ILARIA ALPI / SALTA PER ARIA CHI FORSE SA TUTTO: VOLEVA PARLARE?

Colpo di scena nel giallo Alpi.

Salta per aria, a Mogadiscio, l’auto con a bordo Hashi Omar Assan, il somalo che da perfetto innocente s’è fatto 16 anni di galera per un duplice omicidio – quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovantin – che non ha mai commesso.

Le prime, frammentarie notizie in arrivo dalla Somalia fanno solo riferimento ad una possibile pista che porterebbe ad Al-Shabaa, il gruppo terrorista jiadista che da oltre 15 anni semina morte in quei territori. Niente di più specifico.

Ma sorge spontaneo l’interrogativo.

Forse Omar Assan aveva deciso di raccontare agli inquirenti romani qualcosa di importante, di basilare per venire finalmente a capo di un duplice omicidio ancora, incredibilmente, senza colpevoli, né i killer né tantomeno i mandanti? Forse si stava per spezzare quel muro di gomma che ha fino ad oggi resistito, anche a botte dei più clamorosi depistaggi di Stato?

Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dalle news.

 

ULTIME DA MOGADISCIO

Le prime notizie arrivano dal sito locale ‘Garowe online’.

Mogadiscio. In apertura Hashi Omar Assan e Ilaria Alpi

Ecco cosa viene sommariamente riportato: “L’auto è esplosa a Dharkaynley district, nella periferia sud di Mogadiscio. Nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attentato. Ma i militanti di Al-Shabaah sono noti per questo tipo di attacchi. I suoi militanti spesso attaccano le forze dell’ordine, autorità locali e civili innocenti. Nella maggior parte dei casi uccidono chi non appoggia la loro ideologia o coloro i quali sono ritenuti delle spie delle forze militari presenti nel Corno d’Africa. Hashi, negli ultimi anni, ha vissuto in modo tranquillo a Mogadiscio”.

Continua il report: “Il governo negli ultimi tempi ha accentuato l’azione di contrasto ad Al-Shaaab e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha deciso di impegnarsi a fondo per sconfiggerlo. Comunque, ha detto che nei prossimi giorni cominceranno dei negoziati con i vertici del movimento”.

Dopo i 16 anni di galera in Italia, potendo contare sul risarcimento per i danni subiti dall’ingiusta detenzione (circa 3 milioni di euro), sei anni fa Hashi ha fatto ritorno a Mogadiscio, dove ha impiantato una attività commerciale con la Svezia. Ora qualcuno parla di possibile tangente richiesta dagli uomini di Al-Shaab: ma la pista sembra davvero flebile, praticamente basata su pure ipotesi.

Più concreta, a nostro avviso, la pista che porta al caso Alpi.

Forse aveva davvero deciso di parlare, di rimettersi in gioco, di rischiare sulla propria pelle ma di tirar fuori pezzi di verità: o meglio, di fornire elementi e prove in grado di inchiodare – finalmente, dopo quasi 30 anni dalla tragedia – assassini e mandanti, rimasti sempre, regolarmente “a volto coperto”.

A questo punto, camminiamo a ritroso e vediamo quali sono stati gli ultimi sviluppo del giallo.

 

SERVIZI PERFETTI

Le notizie più recenti, si fa per dire, risalgono ad ottobre 2019, quando il gip del tribunale di Roma, Andrea Fanelli, ha respinto per la seconda volta al mittente, ossia al pm Elisabetta Ceniccola, la richiesta di archiviazione del caso.

Cosa chiedeva, in sostanza, Fanelli? Voleva far piena luce sul ruolo svolto, nella vicenda, dai Servizi segreti: e per questo aveva deciso di interrogare il direttore dell’AISI. Il quale, tra le altre questioni, era chiamato a chiarirne soprattutto una: ossia “la persistenza del ‘segreto’ sull’identità dell’informatore a cui si fa riferimento in una nota SISDE del 1997”. Una circostanza da non poco: perché proprio quel misterioso 007 avrebbe fornito all’epoca (quindi pochi anni dopo il duplice omicidio) una pista molto concreta e corposa, sulla quale, però, è subito calato un silenzio tombale. Uno dei primi depistaggi in questa storia davvero ai confini della realtà.

Giuseppe Pititto

Sarà proprio il primo e unico magistrato che ha seguito con serietà e coraggio la vicenda, Giuseppe Pititto – per questo subito sollevato dall’incarico perché “ambientalmente incompatibile” – a sottolineare l’importanza di quella fonte, a quanto pare un funzionario della Digos di Udine. Con ogni probabilità, se Pititto  fosse stato messo nelle condizioni di battere quella pista e sentire quella fonte, ora potremmo raccontare tutta un’altra storia.

E comunque oggi l’interrogativo resta in piedi e pesa come un macigno: possibile mai che a un quarto di secolo di distanza (eravamo nel 1997!) possa esistere un segreto di Stato o di cosa cavolo si vuole per impedire un possibile accertamento della verità?

Ultimo a chiederselo, in ordine di tempo, il gip Fanelli. Il quale, di tutta evidenza, non ha avuto ancora una risposta. E sorge un altro interrogativo: ha almeno avuto modo, Fanelli, di interrogare il numero uno dell’AISI?  C’è stata la verbalizzazione, dopo ben 2 anni e mezzo da quando il gip ha inoltrato la richiesta? Oppure i Servizi segreti hanno licenza di non rispondere alla Giustizia da qui all’eternità?

 

L’ANTICA PISTA MAROCCHINO

Nelle sue richieste di ottobre 2019, comunque, Fanelli domandava altre cose. Voleva saperne di più sulla pista indicata in una relazione degli stessi Servizi in cui – come riferisce un dispaccio Ansa del 4 ottobre 2019 – “emergerebbe il coinvolgimento dell’imprenditore Giancarlo Marocchino nel duplice omicidio nonché in traffici d’armi”.

Una pista nella quale ha sempre creduto il legale ‘storico’ della famiglia Alpi, ossia Giuseppe D’Amati, convinto che Ilaria avesse scoperto i traffici lungo l’asse Somalia-Italia a base di rifiuti super tossici e armi, finanziati con i soldi della nostra cooperazione allegra (allora gestita soprattutto dai pezzi da novanta del PSI). Come del resto ha sempre sostenuto il legale del povero Hashi,  Douglas Duale, che fornì a inizio anni 2000 alla Voce una serie di foto da brividi: una lunga sequela di fusti tossici lungo la strada Bosaso-Garoe, che Ilaria e Miran percorsero proprio il giorno prima d’essere ammazzati.

L’avvocato Douglas Duale

Come è perfettamente documentato nella lunga inchiesta “L’omicidio di Ilaria Alpi – Alta mafia fra coperture, deviazioni e segreti”, firmato dagli stessi genitori di Ilaria, Giorgio Alpi e Luciana Riccardi, con l’aiuto della giornalista Mariangela Gritta Grainer.

E come del resto è documentato in decine e decine di reportage della Voce, alcuni dei quali potete rileggere cliccando sui link in basso: e comunque, andando alla casella ‘cerca’ del nostro archivio, e digitando ‘ILARIA ALPI’, ne potrete trovare una caterva.

 

FANELLI BIS

Ma torniamo a bomba, ossia alla ultima richiesta del gip di quell’ottobre 2019.

Fanelli, infatti, chiedeva lumi su uno stranissimo ritardo: ci ha infatti impiegato la bellezza di due anni un plico per arrivare dalla procura di Firenze a quella capitolina.

Cosa era successo? La Direzione investigativa antimafia gigliata, nel corso di un’altra inchiesta, aveva intercettato la conversazione di due somali, i quali, in un passaggio, parlano del caso Alpi e uno dei due dice: “Sì, li hanno fatti ammazzare gli italiani”. Come mai – si chiede Fanelli – le carte di quella intercettazione ci hanno messo tanto? Avrebbe fatto più presto a portarle un piccione viaggiatore…

E ancora. Fanelli chiedeva di poter avere tutta la documentazione relativa al caso di Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988: forse stava indagando su quelle stesse piste, su quei traffici illeciti, su alcuni stani affondamenti. Il gip romano voleva verificare tutti i collegamenti e gli intrecci possibili.

Gli stessi quesiti, e altri ancora (una quindicina in tutto), il gip se li    era posti e li aveva posti anche una prima volta, rivolgendoli, come di rito, al pm titolare del fascicolo d’inchiesta. Anche in  quel caso Elisabetta Ceniccola: la quale, dopo alcuni mesi, risponde picche, nessuna novità di particolare rilievo è emersa, è ormai inutile proseguire le indagini.

Il caso, quindi, va archiviato.

Giuseppe Pignatone

Non basta: perché in calce alla richiesta di archiviazione inoltrata al gip, c’è anche la firma più ‘pesante’ all’epoca: quella del procuratore capo del tribunale di Roma Giuseppe Pignatone. Come dire: la richiesta è perentoria, perché non è solo il pm ad avanzarla, ma anche il capo della Procura, per tanti anni etichettata come ‘il porto delle nebbie’. Fu l’ultimo atto della carriera di Pignatone al vertice della più importante procura italiana. Dopo poche settimane, infatti, è andato in pensione. Per riemergere ben presto (solo qualche mese dopo) su una poltrona di altrettanto prestigio, a pochi passi: è stato scelto infatti, ad ottobre 2019, come Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Comunque sia, anche Fanelli a quella prima richiesta di archiviazione ha risposto picche. E ha, quindi, ordinato ulteriori indagini.

Ora siamo davvero a un punto morto. Perché la seconda richiesta di Fanelli, formulata a ottobre 2019, prevedeva 180 giorni di altre indagini. Quindi, si arriva alla scadenza di aprile 2020. Vogliamo anche azzardare l’ipotesi di altri 180 richiesti? Al massimo si può arrivare a fine 2020. E quindi abbiamo un VUOTO ASSOLUTO di almeno un anno e mezzo.

Come lo si può mai razionalmente spiegare? Fanelli si è arreso e ha chiuso la ‘pratica’ nel cassetto a far le ragnatele? Non ha il coraggio di comunicarlo e fa il pesce il barile o, meglio, di questi tempi bollenti, mette la testa sotto la sabbia?

Impossibile, inimmaginabile alzare una cortina di totale silenzio in un caso tanto tragico, che tutti gli italiani ancora hanno impresso nella memoria. E a proposito: in questo caso, non ci troviamo solo di fronte a una GIUSTIZIA clamorosamente NEGATA, del tutto CALPESTATA. Ma anche alla MEMORIA di Ilaria e Miran fatta a pezzi, oltraggiata. Una vergogna di Stato.

E quindi, siamo costretti a sorbirci non solo il più clamoroso Depistaggio di Stato (fa il paio con quello per la strage di via D’Amelio), ma anche la più colossale Vergogna di Stato.

Vogliamo rammentare solo un fatto, che troverete comunque spesso richiamato nelle ultime nostre inchieste.

 

BASTA SEGUIRE PERUGIA

Per riprendere con vigore le indagini e arrivare a piste ottime da percorrere per trovare i responsabili dell’eccidio, bastava (e basta ancora) riprendere fra le mani la sentenza di Perugia, con la quale sei anni fa non solo è stata provata la totale innocenza di Assan (oggi saltato per aria a Mogadiscio) che poi s’è fatto 16 anni di galera da innocente, ma è stato messo nero su bianco che c’è stato un Depistaggio di Stato.

E nella sentenza ci sono tanto di nomi, cognomi, indirizzi e telefoni di parecchi fra i depistatori.

Un solo esempio su tutti. Ricordate la strage di via D’Amelio e il caso Borsellino appena citato? Bene, tutti sapete che molti innocenti sono stati sbattuti in galera (e si sono fatti anche loro 16 anni al fresco!) grazie a un falso pentito, Vincenzo Scarantino, inventato di sana pianta, taroccato, tanto che ora è in corso il processo per il ‘Depistaggio’.

Il Tribunale di Perugia

Qui è successa la stessa, identica cosa, è andato in scena lo stesso tragico copione: un pentito, tale Ahmed Ali Rage, alias ‘Gelle’, è stato costruito a tavolino, imbeccato a puntino, per sbattere il mostro in prima pagina, processarlo alla buona (senza che neanche – inaudito – il suo unico accusatore, Gelle, venisse mai ascoltato in aula), condannarlo, buttando contemporaneamente le chiavi della galera.

Per fortuna Gelle è stato rintracciato a Londra dall’ottima inviata di ‘Chi l’ha visto’, Chiara Gazzaniga: ha vuotato il sacco, Gelle, ha raccontato come sono andati i fatti, chi l’ha taroccato, ha detto di non aver mai visto nè mai conosciuto di povero Hashi. E’ tutto nella carte giudiziarie perugine.

Ma come mai alla procura di Roma il pm Elisabetta Ceniccola non ha mai avuto l’idea di far verbalizzare ufficialmente Gelle, e interrogare tutti quelli che lo hanno ‘taroccato’?

Il minimo sindacale da cui partire. E poi seguire passo passo la sentenza di Perugia: è quasi un manuale per una perfetta caccia al tesoro…

 

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