PASOLINI – Gli storici articoli di Paolo Speranza per la Voce

Pasolini, vent’anni dopo nel ricordo di Camillo Marino

UN’INTERVISTA DEL ’95 AL DIRETTORE DI “CINEMASUD”

 

Caro Pasolini, siamo due giovani intellettuali del profondo Sud…”.

Comincia così, con una lettera al poeta friulano nel 1958, l’avventura di “Cinemasud e del “Laceno d’Oro”.

Pasolini legge con attenzione le parole di Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio, allora giovani giornalisti, che confidano al grande scrittore le loro aspirazioni, l’amore per il cinema, il tedio della vita trascorsa in una cittadina del Sud, Avellino, dove l’entusiasmo, la sapienza e lo slancio culturale di pochi naufragano nel silenzio della monotonia. Giovani come tanti, desiderosi di cambiare, di porsi come antagonisti della piccola borghesia della città, soffocati e tagliati fuori dai circuiti nazionali.

Per intraprendere la loro battaglia, da qualche mese i due giovani avevano fondato una rivista culturale, “Cinemasud”: «La pubblicazione del nostro mensile – ricorda Marino – aveva lo scopo di rendere attivo il rapporto tra la cultura irpina e quella nazionale, e di coniugarle con una vivace battaglia politica».

Una rivista militante, “Cinemasud”, alla quale collaborano fin dai primi numeri registi e critici di valore. Primi fra tutti Cesare Zavattini, l’ideologo del Neorealismo e sceneggiatore dei maggiori film di De Sica; e Giuseppe De Santis, autore di film chiave del Neorealismo quali Riso amaro e Non c’è pace fra gli ulivi. A loro si aggiunsero negli anni successivi registi del calibro di Carlo Lizzani, Gillo Pontecorvo, Lina Wertmuller, Luigi Zampa, i fratelli Taviani, Tinto Brass (amico fraterno di Marino, al punto di dedicargli un “cameo” nel film Capriccio); critici come Mario Verdone, Mino Argentieri, Antonio Napolitano, Gian Piero Brunetta; e cinefili “insospettabili” come Vincenzo Maria Siniscalchi, neo deputato dei progressisti a Napoli e affermato penalista, oltre a intellettuali irpini di varie tendenze politiche.

E Pasolini? Il poeta resta impressionato dalla lettera dei due giovani irpini. Accetta il loro appello e risponde. Lo stesso anno comincia infatti ad inviare a “Cinemasud” articoli, soggetti cinematografici, poesie (alcune inedite) e l’anno successivo dà vita con Marino e d’Onofrio ad un festival cinematografico in quella povera e sperduta provincia del Sud. Filo conduttore è il Neorealismo, inteso come cinema politico e d’impegno, e si rivolge a registi ed autori di tutto il mondo, soprattutto dell’Asia e dell’Est europeo. Pasolini e i suoi amici irpini lo chiamano “Laceno d’Oro” perché è proprio a Bagnoli Irpino, sull’altopiano del Laceno, la sede delle prime edizioni, che in seguito approderanno nel capoluogo.

«La rassegna – spiega Camillo Marino – veniva posta ai nostri amici e compagni come momento di apertura verso le libertà civili proprie dei paesi socialisti. I film che noi presentavamo alla presenza di migliaia di giovani al cinema Eliseo di Avellino e al “Troncone” di Atripalda, rappresentavano il tramite perché questi ragazzi prendessero contatto con i registi dei film, attraverso dibattiti a volte complessi, improntati però alla piena autonomia e libertà di pensiero. Lo scopo – aggiunge Marino – era quello di creare uno strumento di propaganda per le idee socialiste, fatta però senza alcun intervento di partiti».

Il Festival diventa così un punto di riferimento in Italia e all’estero, lancia registi e attori emergenti. «Ancora oggi – dichiara a “la Repubblica Gloria De Antoni, conduttrice di Rai 3 – Camillo Marino è uno degli intellettuali italiani più conosciuti nell’ex Unione Sovietica e nell’Est europeo; per questo lo abbiamo voluto come ospite fisso in una nostra trasmissione».

Ma la parabola del “Laceno d’Oro” si conclude ben presto, portando con sé i sogni di quanti avevano sperato nel cambiamento e nella trasformazione di una società politica fortemente monocratica, che poco spazio lascia alla cultura e alla fioritura artistica.

È la cronaca di una fine annunciata, per mano della Regione Campania, che quell’anno destina non più trenta ma dieci milioni all’organizzazione della rassegna neorealista. «Non riuscivamo, spesso, – chiarisce Marino – a pagare il conto degli alberghi per gli ospiti, un vero rompicapo per me e d’Onofrio. Il potere ci regalava apparentemente il suo aiuto, ma poi ci poneva di fronte al complicato sistema delle burocrazie culturali, degli assessori. E così siamo stati tagliati fuori. Insomma, non ce l’abbiamo fatta».

Resta sulla breccia la rivista “Cinemasud”, una delle più longeve in Italia, distribuita nel circuito delle librerie Feltrinelli  e Rinascita e nelle università italiane e straniere. Ogni numero, a cadenza bimestrale, aggiorna i cinefili su dibattiti, mostre e convegni nazionali ed internazionali.

Camillo Marino, dal canto suo, a settant’anni è più attivo che mai; partecipa come ospite e relatore a festival e mostre, prepara soggetti e sceneggiature, collabora a programmi della Rai. E il tempo intanto gli rende giustizia; in Italia e nel mondo si riscopre il Neorealismo e alcune intuizioni di “Cinemasudsembrano sul punto di realizzarsi.

Un esempio? La proposta di un grande centro di produzione audiovisivo a Napoli, lanciata oggi da Antonio Bassolino e Corrado Augias. La rivista irpina ne parlò nel lontano 1962…

(in collaborazione con  Antonella Silvestri)

 (dicembre 1995)

 

 

Camillo Marino con Domenico Rea

 

 

Irpinia d’oro:

Pasolini e “Cinemasud”

L’IMPRONTA DEL POETA-REGISTA SUL “LACENO D’ORO”

 

E’ stato un flash, ma di quelli che illuminano per sempre la vita di una comunità e restano impressi in maniera indelebile nella sua memoria collettiva.

In una lettera del 30 agosto del ’59, Pier Paolo Pasolini annuncia all’amatissima madre Susanna l’imminente partenza per Avellino, dove giunge il 5 settembre, accolto con grandi onori al Circolo Sociale. L’indomani è a Bagnoli Irpino, all’albergo “Al Lago”, su quell’altopiano del Laceno che da quell’anno ospiterà uno dei festival cinematografici più originali e importanti del Mezzogiorno e d’Italia, ponendo le basi per il suo impetuoso boom turistico. Accolto con grande interesse e simpatia, Pasolini firma decine di copie del suo ultimo successo editoriale, Una vita violenta, e ritira il primo Premio Laceno d’oro alla regia per conto di Michelangelo Antonioni, vincitore con Il grido.

Nel suo breve tour in Irpinia Pasolini si intrattiene con il sindaco di Bagnoli Irpino Tommaso Aulisa e con i promotori del Festival internazionale del cinema neorealistico, i giornalisti avellinesi Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio, per definire la linea culturale e i dettagli organizzativi del Premio.

E’ proprio grazie a Marino e d’Onofrio che Pasolini scopre l’Irpinia. Lo scrittore friulano è rimasto colpito da un’accorata lettera inviatagli l’anno precedente da questi due giovani intellettuali del Sud e decide di aiutarli a realizzare il loro sogno: dar vita nella provincia di Avellino, all’epoca la più povera d’Italia, ad un premio cinematografico e ad una rivista specializzata.

L’intervento di Pasolini è decisivo: nel ’58 nasce “Cinemasud” e nel ’59 il “Laceno d’oro” (è il poeta di Casarsa, rivelerà poi Marino, a suggerire come sede del Festival quel paesaggio alpestre che gli ricordava i luoghi e la cultura del Friuli contadino della sua infanzia) e il suo arrivo dà impulso e coraggio anche al gruppo di cineamatori avellinesi guidato da Pietro Corrado e Angelo Gorruso, che nel biennio ‘60-’61 farà incetta di premi nei principali concorsi nazionali.

Il 31 luglio del ’60 Pasolini è di nuovo sul Laceno, per la seconda edizione del Premio, seduto accanto a Laura Betti nella prima fila di una platea di circa ventimila persone. Quell’anno c’è Domenico Modugno, che per Pasolini comporrà la stupenda colonna sonora di Che cosa sono le nuvole. Pasolini chiede a Marino di accompagnarlo al santuario della Madonna di Montevergine e al ritorno, nel viale di Mercogliano, registra dalla viva voce di alcuni giovani del posto la versione originale della Canzone di Zeza, che alcuni anni dopo costituirà la sigla di testa del suo Decameron.

Intanto Pasolini ha avviato concretamente la sua collaborazione a “Cinemasud”: nel ’59 pubblica la poesia in dialetto romano Macrì Teresa detta pazzia, l’anno successivo il soggetto censurato di Una giornata balorda e nel ’65 il saggio La fisicità onirica del cinema, in seguito inserito nel volume Empirismo eretico. Anche per la giovane Madonna del suo Vangelo secondo Matteo il neo regista Pasolini pensa inizialmente alla vincitrice del Laceno d’oro, la giovane attrice ligure Laura De Marchi, premiata nel ’63 per la sua interpretazione in La donnaccia, di Silvio Siano, girato a Cairano, da un soggetto di Camillo Marino e Pasquale Stiso, il poeta-sindaco della vicina Andretta.

Gli anni successivi segnano un progressivo distacco tra Pasolini e “Cinemasud”: già perplesso sul Vangelo, il neorealista ortodosso Marino esprime nette riserve sulla “trilogia della vita” e sull’abbandono da parte di Pasolini dei temi realistici e dell’impegno in favore del proletariato urbano e rurale. Resteranno invece intatti il reciproco rapporto di stima e la difesa a oltranza da parte di “Cinemasud” della libertà espressiva di Pasolini e quindi della sua memoria.

Il 1 novembre del 1979, nel ventennale del “Laceno d’oro”, un gruppo di cineasti di tutto il mondo, su invito di Marino e d’Onofrio, pose con una toccante cerimonia all’albergo “Al Lago” una lapide in memoria di Pier Paolo. Fu distrutta l’anno dopo dal terremoto e mai più ricostruita.

Oggi la redazione della neonata rivista “Quaderni di Cinemasud” e il nuovo marchio editoriale Laceno lanciano ufficialmente la proposta di ricostruire quella targa e di intitolare a Pasolini il restaurato cinema di Bagnoli Irpino e una sala del Nuovo Cinema Eliseo di Avellino, che dal ’65 all’88 ospitò quel “Laceno d’oro” che forse, senza Pasolini, sarebbe rimasto solo una meravigliosa utopia.

(novembre 2004)

 

 

 

 

 

2008, ritorno a Pasolini

DAL FRIULI A MATERA, DA ROMA ALL’IRPINIA

 

Libri, mostre, documentari: l’eco di Pasolini è più viva che mai nella migliore cultura italiana, e a tre anni dall’ondata celebrativa del trentennale della scomparsa continua a ispirare artisti e studiosi, al di là della cortina di silenzio e di indifferenza che accomuna i canali televisive e una parte significativa dello stesso mondo del cinema.

IL VANGELO SECONDO MATERA

E’ il titolo di un elegante volume fotografico, edito da Città del Sole, e di una nostra itinerante accolta con estremo interesse dal Nord Est alla Sicilia. Ne è artefice Domenico Notarangelo, giornalista e studioso di Matera, che nel ’64 partecipò come attore, nel ruolo del centurione, al Vangelo secondo Matteo, girato da Pier Paolo Pasolini tra i Sassi, dove sarebbe poi tornato Mel Gibson per il discusso The Passion. Di quell’esperienza indimenticabile, per lui e per la città, Notarangelo conserva una lettera del regista e molte foto scattate sul set, che oggi fanno il giro dell’Italia: alla Corte del Libro a Tolmezzo, in Friuli, poi a Rovereto, a cura della Mediateca Provinciale di Matera, quindi ad Adria e a Rovigo per iniziativa del circolo “Lumiere” di Trieste. E in primavera a Napoli, a Palazzo Serra di Cassano, in collaborazione con l’Istituto di Studi Filosofici di Gerardo Marotta. A giugno il volume (che ospita anche testi di Enrique Irazoqui, Alfonso Amendola, Antonello Tolve) sarà presentato a Taormina, e intanto Matera si appresta a conferire la cittadinanza onoraria a Irazoqui, il giovanissimo interprete del Gesù di Pasolini. Che scelse lui, marxista convinto, dice, “perché ero duro e puro. Perché gli ricordavo i Cristi preraffaelliti e i dipinti di El Greco. Perché i fascisti avevano ucciso suo fratello e io ero antifascista. Perché poteva identificarsi con me e lui era Cristo”. Sui luoghi di Pasolini in Lucania sarà realizzato inoltre un documentario dalla “Blu Video” di Geo Coretti e Tony Notarangelo.

ADDO’ STA PASOLINI

Da Matera a Montemarano, nel cuore dell’Irpinia, lungo un percorso artistico nel mondo di Pasolini: i luoghi, le storie, i personaggi, le musiche, componente fondamentale del suo cinema. Come la Tarantella di Montemarano, adoperata (come la Canzone di Zeza) nel Decameron, nella registrazione autentica eseguita nel ’55 dai maggiori musicologi del tempo, Alan Lomax e Diego Carpitella. E’ l’interessante “work in progress” del regista Michele Schiavino, articolato finora in due cortometraggi di 10 minuti (Ad memoriam, del 2005, sui luoghi del Vangelo secondo Matteo, e La tarantella del Decameron, girato nel Carnevale 2006 in Irpinia), entrambi col sottototitolo Appunti per un film futuro, sull’esempio del pasoliniano Appunti per un’Orestiade africana, che intrecciava inchiesta e mito. «Ora che molte intuizioni di Pasolini sulla devastazione antropologica – dice Schiavino, coautore con Alberto Grifi nel 1997 di Addò sta Rossellini, film su luoghi e personaggi rosselliniani in Costiera Amalfitana – sembrano giunte al punto  estremo, mi sembra utile affrontare un percorso nel suo cinema attraverso le estensioni musicali, che per Pasolini erano fondamentali, tenendo conto anche delle indicazioni del suo Empirismo eretico sul cinema underground e sui registi-martiri che per autodecisione si trovano sempre sulla linea del fuoco...». Il film futuro riproporrà inoltre materiali ed omaggi al poeta-regista friulano, risalenti al periodo in cui la ricerca di Schiavino si soffermava anche su convegni pasoliniani e festival indipendenti. Il tutto con un filo conduttore del tutto particolare: le parole di  Ivo Barnabò Micheli, regista e studioso di Pasolini.

 

LA MEDEA RITROVATA

Un intellettuale “eretico”, Pasolini. La diva internazionale del momento, la Callas. Un produttore “atipico” come Franco Rossellini. E uno dei miti più celebri di ogni tempo: Medea. C’erano tutti gli ingredienti per un film-evento, e così fu, nel 1969, per la Medea di Pasolini. Un capolavoro del cinema ma anche un “colpo” mediatico, come rivelano le cronache del tempo e i ricordi dei protagonisti, riproposti in un raffinato volume del Centro Sperimentale di Cinematografia, Medea di Pasolini, a cura di Laura Ceccarelli e Marina Cipriani della Biblioteca “Luigi Chiarini” del CSC, con interviste di Mario Militello all’autore della fotografia Ennio Guarnieri, all’operatore Sergio Salvati e al costumista Piero Tosi. Basato sulle ricerche nella preziosa raccolta d’emeroteca ritrovata da Gioia Fiorella Mariani, il libro fa rivivere, per dirla con il direttore della Divisione Biblioteca ed Editoria del CSC Fiammetta Lionti, “la volontà e la passione che unirono Franco Rossellini, Pier Paolo Pasolini, Maria Callas e tutta la troupe della Cappadocia-Colchide in un’avventura fra sogno e realtà, insomma in ciò che comunemente si chiama ‘vero cinema’”.

 

I DUE FIUMI DEL FRIULI

Dalla terra natale di Pasolini ecco un interessante documentario di Mauro Tonini: I due Fiumi. Zigaina e Pasolini: l’arte, la vita e la morte, centrato sul profondo rapporto umano e artistico tra Pasolini e Giuseppe Zigaina, pittore di fama mondiale, assertore di una teoria originale e coraggiosa sulla morte di Pasolini, esposta in Hostia, edito da Marsilio. «Questo film – spiega Tonini – muove dall’amore per l’arte, dal legame con la mia terra, e dalla confusione del mondo. Tutto è partito dai quadri di Giuseppe Zigaina, che mi hanno parlato con forza sorprendente del Friuli, fin dalla prima volta che li ho visti”. Il documentario riprende un film del ’53 di Zigaina, 1953. Primo Maggio a Cervignano, in cui si parla di un’antica tradizione austriaca. Ma perché “i due fiumi”? Risponde Zigaina: “Per decifrarlo occorre conoscere la lingua croata, nella quale appunto fiume si dice Rijeka; e il Rijeka, che nel Friuli di Pasolini diventa il Timavo, scorre a breve distanza dall’Isonzo, dove vivevo io. Quindi i due fiumi, simbolicamente, siamo io e Pasolini, che di me diceva: Zigaina è ontologico per me, come io per lui”.

(marzo 2008)

 

 

 

Pasolini meridiano

La vitalità della testimonianza del regista friulano nel Sud Italia: dalla Basilicata alla Calabria, dalla Puglia all’Irpinia, da Procida al Vesuvio. E nel 2013 a Napoli….

 

 

Viaggia sull’asse Bologna-Napoli la più recente e straordinaria scoperta sul cinema di Pier Paolo Pasolini: la ricostruzione filologica di un intero episodio del Decameron, quello di Alibech, tagliato nell’edizione originale (presentata nel 1971 al Festival di Berlino) e riportato alla luce grazie al lungo e rigoroso studio compiuto dalla Cineteca del capoluogo emiliano, sede del Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini.

 

DECAMERON, RITORNO A NAPOLI

E’ qui che nel 2005 si è materializzato il primo capitolo di questa riscoperta, con un importante convegno ed il video Il corpo perduto di Alibech di Roberto Chiesi, con la collaborazione di Loris Lepri e Luigi Virgolin. Un percorso ancora aperto, che si concretizzerà in una tappa decisiva il prossimo anno a Napoli, precisamente il 26 giugno, come ha annunciato il 22 settembre scorso in un simposio di studi sull’eros a Procida l’italianista Carlo Vecce. In quell’occasione saranno presentati le nuove acquisizioni scientifiche sul Decameron e un documentario ricco di materiali inediti. Con una rivelazione significativa: alcune scene dell’episodio eliminato non sono state girate nello Yemen, dove Pasolini realizzò anche il documentario Le mura di Sana’a, ma sul Vesuvio, dove il regista riuscì a riprodurre un paesaggio desertico.

Benchè convinto della felice riuscita dell’episodio, Pasolini fu costretto a tagliarlo per  non gravare il film di un’eccessiva lunghezza, sottraendolo probabilmente anche a un ulteriore intervento della censura. La dimensione poetica dell’episodio di Alibech convive infatti con una forte carica erotica, coerente con l’atmosfera giovanile e gioiosa che pervade il film più celebre della “trilogia della vita”, non a caso ambientato in prevalenza a Napoli, che all’epoca Pasolini considerava “l’ultimo villaggio”, una felice eccezione nell’Italia omologata da un cieco industrialismo.

L’appuntamento del 2013 al Maschio Angioino sarà l’occasione per approfondire l’intenso e non sempre lineare rapporto tra Pasolini e la Campania, già analizzato in un numero speciale del 2005 della rivista Quaderni di Cinemasud e nei convegni napoletani dell’Airsc (Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema).

 

L’APPENNINO PASOLINIANO

E’ soprattutto nel Mezzogiorno interno, tuttavia, che il messaggio pasoliniano vive in maniera più intensa e continua, attraverso un percorso di elaborazione critica che parte dalla memoria per concretizzarsi in una serie di iniziative culturali: non solo rievocazioni, ma soprattutto mostre fotografiche, cineforum, dibattiti politici.

Uno dei più attenti reporter dalla “terra dell’osso”, Michele Fumagallo de il manifesto, ha individuato tra Puglia e Basilicata un itinerario dei “luoghi pasoliniani”, con epicentri a Matera (città che ha dato la cittadinanza onoraria a Enrique Irazoqui, il protagonista del Vangelo secondo Matteogirato nei Sassi) e Foggia, dove ha sede l’attiva associazione culturale intitolata al poeta-regista, diretta dal musicologo Giuseppe Magaletta, che ha appena dato alle stampe il volume Pier Paolo Pasolini – le opere, la musica, la cultura, della casa editrice DianaGalliani.

In Puglia associazioni pasoliniane sono attivi anche a Gioia del Colle, Giovinazzo, Ruvo di Puglia, Molfetta e soprattutto a Massafra, dove il circolo Il serraglio, fondato da Vincenzo Madaro, sta elaborando nel segno del cinema e della letteratura di Pasolini un ambizioo progetto culturale dal titolo Il viaggiatore incantato.

Un’iniziativa analoga si è concretizzata a Barile, in provincia di Potenza, uno dei luoghi dove si è irradiata – da Matera – l’iniziativa di Domenico Notarangelo, giornalista, fotografo e studioso del meridionalismo, che fu collaboratore di Pasolini sul set del Vangelo nonchè di Carlo Levi e di Francesco Rosi: Le cantine di Pasolini, promosso dall’associazione Sisma, che abbina un premio letterario a proiezioni di film e alla valorizzazione enoturistica del territorio del Vulture.

Nella vicina Irpinia, dove nel ’59 Pasolini diede vita con il giornalista Camillo Marino al premio cinematografico Laceno d’Oro, sono in programma a fine ottobre ben due manifestazioni a lui dedicate: un convegno a Bagnoli Irpino, coordinato dal regista Michele Vietri, e un incontro ad Avellino con uno dei maggiori fotoreporter europei, Mario Dondero, vincitore del prestigioso Flauto d’argento 2012 organizzato dal  Circolo “Werner Bischof”, presieduto dal fotografo Renato Fischetti, in collaborazione con Quaderni di Cinemasud ed il circolo ImmaginAzione, titolare del marchio Laceno d’Oro.

 

UN’ONDA MERIDIONALISTA

L’impronta pasoliniana va dunque ben oltre il cinema e la letteratura, ispirando manifestazioni, progetti, sinergie culturali tra Nord e Sud (con la Cineteca di Bologna ma anche con l’associazione di Casarsa, il paese friulano dove Pasolini è cresciuto e sepolto, che ha ospitato lo scorso anno la mostra di Notarangelo sul Vangelo) e una nuova riflessione meridionalista. Come a Cervaro, provincia di Frosinone, dove l’associazione intitolata al regista ha ospitato qualche settimana fa un importante dibattito sull’informazione insieme a Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti, con gli interventi della figlia di Giuseppe Fava, Elena, e del giornalista Marcello Ravveduto, autore di libri e reportage sulla camorra. O in Calabria, dove proprio qualche giorno fa si è aperta un’ampia discussione sulle prospettive di questa regione a partire dalle polemiche considerazioni di Pasolini nel suo viaggio del ’59 e dalla pubblicazione, a cura di Roberto Losso, di due lettere del poeta (piene di indignazione per l’arretratezza della Calabria) al medico Pasquale Nicolini. Alla stampa più campanilista, che si spinge a riesumare la categoria di “onore ferito”, rispondono un interessante reportage di SibariTv e un intervento sul Quotidiano della Calabria di un intellettuale come Tonino Perna, che contrappone il realismo critico di Pasolini allo pseudo-meridionalismo di un Pino Aprile o dei neoborbonici.

E’ agli intellettuali e studiosi di cinema più avanzati che resta affidato il non facile compito di sottrarre l’eredità pasoliniana ad una retorica superficiale, per farla rivivere in maniera critica e filologicamente corretta. Su questa linea, in attesa del convegno di Napoli sul Decameron, si concretizzeranno nei prossimi mesi dal Sud nuove pubblicazioni (a cura di Quaderni di Cinemasud) e il nuovo capitolo del rigoroso work in progress In memoriam ad opera del regista salernitano Michele Schiavino, che ripercorre cinematograficamente l’itinerario culturale di Pasolini dal natìo Friuli alle varie e indelebili esperienze “meridiane”.

(Ottobre 2012)

 

 

 

Il Vangelo “meridiano” di Pier Paolo Pasolini

MATERA COME GERUSALEMME: DAL SUD UN RICORDO E TESTIMONIANZE INEDITE

In pochi film, come nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini, è possibile scorgere in maniera così inequivocabile i segni del Destino.

Quel viaggio ad Assisi, innanzitutto, nella primavera del ’63, sui luoghi e tra gli apostoli del messaggio francescano, doveva rivelarsi il contesto ideale non solo per una potente, e presto insopprimibile, spinta creatrice, ma anche per conferire la necessaria profondità di spirito e dottrina ad una religiosità che nell’animo del regista era latente da sempre, e si era manifestata a livello cinematografico – in una forma decisamente originale ed amara ma non del tutto compiuta – appena un anno prima nell’episodio La ricotta del film collettivo Rogopag, introdotto dalla definizione della Passione di Cristo come “la storia più grande che sia accaduta“.

E la “scoperta” dell’interprete del Cristo? Addirittura “drammatica”, l’avrebbe definita più avanti Pasolini. Certo casuale come poche, e decisiva per la vita del giovane protagonista, come lo stesso Enrique Irazoqui e lo studioso Giorgio Manacorda testimoniano nelle inedite interviste appena pubblicate nel libro della collana “Quaderni di Cinemasud” dell’editrice irpina Mephite Pasolini. Scatti rubati, a cura della scrittrice siciliana Cetta Brancato e del fotoreporter e storico di Matera Domenico Notarangelo, che nel ’64 collaborò all’organizzazione del film.

“Fatale”, poi, nell’accezione positiva dell’attributo, si sarebbe rivelato il passaggio di Pasolini a Matera: un seme fecondo di umanità e di cultura, che a più di mezzo secolo – come ben argomenta nella sua ampia testimonianza Notarangelo – rinnova e amplifica il miracolo di un film e di un’identità antropologica che sono da tempo patrimonio inestimabile della comunità internazionale.

 

LA RELIGIONE DEL SUO TEMPO

A merito di Pasolini va attribuita la straordinaria, profetica capacità di saperli interpretare, e indirizzare in senso progressivo, quei segni del Destino. A partire dalla svolta epocale che si stava prefigurando nella Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II. Pochi intellettuali del tempo, soprattutto di orientamento marxista ma anche nello stesso mondo cattolico, dimostrarono di saper cogliere con tanta tempestività, e nella sua immensa portata, l’eredità del pontificato di papa Roncalli. Come non ricordare la commossa dedica iniziale del Vangelo secondo Matteo alla memoria di Giovanni XXIII?

Con la sua scelta di realizzare un film su una tematica religiosa, la più ambiziosa e temibile, il poeta-regista di Casarsa riuscì a spiazzare sia l’intellighenzia di sinistra che il clero italiano, contribuendo ad aprire su entrambi i fronti fertili canali di  dialogo e rispetto e vistose crepe nelle granitiche contrapposizioni ideologiche.

Da parte marxista questo sforzo venne sottolineato anche da un critico cinematografico severo come Antonello Trombadori, al quale su “Vie Nuove” del 10 settembre del ’64 preme “porre l’accento su quanto il film di Pasolini porta avanti sul terreno delle idee“. Finalmente, sembra suggerire l’intellettuale comunista, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando le autorità religiose, poco più di vent’anni prima, avevano condannato la Crocefissione del suo amico Renato Guttuso come “eretica”, bollando l’artista di Bagheria come “pictor diabolicus”.

Le poche (e becere) riserve nei confronti del film vennero soprattutto dagli ambienti della destra, in Italia, e in Francia dai settori radical chic: in una memorabile proiezione a Notre-Dame, davanti a cinquemila persone, il 16 novembre del ’64, toccò a Jean Paul Sartre difendere Pasolini e il suo film dalla contestazione di una parte del pubblico e dagli attacchi del settimanale “Le Nouvel Observateur”.

Davvero significativa, e di portata storica, fu l’accoglienza riservata al film da parte delle autorità cattoliche: dopo il premio per il Vangelo secondo Matteo alla Mostra del Cinema di Venezia arrivò nello stesso 1964 il premio OCIC per il miglior film dell’anno. Non era passato neppure un anno dalle polemiche che avevano accolto La ricotta. Potenza del genio e della poesia di Pasolini. E del coraggio della nuova Chiesa in cammino, per ritrovare il suo popolo.

Nel cinquantennale del film, lo scorso anno, “L’Osservatore romano” poteva definire con legittima convinzione Il Vangelo secondo Matteo “il più bel film mai girato su Gesù”: le gerarchie e i maggiori intellettuali cattolici, per una volta, lo avevano percepito con immediatezza e senza riserve fin dalla “prima” a Venezia. Non era affatto scontato, come ci ricorda lo storico Guido Crainz, in quell’Italia del ’64.

 

LO STUDENTE CHE DIVENTÒ CRISTO

Avevo diciannove anni. Ai tempi della dittatura franchista ero membro del sindacato clandestino e, siccome sapevo un po’ di italiano, fui inviato in Italia per contattare intellettuali che facessero conferenze nell’isola democratica dell’università spagnola. Non avevo mai sentito parlare di Pasolini quando andai a trovarlo. Appena aperta la porta, come mi raccontò poi Ninetto Davoli, si accorse subito che ero il protagonista del suo Vangelo. “Ho trovato Gesù” – disse“.

Così Enrique Irazoqui, oggi professore di letteratura spagnola, ricorda nel libro di “Quaderni di Cinemasud” (in collaborazione con l’Associazione “Pier Paolo Pasolini” di Matera) la sua prima e indimenticabile esperienza di attore, sul set del Vangelo di Pasolini.

Dal punto di vista di Pasolini quell’incontro casuale fu altrettanto decisivo.

Dalla sua testimonianza, riportata in Le regole di un’illusione, edito nel ’91 dal Fondo Pier Paolo Pasolini, risalta l’enfasi per quel che allora gli parve una sorta di miracolo: “Una scoperta che avvenne in modo quasi drammatico. Avevo rinunciato già a molti attori, avevo visto migliaia di persone, ormai mi ero arreso. Stavo per prendere un attore teatrale tedesco, quando improvvisamente entro in casa e me lo vedo seduto su una poltrona: eccolo lì, Cristo! Enrique Irazoqui: uno studente catalano che aveva scritto delle cose su Ragazzi di vita e voleva conoscermi. Aveva lo stesso volto bello e fiero, umano e distaccato dei Cristi dipinti da El Greco. Severo, perfino duro in certe espressioni“.

Se il Vangelo secondo Matteo rappresentò una svolta per la vita di Irazoqui, l’epifania di Irazoqui a Roma risultò a sua volta determinante per il successo del film.

Fu un incontro di quelli che soltanto il Destino riesce a combinare – commentò a buon diritto su “l’Unità” David Grieco nel testo dell’edizione in vhs del film. “Perchè Irazoqui, con il suo volto piatto come un’effigie e misterioso come una scultura dell’isola di Pasqua, resta di gran lunga il Cristo più intenso, più magico e più iperrealista che mai si sia visto al cinema. Al confronto, attori pur bravi e sensibili come il Robert Powell del Gesù di Franco Zeffirelli o il Willem Defoe dell’ Ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese paiono soltanto dei volgari impostori. A tutt’oggi, la storia del cinema non ha altro Cristo all’infuori di Irazoqui”.

 

IL SUD DI PASOLINI

Nel volto di Irazoqui, inoltre, il poeta-regista friulano ritrovava quell’archetipo umano di un mondo arcaico e non corrotto che, nella sua preoccupata e lungimirante visione, era destinato ad una imminente estinzione.

In un’ampia recensione a Scritti corsari e alla raccolta di poesia La nuova gioventù,  pubblicata su “Il Mondo” il 14 agosto del ’75, lo scrittore Enzo Siciliano (che fu tra l’altro – con Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto ed altri letterati – una delle “partecipazioni speciali” del Vangelo) collocava il rimpianto pasoliniano per la cultura contadina non in una metafisica età dell’oro, quanto verso una reale “età del pane”, quando “gli uomini erano consumatori di beni estremamente necessari”, evocando in questa recensione il Freud del Disagio della civiltà e il sentimento del limite dell’umanità in La Ginestra di Leopardi.

A sua volta testimonia lo storico Giacomo Scotti, che ha ripercorso le tracce del rapporto di Pasolini con la Jugoslavia, e segnatamente con l’Istria: “Era ossessionato dalla minaccia incombente di un “universo orrendo” del potere e del consumo, nel quale avrebbero finito per estinguersi le “storie particolaristiche” e nazionali, sarebbero state crudelmente represse le “diversità”, liquidati il “sentimento”, l'”avventura”, il “romanzesco”, la bellezza; un mondo di “omologazione” tecnologica e di consumismo che avrebbe scatenato l”aggressività individuale'”.

Il Sud di Pasolini è storico, più che geografico; anzi, per essere più aderenti alla sua Weltanschaung, è un Sud pre-storico, arcaico, con i caratteri e il fascino del mito. E’ ogni terra dove sopravvivono i “popoli perduti”, che resistono alla civiltà ed al potere totalizzante del consumismo e del mercato. Un topos letterario, dunque, che affiora fin dalla raccolta Le ceneri di Gramsci, nel poemetto intitolato L’Appennino, laddove Pasolini sente di ritrovare nelle “meridionali voci” il mondo contadino del Friuli della sua infanzia. Dal Friuli alle borgate romane, al Meridione d’Italia, all’Africa, all’India, fino allo Yemen e all’Iran “si sono susseguite in Pasolini le tappe di un’ininterrotta epifania del Mito, ovvero della ricerca di nuove incarnazioni della mitologia di un’umanità vergine e primitiva: sempre più a sud, sempre più lontano dall’odiata civiltà neocapitalistica e borghese, verso mondi ancora barbari e incontaminati”, rileva Guido Santato in Pasolini: quale eredità? (2005), primo volume dei nuovi “Quaderni di Cinemasud”.

Nel Mezzogiorno appenninico Pasolini era riuscito a trovare le ultime tracce di quel mondo contadino, altrimenti scomparso nell’Europa occidentale, come dichiara nella famosa intervista a Oswald Stack: “Bisogna ricordare che l’Italia era, ed è ancora, in una posizione abbastanza insolita nell’Europa occidentale. Mentre il mondo contadino è completamente scomparso nei maggiori paesi industrializzati come la Francia e l’Inghilterra (dove non si può parlare di contadini nel senso classico di questa parola), in Italia,  invece, esso ancora sopravvive, sebbene recentemente si sia verificato un suo declino…Il mio rapporto col mondo contadino è molto diretto, come per molti Italiani: quasi tutti noi abbiamo avuto almeno un nonno contadino, nel senso classico di questa parola”.

Ben presto anche l’Italia avrebbe subìto in maniera irreversibile gli effetti dell’omologazione consumistica, e Pasolini mostra di intuirne l’esito fin dai tempi de La ricotta, come rileva nel saggio dello Speciale Pasolini di “Quaderni di Cinemasud” (2004) la giornalista e studiosa di cinema Marika Iannuzziello: “La morte di Stracci sembrerebbe suggerire che il mondo decantato da Pasolini si stesse estinguendo, per lo meno in Italia, tant’è che negli anni successivi l’autore si recherà con sempre più frequenza nei Paesi del Terzo Mondo a ricercare quei volti, quelle facce non ancora segnate dalla nova religione dell’uomo moderno, il consumismo“.

 

MATERA COME GERUSALEMME

Chissà se Pasolini era a conoscenza di quel dipinto di Carlo Levi – altro nume tutelare del popolo lucano e dell’identità storica di Matera – risalente agli anni del confino, a sud di Eboli, oltre i confini del mondo civilizzato: Grassano come Gerusalemme.

Certo è che trent’anni dopo, anche se per circostanze in parte fortuite, Pasolini si convinse di ritrovare a Matera – più che nella stessa Palestina – l’atmosfera, i luoghi ed i volti dell’epoca di Cristo. La città dei Sassi, scrive David Grieco, divenne nel film di Pasolini l’epicentro di “un Terzo Mondo quasi extraterrestre che porta i nomi di Matera, Gioia del Colle, Crotone, Orte, Montecavo, Barile, Massafra, Catanzaro e la Valle dell’Etna“.

All’epoca fu soprattutto Trombadori, nella citata recensione su “Vie nuove”, a percepire la contaminazione tra linguaggio cinematografico e dimensione antropologica nel film di Pasolini, in particolare “la sua limpida sintesi di mito e di realtà nel quadro d’una ambientazione della vita di Cristo al livello del nostro Mezzogiorno più contadino e sottoproletario – quello stesso Mezzogiorno che Carlo Levi dipinge nel suo quadro Matera (sic) come Gerusalemme e nel suo libro famoso prima che Cristo, vale a dire la moderna civiltà, avesse varcato i confini di Eboli, e che ancora in tanta parte è rimasta tale”.

Un decennio più tardi, su “Il Mondo”, Siciliano avrebbe indicato anche un’ulteriore e peculiare chiave di lettura del Vangelo di Pasolini: la scelta degli “ultimi” da parte di Cristo prendeva corpo nel film attraverso i volti degli interpreti, dai protagonisti alle comparse: “L’aspetto fisico degli uomini, dei “poveri parlanti in dialetto”, era tutt’uno con la loro coscienza morale: l’aspetto della povertà è l’aspetto della bellezza, e insieme quello di un registro di valori che resisteva da secoli“.

Emblematica in tal senso è in questo volume la testimonianza di Notarangelo, che sul set del film di Pasolini a Matera, nel 1964, fu anche attore, nel ruolo del centurione, ma soprattutto collaboratore all’organizzazione ed al casting. Fu a lui che il regista affidò il delicato compito di reperire attori non professionisti per interpretare i persecutori di Cristo: “Bisognava cercare una cinquantina di volti che potessero svolgere il ruolo dei sacerdoti e dei farisei. Io avevo una mia idea di come dovessero essere quelle facce. Dovevano essere, mi precisò Pasolini, “facce stronze e fasciste”. Appunto come le intendevo anch’io“.

Le facce, i luoghi, il carisma di Pasolini e la sua scelta di veridicità – insieme alla fotografia di Tonino Delli Colli, alle musiche, allo straordinario doppiaggio di Irazoqui con la voce di Enrico Maria Salerno – furono i veri “effetti speciali” di una pellicola realizzata con legittime ambizioni ma risorse relativamente limitate per quei tempi. Quella magica fusione di poesia e realtà rivive oggi nella testimonianza e nel percorso iconografico che Domenico Notarangelo ha ricostruito da anni, attraverso scritti, pubblicazioni – Il Vangelo secondo Matera (Città del Sole, 2008) e Pasolini Matera(Giannatelli, 2013) – mostre, sollecitazioni culturali rivelatesi determinanti per la ricomposizione di quel patrimonio di documenti, memorie, rapporti umani che oggi fanno di Matera un polo della cultura europea.

Io ricordo e rivedo Pasolini – scrive oggi in questo volume di “Quaderni di Cinemasud – nei giorni in cui dirigeva il film nei Sassi di Matera e sulle rocce brulle della Murgia. Lo vedevo sempre assorto nel lavoro, mai distratto, sempre concentrato. Lo notavo mentre confabulava con Enrique Irazoqui fra una scena e l’altra, in un’atmosfera di massima concentrazione, come se stesse recitando o scrivendo i versi di un poema. Sì, a distanza di tempo riesco a rivivere quell’atmosfera come fosse oggi, tutti noi immersi in una calura spietata e in un silenzio assordante e intorno a noi la storia millenaria di caverne dove fino a pochi anni prima c’era stata la vita, dove una volta si avvertivano i rumori e i ragli degli asini, dove si percepiva l’odore del pane fatto in casa e l’umore forte delle vinacce e il tanfo violento dei letamai e delle muffe, gli strilli dei mocciosi e i lamenti delle nonne. Il popolo dei Sassi portava addosso i panni della miseria, sulle facce della gente erano evidenti i solchi delle rughe e dei patimenti. E c’era la disoccupazione di massa. Quel popolo si offriva alla perfezione a rigenerare le folle che seguivano Gesù nell’osanna e nella passione. A quel popolo Pasolini non concesse benefici economici poiché misero era il compenso, ma diede lustro e identità, mostrandolo agli occhi del mondo nella nudità della sua condizione di vergogna nazionale e di custodi della dignità umana“.

Di quel popolo e di quella storia (davvero – possiamo dire parafrasando La ricotta – una delle più grandi accadute a Matera e nel Sud) e dei protagonisti del film, primo fra tutti Pasolini, le fotografie di Notarangelo ci restituiscono una icastica dimensione di verità e quella corporeità concreta, umana, lontana anni-luce dalla mitografia eppure capace di trasmetterci una sensazione ineffabile di emozione e poesia. La stessa avvertita con intensità dai visitatori della sua mostra sul Vangelo secondo Matteo da Parigi a Bologna, da Roma a San Pietroburgo, da Trieste all’Irpinia che grazie a Pasolini vide nascere il festival del cinema neorealistico “Laceno d’Oro” e che nel suo nome ha ripreso nel cinquantennale del Vangelo il suo nuovo percorso.

La testimonianza in forma di ricordo e di immagini di Domenico Notarangelo, unita nel volume di “Cinemasud” ad avvincenti interviste e ai notevoli saggi di Cetta Brancato, Angelo Fàvaro e Salvatore Ferlita, rappresenta un contributo originale e prezioso per far rivivere la magia di quel film straordinario e la realtà di un’epoca consegnata alla Storia. Con una memoria tenace e commossa, intensamente partecipe ma sempre veritiera e concreta, del tutto in sintonia con la sensibilità ed il rigore intellettuale di Pier Paolo Pasolini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Un commento su “PASOLINI – Gli storici articoli di Paolo Speranza per la Voce”

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