MAFIA E APPALTI / IL VERO MOVENTE DELLE STRAGI CHE L’ANTIMAFIA DI PALAZZO VUOLE RE-INSABBIARE

Si riapre miracolosamente uno spiraglio per far luce, dopo 30 anni, sulla strage di via D’Ameli

C’è la possibilità, una buona volta, di indagare sul serio sulla vera pista alla quale stavano lavorando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?

E’ arrivato il momento, dopo tanti anni di attesa, di scoperchiare sul serio quel pentolone ‘Mafia e Appalti’ che è il vero movente per il barbaro assassinio dei due magistrati e delle loro scorte, ma dà fastidio a tante toghe che hanno insabbiato e depistato, e a non pochi giornalisti che hanno costruito le loro fortune professionali su un’antimafia di pura facciata?

 

Attilio Bolzoni. In apertura il murales che a Palermo ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La prova del nove arriva, puntuale, il 18 agosto, con un lungo articolo firmato per ‘il Domani’ da Attilio Bolzoni, storica penna antimafia di ‘la Repubblica’.

A solo qualche settimana dall’apertura (o meglio, la ‘riapertura’) dell’inchiesta ‘Mafia e Appalti’ decisa dalla procura di Caltanissetta (potete leggere sulla clamorosa riapertura il pezzo della ‘Voce’ cliccando sul link in basso), ecco, acuminati, i primi strali lanciati da Bolzoni, tutti tesi a demolire la credibilità di quella pista, di quel movente, e quindi l’attendibilità della nuova inchiesta appena avviata dalle toghe nissene, che invece – vivaddio –  paiono ben decise a procedere a ritmo spedito, avendo già interrogato i primi testimoni.

 

 

Ma vediamo, fior tra fiori, le principali ‘accuse’ demolitorie griffate Bolzoni e contenute nell’articolo pubblicato, in piena calura ferragostana, da ‘il Domani’di Carlo De Benedetti.

 

PISTA ‘RIDUTTIVA’, ‘AZZARDATA’ E ‘FUORVIANTE’    

Così esordisce il mafiologo: “Quell’indagine ‘Mafia e Appalti’ è ridiventata ‘popolare’, da più parti ritenuta fondamentale per decifrare i massacri dell’estate ‘92”.

“La procura di Caltanissetta ha riesumato il dossier dopo tre decenni”.

“Ipotesi molto azzardate e negli ultimi tempi molto di moda”.

Il dossier del ROS dei carabinieri, spiega il Vate, “è vecchio di 30 anni, quasi 1000 pagine, dove gli interessi dei boss si confondono con quelli dei colossi italiani dell’edilizia, nomi sapientemente divulgati e nomi accuratamente occultati”.

“ ‘Un rapporto indiziario intorno al quale si può cominciare a lavorare’, confidò ai giornalisti Falcone che lo considerava un ‘buon punto di partenza’. Di partenza – commenta Bolzoni – non di arrivo”.

E prosegue: “Un documento controverso, al centro di polemiche, scontri feroci tra magistrati e apparati, sfociati in indagini finite nel nulla”.

“Per i pm di Palermo non c’erano gli elementi sufficienti per procedere contro alcuni personaggi dell’imprenditoria nazionale; per il ROS il rapporto è stato scientificamente insabbiato per salvare un sistema di corruzione che altrimenti avrebbe anticipato la stagione di Tangentopoli”.

Continua, Bolzoni, lancia in resta: “Di sicuro il dossier non è mai morto, torna sempre. E’ un feticcio continuamente agitato dall’allora colonnello Mario Mori”, all’epoca comandante del ROS.

Fiammetta Borsellino

“Il dossier è ora rilanciato come fattore che ha accelerato la decisione di far saltare in aria il procuratore appena 56 giorni dopo la strage di Capaci. Ne è convinta Fiammetta Borsellino (la figlia, ndr), insieme a Fabio Trizzino (il legale della famiglia Borsellino, ndr). Ne sono rimasti condizionati i giudici di Palermo (che hanno firmato la sentenza che affossa la pista della ‘Trattativa Stato-Mafia’, ndr), perché si spingono un po’ avventurosamente a scrivere che ‘si ritiene che quell’imput dato da Totò Riina al suo interlocutore affinchè si uccidesse Borsellino con urgenza forse aveva trovato origine nell’interesse di Borsellino al rapporto ‘Mafia e Appalti’”.

Continua la Bolzoni story: “Alla fine sono stati costretti a rioccuparsene i procuratori di Caltanissetta, quelli che indagano sulle stragi, che proprio un paio di settimane fa hanno aperto ufficialmente un’inchiesta e interrogato i primi testi. Tutto top secret o quasi”.

“ ‘Trattativa’ e ‘Mafia e Appalti’ sono stati i totem delle fazioni avverse dell’antimafia per spiegare le stragi. Ridimensionata, cancellata la vicenda della ‘Trattativa’, il campo investigativo adesso è occupato da ‘Mafia e Appalti’, proprio come possibile movente dell’autobomba del 19 luglio”.

Lapidario il commento del Vate: “Un movente – questa è la mia opinione – riduttivo e anche fuorviante”.

Ecco dove va a parare il suo ragionamento. “Se la pista dei soldi, più di ogni altra, è quella da seguire per capire chi voleva i massacri, non ci si può certo fermare al dossier del ROS. Perché Falcone e Borsellino non erano tanto concentrati sui lavori pubblici in Sicilia, con il patto tra cosche e grandi aziende del nord, comprese le coop rosse, quanto all’infiltrazione dei capitali di Cosa nostra nell’economia nazionale. Il dossier ‘Mafia e Appalti’ era solo uno dei passaggi”.

A questo punto Bolzoni passa ad analizzare i rapporti tra il gruppo Ferruzzi-Gardini con Cosa nostra: dimenticando un particolare, come poi vedremo. Che proprio questo era dei punti clou sia del rapporto del ROS su ‘Mafia e Appalti’che di molte investigazioni, anche precedenti, di Falcone e Borsellino. Tanto che, in una famosa intervista del 1989, Giovanni Falcone, esclamò: “la Mafia è entrata in Borsa”, riferendosi alla prima quotazione del titolo di casa Ferruzzi a piazza Affari.

Giovanni Brusca

Scrive con sicumera Bolzoni: Falcone e Borsellino “avevano capito che Riina, attraverso i fratelli Buscemi della famiglia mafiosa di Boccadifalco, era socio nella Calcestruzzi spa con Raul Gardini. Ci sono sentenze (al di là delle confessioni di Angelo Siino, Leonardo Messina e Giovanni Brusca) che certificano l’accordo tra i Corleonesi e il gruppo Ferruzzi, supportato da quel Raul Gardini che la notte del 23 luglio 1993 si sparò un colpo in testa alla vigilia di un suo possibile arresto per la maxi tangente Enimont. Dopo 30 anni il dubbio: un suicidio per l’inchiesta di Milano (su Enimont, ndr) o per le spericolate relazioni di Palermo?”.

Sintetizza il Vate antimafia: “E’ questo il quadro che avevano presente Falcone e Borsellino nei mesi a cavallo tra il 1991 e il 1992, quando uno era stato appena nominato direttore degli Affari penali al Ministero della Giustizia e l’altro procuratore aggiunto a Palermo”.

Quindi, i due magistrati poi trucidati, minimizza Bolzoni, non potevano certo interessarsi di “appalti e subappalti per dighe e strade, per viadotti e opere chiavi in mano che mafiosi e imprese del nord si dividevano in Sicilia”.

“Quel rapporto del ROS si chiudeva lì. Nessuno è mai andato avanti nella ricerca di un possibile legame tra le intuizioni di Falcone e Borsellino e il suicidio di Gardini, nessuno ha mai approfondito dove portavano gli investimenti di Cosa nostra, e proprio su quel fronte”.

 

ERRORI, ORRORI & OMISSIONI GRIFFATE BOLZONI

Ahi, ahi, ahi, Maestro Bolzoni. Quanti errori, quante omissioni, quante mezze verità.

Vediamo di riassumerle in rapida carrellata, invitandovi  contemporaneamente a leggere, tra le altre, le ultime inchieste della ‘Voce’ proprio sulla riapertura di Caltanissetta e la vera storia del dossier ‘Mafia e Appalti’.

Bolzoni confeziona un bel minestrone, dove gli ingredienti fondamentali finiscono per scomparire. Il classico ‘fai di tutt’erba un fascio’, teso a ridicolizzare una pista (‘Mafia e Appalti’), in nome di un’altra, stavolta – e finalmente – definitivamente sepolta, quella ‘Trattativa Stato-Mafia’ così cara a toghe eccellenti e cantastorie antimafia.

Raul Gardini

Bolzoni non sa – o con ogni probabilità fa finta di non sapere – che quel dossier del ROS venne ordinato da Falcone in persona: il quale, fin dal 1988 almeno aveva ben chiaro lo schema che vedeva lievitare e farsi sempre più organici i rapporti tra i vertici di Cosa nostra e le grandi imprese nazionali, soprattutto quelle del mattone; o impegnate in un settore strategico come quello del calcestruzzo, vitale per l’edilizia e per tutte le infrastrutture.

Da qui la famosa frase del 1989, ‘la Mafia va in Borsa’, riferita al gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini.

Il rapporto del ROS – al contrario del credo bolzoniano – si dilunga, e parecchio, sui legami tra Cosa nostra e gruppo Ferruzzi, via Calcestruzzi spa. Ci sono i nomi e i cognomi dei referenti, delle società coinvolte (oltre alla Calcestruzzi), le quote azionarie scambiate, le connection.

Una miniera di notizie che va ben oltre la visione ‘minimalista’, ‘riduttiva’ e in fin dei conti ‘demolitiva’ costruita dall’abile Bolzoni. Ed un contesto che va ben oltre appalti e subappalti per dighe e viadotti in Sicilia, come vuol far credere il Nostro al popolo bue!

 

A TUTTA ALTA VELOCITA’

Tanto che il mafiologo-tuttologo ‘dimentica’ un elemento   fondamentale in tutta la sua bislacca ricostruzione del dossier ‘Mafia e Appalti’. Un ingrediente basilare, davvero clou: i lavori per l’Alta Velocità, la nascente TAV, il maxi business degli anni ’90 e poi a venire, fino ad oggi.

Altro che viadotti e dighette siciliane!

Nel dossier fanno capolino i nomi di ben 44 imprese nazionali coinvolte fino al collo nelle connection mafiose: e il TAV (‘Treno ad Alta Velocità’) è il piatto forte al TAVolo delle trattative dove siedono, oltre ai vertici mafiosi (come per fare un solo nome il ‘ministro dei lavori pubblici’ di Cosa nostra, Angelo Siino), pezzi da novanta della politica nazionale e titolari delle imprese di riferimento (ogni politico, infatti, aveva una o più aziende collegate attraverso prestanome o gli stessi titolari collusi).

Il boss Angelo Siino.

Ha mai avuto sotto mano, per caso, il solerte Bolzoni, la relazione di minoranza alla Commissione Antimafia (all’epoca presieduta dalla berlusconiana Titti Parenti), firmata da Ferdinando Imposimato nel 1996? C’è già tutto, basta sfogliarla. C’è il succo delle 890 pagine (non mille, tante per dare i numeri) del dossier ROS.

Ma anche riferimenti ad altrettanto significative indagini, sempre sul fronte dei rapporti mafia-politica-imprese, portate avanti dal reparto investigativo della polizia, lo SCO all’epoca diretto da Rino Monaco. Imposimato, in quelle pagine di fuoco, fa nomi e cognomi di aziende, di imprenditori, di politici, di mafiosi, tutti insieme per spartirsi la torta arcimiliardaria dei lavori pubblici: a partire proprio dal TAV, che faceva già gola a tutti (fine anni ’80). E così fanno capolino i nomi dell’ICLA tanto cara a ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino, l’altra storica impresa mattonara partenopea Fondedile (che la stessa ICLA poi incorpora), la ‘Saiseb’, la friulana ‘Rizzani de Eccher’ il cui rappresentante in Sicilia è proprio una delle ‘gole profonde’ che tutto sanno degli appalti, non solo in Sicilia ma in tutta Italia. Si tratta del geometra Giuseppe Li Pera, di cui la ‘Voce’ ha scritto più volte: voleva raccontare tutta la verità sui maxi appalti ma i pm palermitani, al solito, archiviarono tutto…

Ha mai letto o almeno sfogliato, il solerte Bolzoni, il memorabile ‘Corruzione ad Alta Velocità’, scritto tre anni dopo, nel 1999, dallo stesso Imposimato e da un grande giornalista d’inchiesta (lui sì), Sandro Provvisionato? Una vera Bibbia, quel libro, per capire i meccanismi della Corruzione in tutto il settore dei Lavori pubblici, e in particolare quello relativo all’Alta Velocità.

 

INSABBIAMENTI & DEPISTAGGI

Ma anche per capire come mai le grandi inchieste sui maxi-appalti, TAV in pole position, non hanno mai partorito neanche uno scarno topolino. Tutto finito in gloria, per la gioia di ladri, faccendieri, corrotti e corruttori.

C’è tutta la storia del depistaggio sul fronte delle inchieste TAV, ossia il filone romano e quello milanese. Guarda caso finiti entrambi nelle mani del pm meneghino Antonio Di Pietro, che avoca a sé quello capitolino con la scusa di avere tra le mani la ‘bocca della verità’, l’Uomo a un passo da Dio – così lo definisce – ossia Francesco Pacini Battaglia, detto ‘Chicchi’. Il faccendiere-banchiere italo svizzero che tutto sa della madre di tutte le tangenti (Enimont) e tutto sa sui misteri & affari targati TAV.

Antonio Di Pietro

Ma come mai il rituale pugno di ferro dipietrista si scioglie come neve al sole davanti ad una gola che più profonda non si può? Senso di vertigine o cosa?

La chiave per decodificare il mistero ha un nome e un cognome: quello di un avvocato avellinese, Giuseppe Lucibello, appena sbarcato a Milano per assumere la difesa di un cliente che più eccellente non si può, il ‘Chicchi’, che pur aveva i soldi per arruolare tutti i principi del foro meneghino. Ma Lucibello ha un asso nella mania: la storica amicizia con il pm, proprio ‘don Tonino’. Che non cava un ragno dal buco da quel pozzo senza fine, dall’Uomo a un passo da Dio. E che riesce, miracolosamente, a non passare neanche una notte in gattabuia. “Mi hanno sbancato”, emergerà dalle intercettazioni della procura di Brescia che indaga sui comportamenti quanto meno ‘anomali’ tenuti da Di Pietro in veste di pm. Una sentenza che lo assolve ‘penalmente’, ma lo censura pesantemente sotto il profilo deontologico, professionale ed etico.

Pugno di ferro, invece, usato dal Di Pietro pm nei confronti di Raul Gardini, che – come ricorda l’acuto Bolzoni – il giorno prima dell’arresto (o meglio, dell’interrogatorio clou) preferisce spararsi una revolverata in testa.

E sarebbe opportuno – come suggerisce Vate Bolzoni – puntare i riflettori sul mistero che ancora avvolge la fine del timoniere del gruppo Ferruzzi. Troppe zone d’ombra, troppi punti mai chiariti, troppi misteri che più neri (come i fondi allegramente smistati ai politici via Enimont) non si può.

Ma anche la ‘Li Pera story’ fa capolino tra le imperdibili pagine di ‘Corruzione ad Alta Velocità’. Un pentito che aveva deciso di vuotare il sacco, ma diffida dei pm di punta della procura palermitana, i quali sono decisi a fregarsene delle sue verbalizzazioni e pensano bene di archiviare tutto. Ne scaturisce uno scambio di querele e controquerele. Alla fine Li Pera decide di fare le sue rivelazioni al pm Felice Lima, in servizio alla procura di Catania. Il quale, poco dopo aver preso in carico il fascicolo, viene ‘trasferito’. Chissà perché.

E chi sentirà, informalmente, a quanto pare (perché sembra non esista alcun verbale d’interrogatorio), l’uomo che tutto sa sulle connection politico-mafiose d’appalti, Li Pera? Ma il solito, ubiquo Di Pietro, che lo interroga nel carcere di Rebibbia. A che titolo? Un mistero.

Così come il più grande, colossale mistero avvolge ancora oggi l’archiviazione più rapida e anomala della nostra storia giudiziaria. Proprio quella sull’inchiesta che stavano seguendo con tanta passione e fervore investigativo Falcone e Borsellino da mesi, prima d’essere ammazzati in quella tragica estate ’92: l’inchiesta ‘Mafia e Appalti’, il tema caldo di cui si discusse in una infuocata riunione convocata d’urgenza alla procura di Palermo proprio alla vigilia di ferragosto. I verbali – non segreti – di quel summit sono stati appena pubblicati sul sito del CSM, e ne parla anche il dotto Bolzoni nel suo intervento su ‘il Domani’.

Pietro Giammanco con Paolo Borsellino

Borsellino insisteva per avere notizie sull’andamento di quella inchiesta bollente. Il procuratore capo Pietro Giammanco rispose in modo evasivo.

Nessuno ebbe il coraggio di dirgli in faccia (5 giorni prima di essere trucidato in via D’Amelio), che due pm avevano appena chiesto l’archiviazione. Si trattava di Luigi Lo Forte e Roberto Scarpinato, fresco di candidatura 5 Stelle, quest’ultimo, per le politiche del 25 settembre. Il provvedimento era stato controfirmato dal procuratore capo Giammanco, tanto per conferirgli il massimo dell’autorevolezza.

 

Roberto Scarpinato

Dopo qualche giorno anche il gip apporrà la sua firma a favore dell’archiviazione dell’inchiesta alla quale tenevano maggiormente Falcone e Borsellino: il suo nome, per la storia, è Sergio La Commare. Lo stesso che firmerà, 6 mesi dopo, la convalida per l’arresto di Bruno Contrada, ex capo della Mobile di Palermo. E chi aveva proposto quella misura cautelare? Lo Forte e Scarpinato.

 

 

 

 

Per finire, ecco un commento dell’avvocato Fabio Trizzino all’intervento di Bolzoni.

L’avvocato Fabio Trizzino

«Attilio Bolzoni anziché scrivere le solite corbellerie e citarmi, se vuole può anche consultarmi così da smontare molte delle sue tesi minimaliste su mafia appalti.

Ma del resto da uno che difese, giornalisticamente parlando, Scarantino non può pretendersi altro che il perseverare nelle proprie tesi di difensore ad oltranza della teoria della Minaccia a corpo politico et cetera.
Nessun mea culpa ho sentito da lui in questi anni. Così come NON L’HO MAI VISTO A CALTANISSETTA NEL AL QUATER NE’ TANTOMENO AL PROCESSO DEPISTAGGIO.
Le vere trattative le fanno loro con certi pm per pubblicare cose a questi ultimi gradite!!!
Anche lui, come tanti ben pensanti, sarà condannato dalla Storia, il cui giudizio implacabilmente cadrà sul suo sterile pensiero da sedicente intellettuale delle cose di mafia!».

Abbiamo superato i limiti per una ragionevole e ragionata lettura.

Domani una seconda puntata. Con una contro-lettura dei fatti narrati da mafiologo Bolzoni e altre ‘chicche’.

 

Link

 

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