SCOOP TG3 / OGGI SCOPRE LO SCANDALO “REGI LAGNI” DI 35 ANNI FA   

Memorabile servizio del TG3 alle 14 e 30 di mercoledì 23 febbraio.

L’inviata speciale Roberta Ferrari scopre lo scandalo dei Regi Lagni, una gigantesca area tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, completamente abbandonata a se stessa, un disastro ambientale senza confini tra inquinamenti d’ogni sorta, in mezzo ad acque che più putride non si può.

Peccato che lo scoop sia a… scoppio davvero ritardato.

Di ben 35 anni, visto che il reportage della ‘Voce’ nel quale per la prima volta veniva denunciato lo scandalo – quello sì – di ben 1000 miliardi di vecchie lire sperperati e finiti per la gran parte nelle casse della camorra per lavori di bonifica inutili, anzi devastanti, è del 1987 quando titolavamo “Regi LagniMiliardi nel fango”. L’inchiesta era firmata da Andrea Cinquegrani e da Silvestro Montanaro.

 

Rammentiamo, per i più giovani, quei fatti.

Dopo il terribile terremoto dell’Irpinia nel 1980, lo Stato stanziò vagonate di miliardi di lire, 65 mila per la precisione.

Ovvio pensare che dovessero servire per ricostruire quelle devastate aree del cratere irpino, mettendo su nuove case e nuove aziende.

Ma il copione fu esattamente un altro.

Meno della metà di quei fondi furono gestiti in modo totalmente affaristico-clientelare, per dar vita ad imprese fantasma nell’avellinese e lasciando per anni e anni la gente nelle baracche.

La gran parte dei fondi, però, finì per iniziative che niente avevano a che vedere con la ricostruzione post sisma: soldi a palate stanziati soprattutto nel napoletano o in Terra di Lavoro.

Un esempio su tutti, anche per la colossale entità dello stanziamento, la “bonifica dei Regi Lagni”.

Allora la Voce si pose e pose l’interrogativo: ma cosa mai c’entra la bonifica di quell’area con la ricostruzione?

Ed invece c’entrava, eccome, nella logica di far affluire denari pubblici in gran quantità alle imprese di camorra, vuoi per il movimento terra, vuoi per la realizzazione di impianti idrici, vuoi per rimettere in sesto le strade, tra il moltiplicarsi di ‘varianti in corso d’opera’ e taumaturgiche ‘revisioni prezzi’.

Cosa di meglio dei Regi Lagni?

Ed è così che si mobilitarono progettisti ed ingegneri, in pole position l’uomo ovunque di ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino per la gestione dei miliardi post sisma, Vincenzo Maria Greco, ingegnere idraulico, appunto.

Quei colossali lavori inghiottirono la stratosferica cifra di 700 miliardi di euro, poi lievitata negli anni, fino a sfiorare l’incredibile tetto dei 1000 tondi.

Si dirà: finalmente un’area rimessa a nuovo, salvata dopo le opere che risalgono ai Borboni. E invece no: quei lavori furono totalmente sballati, sia sotto il profilo progettuale che esecutivo. Vennero allestite gigantesche opere di impermeabilizzazione: ottime per drenare danari con la pala (anzi, con la ruspa), ma pessime per difendere il territorio, che in seguito ad ogni minima pioggia finiva per allagarsi!

Anni dopo si è aperta un’inchiesta della magistratura, inchiesta che ha fatto il paio con quella, ben più grande, su tutta la ricostruzione post terremoto in Campania.

E sapete che fine ha fatto, quella inchiesta? Un flop.

Un buco nell’acqua, o meglio nel fango. Alla fine, condannati solo pesci piccoli, anzi piccolissimi, alcuni trasportatori e niente più. Quando tutti conoscevano nomi, cognomi e indirizzi dei camorristi che, con le loro imprese, aveva macinato utili e profitti; così come i nomi dei big del mattone che avevano allegramente subappaltato i lavori; per non parlare dei colletti bianchi, progettisti e non solo, come pure dei politici di riferimento.

E invece niente, tutti assolti: macchè, neanche mai indagati!

Stessa ingloriosa fine per il maxiprocesso sul terremoto. Anni e anni di inutili indagini e di danari pubblici sperperati, quando l’inchiesta era ‘viziata’ fin dall’origine: i capi di imputazione, infatti, erano per 416, ossia associazione a delinquere, con un essenziale ‘bis’ venuto magicamente a mancare, vale a dire l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

E quale fu la pezza a colori sventolata dal pool di magistrati (addirittura 4)   impegnati (sic) in anni di inutili indagini? Non c’è traccia di presenza camorristica nella ricostruzione! Quando invece è documentalmente accertato (il primo fu il sociologo italo-americano Rocco Caporale) che la camorra ottenne dagli appalti post sisma circa il 20 per cento sul totale dei soldi pubblici stanziati.

Ma tanto bastò – quella presenza della camorra solo ‘metafisica’ – a non far scattare una prescrizione ben più lunga, come è dovuto nei casi di 416 bis.

Per cui, alla fine, tutti felici, prescritti, liberi e contenti. E con un gran bottino da spartire tra camorristi, imprenditori e politici! Cin cin.

Ma tutto questo ‘mamma RAI non lo sa’.

E, soprattutto, non l’ha mai fatto sapere ai cittadini che pagano il canone. C’è solo una piccola eccezione: nelle bacheche di ‘Rai storia’ potete ritrovare (se ci riuscite) una rarità, alcune puntate su quel dopoterremoto curate da Franco Roberti, l’ex procuratore nazionale antimafia. Poi, il deserto.

 

 

 

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