L’ennesimo processo per l’ennesima tranche dell’inchiesta sul grande business dell’Alta Velocità da vagonate di miliardi di lire prima e altrettante vagonate da milioni di euro poi sta per finire, come al solito, in beata prescrizione. Stavolta al tribunale di Firenze.
Nessuno lo racconta, poche mosche bianche lo scrivono, ma l’affare del secolo sul quale nel 1999 firmarono un memorabile “Corruzione ad alta Voracità” Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato sta per essere sepolto sotto montagne di carte giudiziarie, quintali di documenti bollenti che in qualsiasi paese civile al mondo avrebbero portato ad uno tsunami politico-economico-finanziario (ben altro che i tric trac di Tangentopoli e Mani Pulite) ed invece da noi sta per finire a tarallucci e vino.
E per festeggiare meglio e stappare bottiglie di champagne, adesso i legali di ‘lorsignori’, degli imputati eccellenti passati fino ad oggi indenni e che a mesi beneficeranno della ennesima miracolosa prescrizione, ora passano all’incasso, chiedono la rimozione di tutti gli articoli, anche di anni fa, che dettagliavano per filo e per segno quei maxi business.
E sapete invocando cosa? Il diritto all’oblio, la nuova normativa; e, in subordine, il diritto alla privacy.
Ci manca solo un bel rogo di libri (come quello di Imposimato e Provvisionato) e inchieste (come le tante scritte dalla ‘Voce’) e ogni problema è subito risolto: in perfetto stile ‘Farenheit 451’. Ecco a cosa è ormai ridotta l’odierna informazione: carta da bruciare, da mettere al bando, perché la MEMORIA STORICA dà fastidio: e forse ora più che mai.
Ed è proprio per salvaguardare quel poco che resta di diritto all’informazione e, soprattutto, alla MEMORIA, che la Voce sta continuando – pur tra centomila difficoltà economiche e attacchi giudiziari che continuano a piovere quali missili in tempi di ‘pace’, come abbiamo documentato nella recente inchiesta ‘VOCE SOTTO ATTACCO’ – che non intendiamo mollare, né cedere di un centimetro. Perché questo è l’impegno che abbiamo preso con i lettori e con noi stessi nel momento in cui abbiamo ripreso, 38 anni fa, aprile 1984, le pubblicazioni della ‘Voce’, una testata storica del PCI, diretta fino al 1980 da Michele Santoro.
QUEL REPERTO DI QUASI 30 ANNI FA
E proprio per rendere omaggio alla memoria storica, vogliamo partire con una chicca, un ‘reperto’ ormai storico dell’archivio Voce.
Un breve articolo, uno dei primi sull’affare TAV, ma già denso di notizie. Una pista investigativa di eccezionale portata e siamo convinti che se fosse stata seguita, fin da allora, da magistrati alla Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quella pista avrebbe condotto ad esiti sconvolgenti, esplosivi, è proprio il caso di dire.
Riportiamo quel passaggio contenuto nel numero della Voce di novembre 1993.
“E anche le notizie sui tangentisti che fanno capolino sul grande affare dell’alta velocità si moltiplicano. Uno dei progettisti più gettonati per la TAV, ad esempio, è il superlatitante Vincenzo Maria Greco, pomiciniano doc, a bordo della ‘Servizi Ingegneria’ sigla pilotata dal fidatissimo collaboratore Giuliano Morlando. ‘Servizi Ingegneria’, a sua volta, è presente nella compagine di un consorzio romano, DLFC, specializzato in lavori ferroviari. Tra i protagonisti di DLFC si segnalano il faccendiere craxiano Gianfranco Troielli, altro latitante d’oro, il napoletano Antonio Grimaldi, il veronese Dario Lonardoni e il romano Stefano Perotti. Figlio d’ex direttore dell’Anas e presidente della Cassa per il Mezzogiorno Massimo Perotti, craxiano, il trentacinquenne Stefano rappresenta, all’interno di DLFC, la società romana Intercons, ovvero International Consulting. L’aveva fondata, dieci anni fa, in compagnia di Pierfrancesco Pacini Battaglia, ‘l’uomo a un passo da Dio’, secondo la colorita definizione dei giudici milanesi del pool di Mani Pulite (Antonio Di Pietro, in particolare, coniò quel ‘brand’), ed ottimo amico di Claudio Signorile”.
Anche in un’inchiesta al calor bianco del numero precedente, ottobre 1993, ricostruivamo altre connection sempre in tema di alta velocità e sempre riconducibili a Chicchi Pacini Battaglia.
Ad esempio, quella a bordo di un’altra sigla romana, ‘Orox Servizi
finanziari’, nel cui board sedevano l’Uomo a un passo da Dio e un ex dirigente di Agip Nucleare, Bruno Cimino: il quale, a sua volta, faceva parte del cda di ‘Italfer-Sis-Tav’, ossia la società cardine per “l’alta vigilanza su progetti e lavori nonché la progettazione dei nodi di penetrazione urbana dei supertreni ad alta velocità”.
POI L’ESPLOSIVO DOSSIER “MAFIA-APPALTI”
Insomma, già allora, ribadiamo nel 1993, quasi trent’anni fa, c’erano elementi investigativi a iosa per cominciare a scoperchiare il pentolone zeppo di corruzioni & connection (anche mafiose) dell’Alta Velocità. Su cui – non a caso – i primi a volerci veder chiaro e ad indagare furono proprio Falcone e Borsellino, partiti nelle loro indagini sulla scorta di un ponderoso (quasi 900 pagine) rapporto “Mafia e Appalti” del ROS dei Carabinieri, dove venivano dettagliate per filo e per segno tutte le connection tra ‘rispettabili’ grandi imprese del nord e imprese ‘di rispetto’ del Sud, con tanto di padrini politici di riferimento!
Materiali esplosivi, tritolo allo stato puro: incredibile ma vero, l’indagine venne archiviata lo stesso giorno dei funerali di Borsellino, l’estremo oltraggio!
E proprio quel dossier ‘Mafia-Appalti’ fu il vero motivo delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, come ha sempre indicato Fiammetta Borsellino, la figlia che non smette di puntare l’indice contro i magistrati per il depistaggio delle indagini su via D’Amelio.
Come, del resto, ha chiaramente indicato lo stesso Imposimato in una altrettanto memorabile relazione di minoranza firmata di suo pugno quando era, a metà anni ’90, membro della Commissione parlamentare antimafia: in quella relazione l’ex magistrato che aveva indagato per anni su sequestri, rapimenti, riciclaggi, metteva nero su bianco i nomi delle società colluse con la mafia, facendo esplicito riferimento agli appalti miliardari in gioco: a partire dalla maxi torta TAV, ma non solo…
Dicevamo: materiale a bizzeffe, a quitali, per impiantare, impostare e portare avanti un’inchiesta coi fiocchi sui grandi affari griffati TAV, con la partecipazione, allo stesso tavole delle trattative, di politici in rampa di lancio e imprenditori eccellenti, faccendieri e mafiosi.
Un cocktail che più completo non si può.
Ma cosa è successo, invece, in quei bollenti anni? La ‘Voce’ ne ha scritto più e più volte, in basso potete trovare alcuni link. E soprattutto ne ha scritto in modo super documentato ‘Corruzione ad Alta Velocità’ che descrive in modo minuzioso lo ‘scientifico’ insabbiamento della prima maxi inchiesta sull’Alta Velocità: un autentico depistaggio totalmente oscurato dai media.
INCHIESTA ‘AVOCATA’, PER INSABBIARE MEGLIO
L’inchiesta fu divisa in due tronconi: uno a Roma, concernente i reati di tipo burocratico-amministrativo; altra a Milano, nelle mani del Pool di Mani pulite. Il procuratore capo, Francesco Saverio Borrelli, affidò il fascicolo bollente ad Antonio D Pietro, che proprio in questi mesi stava ‘trattando’ tutti i filoni imprenditorial-finanziari di maggiore impatto. A partire dalla ‘madre di tutte le tangenti’, ENIMONT.
E sapete quale era la gola profonda che tutto sapeva su Enimont? Chicchi Pacini Battaglia. Il quale, of course, era al centro di tutti i business più opachi, potendoli gestire anche attraverso la sua banca elvetica ‘Karfinco’, altro scrigno che racchiudeva segreti di ogni tipo, ma mai ‘toccato’, perché ne sarebbero saltate fuori di tutti i colori.
E su cui Falcone e Borsellino avevano cominciato a puntare i riflettori: ma non fecero in tempo, fermati dal tritolo.
Ebbene, Di Pietro all’epoca ‘gestiva’ la super gola profonda, l’Uomo a un passo da Dio, il personaggio in grado di alzare il coperchio sul ‘Vaso di Pandora’, su quel pentolone zeppo di tangenti, corruzioni e connection mafiose da far tremare tutti i palazzi del Potere.
E qual è, a quel punto, la genialata dell’ex poliziotto diventato in un baleno pm di punta al pool di Milano, in ottimi rapporti con agenti della CIA e habitue del consolato americano a Roma, come ha descritto in un reportage l’allora redattore de ‘La Stampa’ e oggi direttore di ‘La Repubblica’ Maurizio Molinari?
Chiede alla Procura di Roma – che subito si mette sull’attenti e obbedisce – di farsi inviare (avocandoli) tutti i materiali e documenti relativi al ‘versante imprenditoriale’, e, nei fatti, di poter ‘gestire’ personalmente la fonte Pacini Battaglia.
Trova addirittura l’avvocato ad hoc per un ‘teste’ di tale peso. Si chiama Giuseppe Lucibello, paglietta senza arte né parte, avellinese d’origine, nessuna esperienza di grandi processi. Eppure, il grande faccendiere, l’Uomo a un passo da Dio, si affida ad un legale che avrà messo il naso si e no quattro o cinque volte alla Procura di Milano, il tempio della Giustizia in quei procellosi mesi di Mani Pulite.
L’UOMO A UN PASSO DA DIO MUTO E SBIANCATO
E quale sarà alla fine il risultato? Quali strabilianti rivelazioni usciranno dalla bocca dell’Uomo che conosce tutti i segreti dell’Italia che conta, da ENIMONT aTAV?
Niente, un buco nell’acqua, la montagna non partorisce neanche il classico topolino. Il terrore di testi e imputati, il pm dal pugno di ferro che terrorizza tutti, improvvisamente, miracolosamente, si trasforma nella toga più morbida e malleabile del mondo.
Era di prassi, nel ‘rito ambrosiano’, usare metodi non proprio british per ottenere quel che si voleva ottenere, chiamatele se volete ‘confessioni’. Ne ebbe tale terrore Raul Gardini che il giorno prima di essere interrogato preferì spararsi un colpo di revolver alla tempia (ma il giallo è ancora avvolto nel mistero).
Ricordate tutti la fine che ha fatto Gabriele Cagliari, che terminò le sue ore con la testa ‘incellophanata’.
Ebbene, autentica mosca bianca, Chicci Pacini Battaglia non passò neanche una notte in gattabuia: per la valentia del suo legale? Il quale aveva un vero asso nella manica: la lunga, solida amicizia con Tonino Di Pietro. Come avere un San Gennaro al proprio fianco.
Solo molti mesi dopo faranno capolino tra alcuni media le notizie di una intercettazione in cui parla Pacini Battaglia: “Mi hanno sbancato”, racconta. Ma le parole, al tribunale di Brescia dove si presenta Di Pietro in veste di imputato, magicamente si trasformano in ‘mi hanno sbiancato’, fatto impallidire.
COMPORTAMENTI PENALMENTE NON PERSEGUIBILI
E così tutti i comportamenti più che ‘border line’ (se ne contano a decine) tenuti dal Di Pietro pm nei ruggenti anni del Pool (come cadeau e regali d’ogni sorta ricevuti dai suoi stessi imputati, spesso tramite l’amico-legale) sono stati ritenuti dai giudici del tribunale bresciano censurabili sotto il profilo etico, morale, professionale, deontologico: ma non sotto quello ‘penale’. Come dire: chi ruba una mela va dritto in galera, chi ne combina come quelle fa carriera.
Ma don Tonino ha preferito ‘gettare’ ben presto la toga sul banco. Per poi tuffarsi in politica. E fondare-affondare quell’Italia dei Valori (Immobiliari)descritta con la sua splendida e corrosiva penna da Oliviero Beha nel suo ‘Italiopoli’. C’è, nel volume, un capitolo che tutti gli italiani dovrebbero leggere, proprio sul modo di fare GIUSTIZIA in Italia: quello che per tutta la vita ha seguito Imposimato, impostato sui valori che dell’equità sociale e della salvaguardia della MEMORIA, e quello seguito da Di Pietro: fondato, come viene splendidamente raccontato nel capitolo, sul potere, sugli interessi economici, ‘immobiliari’, sul proprio interesse e tornaconto particolare.
Ed è stato per primo, in assoluto, Oliviero Beha, a mostrare quanto il castello di Italia dei Valori fosse fasullo, taroccato fin dalla sua nascita. Ne ha poi scritto per anni la Voce, pagandone sulla propria pelle i prezzi (rileggete l’inchiesta ‘Voce sotto Attacco’). Fino alla puntata, dopo qualche anno, di ‘Report’, la pietra tombale che ha certificato l’implosione della ‘creatura’ griffata Di Pietro.
P.S. Ci siamo accorti che siamo andati molto per le lunghe. A questo punto vi diamo appuntamento a domani, con la seconda puntata sulle maxi inchieste sull’Alta Velocità che negli ultimi anni (a partire dal 2013) si sono dipanate nelle procure di mezza Italia.
Ne leggerete ancora delle belle.
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