I segni del destino.
A 30 anni esatti dalla strage di Capaci in cui vennero trucidati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tutta la sua scorta, siamo arrivati alle battute finali dell’ultimo processo Borsellino, relativo al “più grande depistaggio della nostra storia giudiziaria”.
Chissà mai se un giorno, sperabilmente non in tempi biblici, l’esito del processo che attualmente vede alla sbarra tre poliziotti accusati di aver taroccato il pentito Vincenzo Scarantino, le cui accuse totalmente infondate sono costate 19 ergastoli a chi non c’entrava niente, ma soprattutto sono servite a ‘depistare’ le indagini e quindi a ‘salvare’ autori e mandanti della strage di via D’Amelio, potrà anche servire a scardinare il muro di gomma che tiene insieme – come in un tragico filo nero – le due stragi.
E quindi a far luce, finalmente, sulla vera, autentica regia di quella stagione che vede inscindibilmente insieme mafiosi (nel ruolo di esecutori, killer), politici e ‘menti raffinatissime’ che avevano un interesse comune: fare i loro sporchi interessi di potere, politici & economici, eliminare quei pochi magistrati coraggiosi che erano come veri e propri segugi sulle piste dei ‘soldi’ (così soleva dire Falcone), avvelenare e condizionare tutto il contesto sociale e politico.
Per inaugurare – ciliegina sulla torta – la stagione di Tangentopoli, quella ‘Mani Pulite’ che è stata puro fumo negli occhi per tanti italiani che speravano in un reale cambiamento e che, invece, fu eterodiretta dalla CIA, cioè dagli Stati Uniti.
Allora come ora, con l’Italia sempre più genuflessa davanti ai diktat della Casa Bianca e del suo presidente di turno, ora Joe ‘Sleepy’ Biden.
Un paio di mesi fa abbiamo scritto una lunga inchiesta sui 30 anni da Mani Pulite, che potete rileggere cliccando sul link in basso. Utile per capire il passato ma anche per interpretare il presente, come diceva spesso Ferdinando Imposimato rammentando le parole dello storico ateniese Tucidide. E Imposimato, con Sandro Provvisionato, ha firmato due imperdibili libri in grado di leggere il futuro con larghissimo anticipo: si tratta di “Corruzione ad Alta Voracità”, una minuziosa ricostruzione dell’insabbiamento scientifico delle inchieste sul più grande business degli anni ’90 che dura ancora oggi, gran depistatore Antonio Di Pietro; e “Doveva Morire”, dedicato ad Aldo Moro, ucciso dalle BR su preciso imput della CIA (arieccoci con gli americani, veri burattinai dei nostri destini), per la regia dell’agente speciale Steve Pieckzenickche ‘vuota il sacco’ sia con gli autori di ‘Doveva Morire’ che con il giornalista francese Emmanuel Amara.
Ma torniamo a bomba, è tragicamente il caso di dirlo.
Cioè a via D’Amelio, dove vennero sterminati Paolo Borsellino con la sua scorta.
IL J’ACCUSE DI FABIO TRIZZINO
Eccoci, subito, al pesante j’accuse dell’avvocato Fabio Trizzino, che patrocina la famiglia Borsellino (ed è anche il marito della figlia Lucia) nel corso del processo per il maxi depistaggio.
Riportiamo testualmente alcune frasi della sua arringa, così come riprese dall’ADN Kronos.
Scrive l’agenzia: “Parole dure come pietre, quelle di Trizzino, contro i magistrati Carmelo Petralia e Anna Maria Palma, entrambi assolti (dal tribunale di Messina, ndr) dall’accusa di calunnia aggravata in concorso, e contro il consigliere di Cassazione Antonino Di Matteo”.
“Cita De Andrè, Trizzino, per dire che ‘per quanto loro (i magistrati, ndr) si possano credere assolti, riteniamo siano lo stesso per sempre coinvolti”.
“Almeno avrebbero dovuto chiedere scusa, quei magistrati!”, invoca Trizzino, per tutta la gestione del pentito taroccato Scarantino, costato l’ergastolo a tanti innocenti e venuta poi alla luce ‘solo’ grazie alle verbalizzazioni di Gaspare Spatuzza, roba da non credere!
Continua Trizzino, come un fiume in piena: “Per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso, e per sempre, coinvolti. Nell’opaca ricostruzione di ciò che è avvenuto dopo la strage di via D’Amelio, l’approssimazione, le anomalie e le negligenze corrispondono a un disegno criminoso portato avanti da uomini che dovevano ricostruire la verità. E’ stato compromesso il diritto all’accertamento della verità negli avvenimenti antecedenti e successivi che hanno portato alla strage. Il depistaggio è iniziato all’indomani della strage”.
Trizzino definisce assurda l’archiviazione del dossier Mafia-Appalti (di cui la Voce ha scritto e denunciato infinite volte), chiesta dalla Procura di Palermo nell’estate del ’92 e “fu persino nascosta – sono le accorate parole del legale – al giudice Paolo Borsellino. All’uscita da una riunione in Procura – continua – Paolo Borsellino disse: ‘Voi non me la raccontate giusta’. E poi c’è stata l’archiviazione, addirittura mentre veniva tumulata la salma di Paolo”.
Un oltraggio nell’oltraggio.
Citando il processo sulla ‘Trattativa Stato-Mafia’ di Palermo, Trizzino osserva: “La vera minaccia al corpo giudiziario è il momento in cui il Procuratore Pietro Giammanco disse: ‘fermatevi, perché ho fatto quello che dovevo fare”.
A TUTTO SERVIZI
Nel corso della sua arringa, il legale dei familiari degli agenti della scorta morti nella strage, Roberto Avallone, ha avuto parole molto chiare circa il ruolo svolto dai Servizi segreti: “La presenza dei Servizi segreti aleggia pesantemente sull’intera vicenda e si pone quale vero filo conduttore dei misteri irrisolti della strage di via D’Amelio. E’ emerso che lo stesso procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, ha intrattenuto rapporti con il SISDE, nella persona di Bruno Contrada, in relazione alle indagini su via D’Amelio, malgrado la legge dell’epoca vietasse qualunque rapporto diretto tra i servizi segreti e la magistratura inquirente”.
Nel corso del processo per il depistaggio, il pm Stefano Luciani ha esortato i tre imputati oggi alla sbarra, ossia i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, a tirare fuori una buona volta la verità sul ‘giallo Scarantino’, il vero snodo di tutto il processo. “Sono trascorsi trent’anni – ha tuonato – adesso è ora di dire basta. Se c’è stato dell’altro, ditecelo. Mattei ci dica una buona volta chi gli ha dato quei benedetti appunti”.
Il poliziotto Mattei, infatti, ha fornito due versioni contraddittorie. Una prima volta ha detto di aver preparato e scritto di proprio pugno gli appunti per Scarantino, il ‘copione’ della sceneggiata da recitare per incastrare gli innocenti e ‘depistare’ al punto giusto le indagini. In una seconda versione, invece, Mattei sostiene che è stato aiutato da altri, o almeno da un altro: ma che comunque gli appunti non erano solo farina del suo sacco.
Si tratta di un fatto basilare, una tessera fondamentale nel complesso mosaico del depistaggio.
Ricostruiamo, per sommi capi, chi erano all’epoca i protagonisti in campo. Il gruppo ‘Falcone-Borsellino’ era formato dai tre agenti oggi sotto processo. Il comando delle operazioni era nelle mani di Arnaldo La Barbera, l’ex questore di città bollenti come Napoli e, all’epoca, Palermo. La Barbera è morto da oltre 15 anni e quindi non può più rispondere delle accuse che gli sono piovute e continuano a piovergli, ovviamente, addosso, visto che è un gioco da ragazzi prendersela con un morto.
LA CATENA DI COMANDO
Ma anche uno studente al primo anno di giurisprudenza sa che esiste la cosiddetta ‘catena di comando’: che parte dal vertice, la magistratura, e si serve dei suoi bracci operativi, le forze dell’ordine. Possibile mai che in un caso così delicato, una vicenda tanto drammatica per il Paese, quella catena sia letteralmente saltata, bypassata, finita nel cestino?
Ovvio pensare che dagli inquirenti siano partiti gli ordini operativi: che indicavano con estrema precisione in Vincenzo Scarantino l’obiettivo giusto, l’uomo giusto al posto giusto, il picciotto che tutto avrebbe potuto raccontare e ricostruire sui fatti – e gli antefatti – di via D’Amelio.
E a nulla sono valsi gli ammonimenti, messi nero su bianco, in precise missive, da Ilda Boccassini e Roberto Sajeva – che avevano maturato una lunga esperienza alla procura di Palermo –
In cui gli inquirenti titolari del fascicolo su via D’Amelio (Palma e Petralia, ai quali dopo alcuni mesi si è aggiunto Di Matteo) venivano messi in guardia da Scarantino: un picciotto del tutto inattendibile e inaffidabile, da non tenere in alcun conto.
Più chiari di così! Boccassini e Sajeva hanno ribadito, nel corso del processo, quanto avevano scritto molti anni prima. Ma quei moniti a nulla sono mai serviti: perché Scarantino è diventato un vero e proprio Oracolo per gli inquirenti contro i quali oggi si scaglia l’avvocato Trizzino e contro i quali da anni e anni si scaglia, con indomito coraggio, Fiammetta Borsellino, l’altra figlia del giudice che ‘Doveva Morire’.
Giustamente l’avvocato Trizzino punta l’indice contro l’incredibile archiviazione del rapporto ‘Mafia-Appalti’, che secondo la Voce – lo stiamo scrivendo da più di vent’anni – è stato il vero detonatore per il tritolo di Capaci e di via D’Amelio. Perché altrimenti archiviarlo così in fretta e furia, addirittura con il corpo caldo di Borsellino dopo il massacro di via D’Amelio?
In quel dossier elaborato dal ROS dei carabinieri c’era tutto, la vera Tangentopoli era lì: erano infatti ricostruiti per filo e per segno i rapporti, le connection, gli incroci societari tra grandi imprese ‘pulite’ del Nord e imprese mafiose in rampa di lancio. Con l’indicazione, perfino, dei padrini politici per ogni sigla. E la spartizione dei subappalti per le grandi opere. A cominciare proprio dai mega appalti per l’Alta Velocità che – guarda caso – proprio allora stava decollando a vagonate da miliardi di lire.
Quel bollente dossier finì sulla scrivania di Falcone prima, e di Borsellino poi, a febbraio 1991.
I due magistrati capirono immediatamente l’importanza di quella super-pista, si misero al lavoro in tempo reale, bruciarono le tappe e stavano per arrivare a delle clamorose conclusioni: uno tsunami, altro che i tric trac sparati del pool milanese capeggiato – nei fatti – dall’ex poliziotto Antonio Di Pietro che riceveva ordini dalla CIA, come dimostrano i continui contatti con il console americano a Milano.
E PER FINIRE L’AGENDA ROSSA
E finiamo con una ciliegina sulla torta. Quella della famosa ‘agenda rossa’ di Paolo Borsellino, dalla quale non si staccava mai e sulla quale annotava con gran rigore ogni traccia, ogni pista investigativa.
Bene, dopo l’esplosione dell’auto in via D’Amelio, è stata recuperata dalla borsa di Paolo. Ed è subito passata per diverse mani: da quelle del magistrato palermitano Giuseppe D’Ajala a quelle di un colonnello dei carabinieri, Giovanni Arcangioli che è stato inquisito e prosciolto da ogni accusa in un baleno.
Una giornalista investigativa che per anni si è occupata di mafia, autrice de ‘I Boss di Stato’ (‘Sperling & Kupfer’, 2015), Roberta Ruscica, nel corso della sua presentazione del volume alla libreria ‘Mondadori’ di Napoli, raccontò un episodio inedito, a proposito della tanto misteriosa agenda rossa. “Nei miei anni di cronaca giudiziaria a Palermo – disse – ho avuto modo di conoscere e frequentare Anna Maria Palma. La quale un giorno mi rivelò che aveva avuto tra le mani l’agenda rossa”.
Come mai quella narrazione non è mai salita alla ribalta delle cronache? Il pm Palma avrebbe potuto fornire utili ragguagli agli inquirenti.
Come mai della circostanza non s’è parlato nel corso del processo di Messina che vedeva come imputati proprio Palma e Petralia, comunque usciti da quel processo come gigli candidi?
E come mai, sempre a Messina, non è stata rivolta alcuna domanda all’ex pm Palma circa il ruolo del marito, il radiologo palermitano Adelfio Elio Cardinale(nel governo Monti sottosegretario alla Salute), quando era presidente di un fantomatico centro studi, il ‘CERISDI’, guarda caso acquartierato in un vecchio castello che domina Palermo e ha un’ampia vista anche su via D’Amelio?
Misteri di ‘casa’ nostra.
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