per via di una causa intentata dal procuratore generale del Missouri Eric Schmitt, un repubblicano attualmente in corsa per il Senato. L’amministrazione Biden ha cercato di respingere la causa di Schmitt in quanto priva di legittimazione ad agire e ha sostenuto che i social network hanno rimosso volontariamente i post senza alcuna influenza “coercitiva” da parte del governo, che sarebbe vietata dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

“Se un governo autoritario straniero inviasse questi messaggi, la chiameremmo certamente ‘censura’”, ha dichiarato Nadine Strossen, ex presidente dell’American Civil Liberties Union (ACLU).

 

 

FONTE

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-the_intercept_documenti_trapelati_rivelano_la_collusione_del_governo_usa_con_twitter_e_facebook_per_la_censura/82_47773/


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