DI FRANCO CARDINI
Se re Nabucodonosor impazzisce…
(Daniele, 4, 20-29)
Seguite le cronache, brava gente, e date retta ai giornali che vi spiegano quant’è bella l’America che protegge sempre i deboli contro i prepotenti e quant’è brava la NATO che spiega i suoi ombrelli atomici a coprire i giusti e quant’è buona l’Unione Europea che dà sempre ragione all’una e all’altra!
E seguite anche, con legittima soddisfazione, il destino fatto di progressivi rovesci del tiranno Vladimir, dell’orco Putin. Cinque settimane fa, ci spiegarono ch’era gravemente ammalato, si vedeva benissimo dalle occhiaie e dalla faccia gonfiata dal cortisone; quattro settimane fa era afferro da turbe psichiche quasi incurabili; tre settimane fa aveva l’Alzheimer e camminava con andatura “a papero”, indice sicuro di collasso alle porte; due settimane fa guidava un esercito spietato che avanzava con tallone di ferro sul suolo della libera Ucraina; una settimana fa era un debole tremebondo sconfitto, sull’orlo della vecchiaia e del tramonto…
Che cos’era successo? Le conseguenze del golpe “democratico” ucraino del 2014, le provocazioni e le violenze continue dei nazionalisti ucraini antirussi, i soprusi in Donbass a danno di russofoni e russofili. Putin è senza dubbio a capo di un regime “democratico-autoritario” – non diversamente di quanto accada in molti paesi euro-orientali, a cominciare dall’Ucraina stessa –, ma deve fronteggiare un’opposizione molto più forte e meno soggetta di quanto non si dica da noi; e all’estremo opposto agli oppositori scontenti del suo comportamento autoritario ci sono i “falchi”, quelli che gli rimproverano debolezza e indecisione. Il 24 febbraio Putin tirò le somme, esaminò vantaggi e svantaggi, costi e rischi, e decise per un’azione che gli avrebbe – riteneva – recato rispetto, simpatie, sostegno. Ma si vide quasi subito ch’era caduto nella “trappola di Tucidide”, perché dietro l’Ucraina evidentemente c’era l’Occidente che aveva promesso garanzie e sostegno al governo Zelensky.
Il fatto è che nella “trappola di Tucidide” c’eravamo cascati tutti: salvo, beninteso, i quattro o cinque mammesantissime tra Washington e Bruxelles e i loro reggicoda politici della UE e dei media.
Con lui, il boia, il criminale di guerra, non si doveva trattare nessuna pace. Il papa e il mondo chiedevano che si facessero tacere le armi, ma gli USA e i paesi NATO obbedivano al governo Biden che stava proseguendo la politica statunitense avviata nei primi Anni Novanta e impegnava l’Occidente senza risparmio: armi di ultima generazione, danaro, crediti, appoggio di esperti “consiglieri militari”. Tutto contro un paese grande ma in fondo ancora convalescente dopo gli Anni Novanta, ricco e fiero sì con le sue eccellenti materie prima però tecnologicamente arretrato, colpito dalla ferula del regime sanzionario. Un paese che, dopo la batosta afghana, non poteva più permettersi di perdere i suoi ragazzi in guerra senza veder precipitare la residua affezione popolare. Bisognava risparmiare i soldati, guai a dover sopportare perdite massicce. E dall’altra invece uno Zelensky invaso dal sacro fuoco guerriero e pronto a obbedire al suo boss di Washington ben deciso a far la guerra per “ridimensionare” e “condizionare” – come si usa ufficialmente dire – la Russia, a costo di regalarla alla Cina: e tutto con le armi e i soldi americani, europei, occidentali, e interposito populo, fino all’ultimo ucraino. Quanto a noi, l’ultima maschera è caduta: e dopo l’allocuzione ufficiale del 30 settembre del presidente Putin al mondo intero abbiamo saputo che non è vero che il governo russo non intende trattare a nessun patto con Zelensky (ce lo avevano taciuto), ma che è semmai il leader ucraino che si rifiuta di sedere al tavolo delle trattative finché Putin siede al Cremlino. Pretesa demenziale, se non fosse che Biden è un perfetto ventriloquo e parla attraverso Zelensky.
Putin dev’essere impazzito o è davvero un bieco criminale, se minaccia disperato la guerra atomica. Ma, visto che le potenze detentrici di quell’arma tremenda hanno sempre impedito di accedere al progetto di disarmo totale, piaccia o non lo scontro atomico è nell’ordine delle cose possibili. L’atomica usata come ultima ratio regum, secondo il motto inciso sui cannoni del Re Sole. Ma sarà così matto Putin da usare un’atomica “tattica”, col rischio di farsi sommergere da un oceano apocalittico di fuoco? E non si scherza con l’America: non dimentichiamo il feroce crimine di guerra dell’agosto 1945, anche se i vincitori non diventano mai “criminali”.
Il vero rischio è che un re impazzito ci sia sul serio, ma che sia Biden che nel suo delirio senescente rischia a sua volta di cadere in una “trappola di Tucidide” ben più rovinosa di quella nella quale è caduto Putin nel febbraio scorso: perché dietro la Russia messa alle strette e regalata così alla Cina potrebbero convergere nell’area del Dragone anche l’India, l’Iran e altri. E sarebbe davvero la tragedia.
Ha perduto la guerra, la Russia? Certo, è in stallo e in ritirata. Ma quante volte nella storia lo è stata, e quante volte ha sorpreso amici e nemici e rovesciato il tavolo invertendo la ruota del destino? Un antico adagio recita “Al nemico che fugge, ponti d’oro”. La grande Russia, la Santa Russia, ha il diritto sacrosanto di tornar a sedere decorosamente nel consesso delle nazioni, e con vantaggio di tutti. Il vecchio Kissinger, come al solito, continua a dir cose giuste.
FONTE
MINIMA CARDINIANA
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