Quale era uno dei piatti ‘forti’ contenuti nel dossier ‘Mafia-Appalti’, su cui adesso – a 30 anni dalla strage di Capaci e di via D’Amelio – si accendono finalmente i riflettori della procura di Caltanissetta che ha aperto un’inchiesta ad hoc?
In soldoni, qual era l’opera pubblica già entrata nel mirino di politici, imprenditori e mafiosi sempre a caccia dei miliardi graziosamente elargiti dallo Stato?
Non solo gli appalti siciliani, ma anche e soprattutto quelli nazionali. Primo fra tutto l’appalto degli appalti, quello per l’Alta Velocità.
I tempi, tra l’altro, coincidono in modo perfetto, ‘scientifico’. L’idea progettuale spunta a fine anni ’80, le Ferrovie all’epoca guidate da Lorenzo Necci (che anni dopo morirà in circostanze mai chiarite, travolto da un camion mentre va in bicicletta) buttano già le prime cifre del mega progetto: 27 mila miliardi di vecchie lire. A sovrintendere su tutto c’è il gran carrozzone IRI, all’epoca guidato da Romano Prodi.
Tra le imprese che fanno capolino nel dossier su ‘Mafia-Appalti’, guarda caso, ci sono molte di quelle che si aggiudicheranno le commesse miliardarie.
Il progetto va avanti, prende corpo a inizio ’90. In parallelo si svolgono le attività investigative del ROS, su imput di Giovanni Falcone.
Il monumentale rapporto – quasi 900 pagine dense di sigle, nomi, cifre, collegamenti societari – finisce sulla scrivania di Falcone ad inizio febbraio ’91. Sarà un anno di lavoro frenetico, per raccogliere ulteriori elementi e riscontri. Condotto con enorme impegno fino alla strage di Capaci, ma negli ultimi mesi condiviso con Paolo Borsellino. Il quale, nei giorni che lo separano dal tritolo di via D’Amelio, darà ulteriore impulso alle indagini, e fa capire ai familiari e anche alla moglie di Falcone (come risulta dall’audizione davanti al CSM), che aveva a che fare con un materiale davvero esplosivo, roba capace di far cadere tante teste eccellenti.
LE PRIME ‘VOCI’
La ‘Voce’ comincia a scrive di TAV a poco più di un anno dalle stragi: ad ottobre 1993, infatti, pubblichiamo il reportage “E’ pronto in TAVola”, dove compaiono i primi pezzi da novanta. Come il progettista partenopeo Vincenzo Maria Greco, uomo legato a filo doppio con ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino, titolare del Bilancio quando si trattava di finanziare i primi progetti griffati TAV (ed è anche storico il legame tra Pomicino e Necci). In quella inchiesta si parla anche di una sigla impegnata in progetti e supervisioni, ‘Italfer-Sis’, nel cui staff di vertice fa capolino un ex dirigente di Agip Nucleare, Bruno Cimino. Ma Cimino è presente anche in un altro organigramma caldo: quello di una misteriosa sigla romana, ‘Orox Servizi Finanziari’ in compagnia del mattonaro Eugenio Buontempo, protagonista nella ricostruzione post terremoto in Campania e di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo ‘A un passo da Dio’ (come lo etichetta Antonio Di Pietro) che sa tutto sulla maxi tangente Enimont e sui misteri dell’alta velocità.
Ad ottobre 1995 il momento di svolta. In Commissione Antimafia (all’epoca presieduta dalla forzista Titti Parenti) viene presentata dal senatore dell’allora PDS, Ferdinando Imposimato, una esplosiva ‘relazione di minoranza’. Tira in ballo nomi e sigle da novanta sul fronte TAV e non solo. C’è bagarre in Commissione e alla fine, dopo una estenuante tira e molla, a gennaio ’96 riesce a vedere la luce.
Scrive infatti quel mese la ‘Voce: “Una relazione al vetriolo, un autentico spaccato da Tangentopoli bis, dove non soltanto vengono denunciati i legami tra imprese e politici, ma con l’asse mafia-camorra rinsaldatosi proprio per dar l’assalto al grande nuovo affare miliardario, l’alta velocità”.
Nella sua relazione Imposimato fa esplicito riferimento al rapporto del ROS su ‘Mafia e appalti’, ai dirompenti effetti che può avere, ne cita ampi stralci, fa i nomi di una sfilza di imprese, come la ICLA-Fondedile molto cara a Pomicino, la friulana Rizzani De Eccher, la ravvenate Calcestruzzi spa che fa capo al gruppo Ferruzzi. E rammentiamo le parole pronunciate nel 1989 da Falcone quando il titolo di quest’ultima venne quotato per la prima volta: “La mafia entra in Borsa!”.
LA MITICA “CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA’”
La vera filosofia del rapporto ‘Mafia-Appalti’ e il vero movente che portò alle stragi di Capaci e via D’Amelio è contenuto nell’imperdibile “Corruzione ad Alta Velocità”, firmato da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato (con la collaborazione del giurista Giuseppe Pisauro) ed uscito a dicembre 1999. C’è spiegato, già allora, praticamente tutto.
La lunga e minuziosa analisi parte proprio dall’ICLA, amministrata da un ex compagno di classe di ‘O Ministro, Massimo Buonanno.
“Buonanno è anche amministratore delegato della Fondedile, che nel 1991 è stata incorporata dall’ICLA. Ma proprio la Fondedile lo stesso anno era stata oggetto di un’indagine condotta sia dalla Squadra Mobile di Caltanissetta sia dal ROS dei carabinieri di Palermo, a proposito di alcuni appalti irregolari acquisti da mafiosi, imprenditori e politici”.
Eccoci al clou: “Il contenuto di quelle due indagini era finito sul tavolo dell’allora procuratore aggiunto di Palermo Giovanni Falcone. In quei rapporti spiccavano nomi di mafiosi del calibro di Angelo Siino, indicato come ‘il proconsole di Totò Riina’, l’uomo di Cosa nostra nel settore degli appalti, nonché quelli di aziende di importanza nazionale, come la Rizzani De Eccher, la Saiseb e, appunto, la Fondedile. Capo zona per la Rizzani De Eccher era quel geometra Giuseppe Li Pera che diventerà un collaboratore di giustizia in grado di mettere in serie difficoltà la procura di Palermo. Capo zona per la Sicilia della Fondedile era invece Gaspare Di Caro Scorsone, già denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso per gli appalti dell’autostrada Mussomeli-Caltanissetta”.
Rammenta Imposimato su quel bollente dossier del ROS: “Un dossier scottante sul quale il capitano Giuseppe De Donno, uomo fidato del colonnello Mario Mori, aveva lavorato con entusiasmo. Non nascondo che nel rigirami tra le mani quel rapporto provai anche un senso di timore e di preoccupazione. Che cosa stavo facendo? I coperchi di quali misteriose pentole stavo sollevando?”.
AL CUORE DELLA STORY
Ma ecco il cuore della story raccontata in ‘Corruzione ad Alta Velocità’. “Tutto ha inizio nel febbraio 1991 quando il capitano De Donno, in servizio al Ros di Palermo, consegna alla magistratura del capoluogo siciliano un dossier intitolato ‘Mafia e appalti’. Nel luglio del ’91 i primi arresti: finiscono in manette un imprenditore del quale in quel momento si sottovaluta lo spessore. E’ Angelo Siino, ex corridore automobilistico; è il ‘ministro dei lavori pubblici’ della mafia corleonese, una specie di gran sacerdote degli appalti di Cosa nostra. Con lui finiscono sotto inchiesta altri personaggi noti nel mondo degli appalti siciliani, tra cui Giuseppe Li Pera, un geometra invischiato negli affari di Cosa nostra senza però essere mafioso, rappresentante in Sicilia di una ditta friulana, la Rizzani De Eccher, oltre ad altri imprenditori laziali e veneti. Dovrebbe essere questo l’avvio della tangentopoli siciliana. Così non sarà”.
Prosegue l’appassionante ricostruzione, un vero thriller, di Imposimato e Provvisionato. “Nell’ottobre dell’anno successivo, la procura di Catania invia a quella di Palermo un fascicolo di indagini preliminari, scaturite dalle confessioni di Giuseppe Li Pera, che ha deciso di vuotare il sacco. La stranezza sta nel fatto che, non fidandosi – a suo dire – dei magistrati palermitani, Li Pera da cinque mesi sta parlando con lo stesso ufficiale dei carabinieri autore del rapporto ‘Mafia e Appalti’, il capitano De Donno, e con un sostituto procuratore di Catania, Felice Lima. Oltre a svelare il meccanismo degli appalti truccati, che coinvolgevano politici e mafiosi, Li Pera ha fatto anche il nome di cinque magistrati del capoluogo siciliano, che avrebbero avuto riunioni con gli avvocati difensori dei suoi coimputati, prima ancora degli arresti, e ai quali sarebbe stato consegnato da uno di loro una copia del rapporto dei ROS, per concordare una linea processuale. Lima invierà la parte delle dichiarazioni di Li Pera, contenente le accuse ai magistrati di Palermo, alla Procura di Caltanissetta, competente ad occuparsi dei reati commessi dai magistrati in servizio nel capoluogo”.
Prosegue il racconto mozzafiato: “Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il sistema degli appalti in Sicilia e rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi. Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, oltre a quattro suoi sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, ritenuto un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Falcone; Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla procura di Palermo. Le confessioni di Li Pera sono del maggio ’92, ma vengono rese note nell’ottobre. Il 23 dicembre il sostituto procuratore di Catania Felice Lima viene trasferito, su sua richiesta, al tribunale civile della stessa città. Un procedimento per incompatibilità era stato avviato dal CSM”.
Come di prassi succede per quei coraggiosi pm che si avvicinano troppo – e troppo presto – a scoprire certe verità inconfessabili: così successe, proprio in quegli anni, al magistrato che stava per alzare il velo sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ossia Giuseppe Pititto, pm a Roma: dopo un anno di massacrante ed efficace lavoro, voilà, un bel giorno il CSM decide di trasferirlo per la rituale ‘incompatibilità ambientale’. Stesso destino per Agostino Cordova, il ‘mastino di Palmi’ che a Napoli ne stava scoprendo delle belle sui rapporti politica-affari-camorra, rimosso per ‘incompatibilità ambientale’…
FINALE AL CARDIOPALMO
Ma andiamo al rush finale, sul movente delle stragi, ossia il dossier ‘Mafia e Appalti’, secondo la dettagliata ricostruzione effettuata da due grandi firme, Imposimato e Provvisionato.
“Il 22 aprile del 1993 la Procura di Caltanissetta chiede al gip di archiviare l’inchiesta a carico dei cinque magistrati palermitani per manifesta infondatezza dell’accusa. Ma il clima è ormai avvelenato dentro e fuori il palazzo di giustizia di Palermo”.
“Il dato singolare è che nel 1995 Imposimato, occupandosi di ben altre vicende, torni ad inciampare in alcune di quelle stesse società oggetto delle attenzioni – secondo Li Pera – della magistratura di Palermo. Ed è anche singolare che sulla sua scrivania finisca un rapporto – quello dello SCO – che trattando dell’oggi, riguardi ancora fatti di ieri. In sostanza, si afferma che nell’Alta velocità ci sono anche società, come la Calcestruzzi, accusate di essere controllate da Cosa nostra. Come se dopo indagini, rapporti, inchieste e processi nulla fosse cambiato. E il sistema degli appalti si fosse bellamente spostato dalla Sicilia verso nord, in Campania e in altre regioni”.
La conclusione è da brividi. “Un’altra cosa curiosa è che quell’inchiesta contro i magistrati di Palermo, già archiviata da Caltanissetta, riemerga nel 1997. E questa volta ad opera dello stesso capitano De Donno, autore del primo rapporto su ‘Mafia e appalti’. A fare da sfondo a questa improvvisa resurrezione di un’inchiesta mai conclusa, c’è una guerra senza esclusione di colpi tra la Procura di Palermo e il Ros dei carabinieri. Ma c’è anche un possibile scenario che vedrebbe in primo piano proprio il mai del tutto sconfitto sistema degli appalti, nel quale sarebbe maturata almeno una delle stragi che insanguinarono il 1992: quella in cui morì, 57 giorni dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino – assassinato assieme a cinque uomini della scorta – quasi ossessionato nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica fine, proprio da quel dossier, il dossier ‘Mafia-appalti’”.
Riusciranno stavolta, a 30 anni esatti da quelle stragi, i magistrati di Caltanissetta a far luce sul motivo per il quale venne totalmente insabbiato – con un abilissimo depistaggio istituzionale – quel bollente dossier?
Per arrivare, finalmente, a scoprire i mandanti ‘eccellenti’, rimasti tranquillamente, in questi anni, ‘a volto coperto’?
Nell’ultima parte della nostra inchiesta, scriveremo ancora del geometra Li Pera, delle (finora) vane denunce dei familiari e legali di Borsellino; e di altre inchieste della magistratura ‘Mafia-Camorra-Appalti’ (su cui la Voce dettagliati reportage) regolarmente finite, guarda caso, in flop. Affinchè lorsignori potessero continuare – indisturbati – a gestire i flussi arcimiliardari prima e arcimilionari poi dei lavori pubblici.
FINE SECONDA PARTE
LINK
CONTROSTORIE d’ITALIA – ANNO 1992
https://www.lavocedellevoci.it/public/voce%20story.pdf
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