I vaccinati con dosi a mRNA messaggero, quindi con i prodotti di Pfizer e Moderna, sono potenzialmente più esposti al contagio, rispetto ai non vaccinati.
La clamorosa scoperta è frutto di una ricerca italiana, condotta da un team dell’Università dell’Insubria e dall’Asst dei Sette Laghi, e coordinata da Lorenzo Azzi, patologo orale, e Greta Forlani, immunologa e patologa.
Lo studio è stato appena pubblicato con il titolo “Mucosal immune response in BNT162b2 Covid-19 vaccine recipients” su ‘EBioMedicine’, rivista del gruppo editoriale che fa capo a ‘The Lancet’, ma è stato totalmente ignorato dai media di casa nostra (ne fa cenno solo l’Huffington Post) sempre più cloroformizzati e allineati con i virologi di regime e i diktat del premier Mario Draghi.
Dalla ricerca emerge che, dopo il completamento del primo ciclo di due dosi di vaccino a mRNA, tutti i soggetti immunizzati presentano anticorpi neutralizzanti anti-spike nel sangue ma non nella saliva in cui, invece, sviluppano anticorpi neutralizzanti soltanto i soggetti precedentemente esposti all’infezione naturale e le cui mucose orali sono state a contatto con gli antigeni virali. Da ciò consegue, secondo i ricercatori dell’Insubria, che i vaccinati a mRNA sono potenzialmente più esposti al contagio rispetto ai non vaccinati.
Spiegano Azzi e Forlani: “Oggi il riacutizzarsi della pandemia fa emergere sempre con maggiore urgenza la necessità di indurre un’immunità sterilizzante per bloccare la diffusione del virus. A nostro parere, per raggiungere questo obiettivo occorre rafforzare le difese immunitarie a livello delle vie aeree, sviluppando ad esempio preparazioni vaccinali somministrate nel cavo orale o nelle vie nasali, che rappresentano la prima barriera all’ingresso del virus nell’organismo”.
E aggiungono: “Sulla base delle evidenze sperimentali ottenute da questo primo studio, stiamo valutando l’andamento della risposta immunitaria umorale nel siero e nelle mucose degli stessi soggetti a circa sei mesi dal termine del ciclo vaccinale o dopo il terzo boost antigenico”.
Va tenuto presente che in Russia è stato appena prodotto uno spray nasale che – secondo gli esperti – dovrebbe fungere da efficace barriera protettiva per impedire al covid di aggredire le prime vie aeree, il rituale punto di ingresso del virus.
Altri significativi e recentissimi studi, poi, arrivano dalla Columbia University di New York e stavolta vengono pubblicati sulla rivista ‘Nature’.
Ne informa ‘Ansa Canale Scienza e Tecnica’. Ecco il dispaccio: “I vaccini anti-covid potrebbero perdere parte della loro efficacia di fronte alla variante Omicron: lo suggeriscono cinque studi appena usciti su ‘Nature’, condotti da David Ho della Columbia University ed effettuati su tutti i vaccini in uso, nonché sugli anticorpi monoclonali approvati come terapia anti-covid. Da una serie di test di laboratorio, infatti, è emerso che l’effetto neutralizzante degli anticorpi indotti dai vaccini in 54 soggetti, tra cui anche 15 sottoposti alla terza dose booster, è basso contro Omicron”.
Non è finita qui.
Passiamo al Canada. Secondo uno studio finanziato anche dal governo, l’efficacia del ‘booster’ dei vaccini a mRNA è pari ad appena il 37 per cento.
Mettono nero su bianco gli autori: “E’ improbabile che due dosi di vaccini proteggano dall’infezione Omicron”.
A questo punto, sulla base di simili studi e ricerche, la statunitense ‘Food and Drug Administration’ (FDA) dovrebbe ritirare l’autorizzazione (concessa in via definitiva bruciando le tappe il 23 agosto scorso) all’uso di vaccini che presentano un’efficacia di gran lunga al di sotto della soglia minima, che è rappresentata dal 50 per cento (mentre Pfizer e Moderna hanno sempre strombazzato un’efficacia superiore al 90 per cento).
E lo stesso dovrebbe fare EMA, l’agenzia europea per il farmaco.
Ma c’è mai da aspettarsi qualcosa di serio dalla FDA, per giunta ora guidata dal neo commissario Robert Califf, il grande “amico” (e consulente) delle star di Big Pharma?
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