Vergogna, disdoro: privati del privilegio di affidare il Paese a una personalità senza macchia, di altissimo profilo per competenza, esperienza, specchiata onestà e comprovata stima a dimensione internazionale, i 55 milioni di italiani, che della partitocraziah anno nausea e disgusto, subiranno l’esito della scazzottatura che i giudici inappellabili di Camera e Senato riuniti sanciranno levando in alto il braccio di chi vincerà ai punti il match disputato senza esclusione di colpi sul ring del Parlamento. Il futuro presidente sarà in ogni caso il prescelto imposto a fatica da deputati e senatori, soggetti contrari protervamente al significativo atto di correttezza istituzionale della rinuncia al titolo illegittimo di ‘onorevole’, abolito sessant’anni fa da una legge mai contraddetta. Sarà Draghi, che per trascorsi e dna è gradito e non a caso, all’establisment finanzario-mondo dell’impresa, ma anche ai vertici del Pd che mimetizzano, male, la battuta di pesca nel mare quieto della moderazione, testimoniata in questi giorni dal sorprendente schieramento contro D’Alema, a difesa delle critiche mosse a Renzi, sempre più DC che progressista. Lo stesso Pd propone in alternativa a Draghi un accurato ventaglio di nomi fortemente connotati da antica appartenenza al pianeta dei conservatori e cioè Franceschini, Gentiloni, Rosy Bindi, Lorenzo Guerini di nota estrazione democristiana, Amato e Prodi, non esattamente uomini di sinistra. Se al Nazareno squillano le trombe, per ora in sordina, a destra suonano campane stonate. Stagna in un guazzabuglio inestricabile l’orientamento di una coalizione che meno coesa di così è difficile immaginare: ma davvero pensa di sfidare il ridicolo con la candidatura dell’impresentabile Berlusconi, privo dei connotati di politico integerrimo, super partes, protagonista di un clamoroso conflitto d’interessi, fedina penale non proprio immacolata e zero credito internazionale? Altrimenti cosa nasconderebbe la pagliacciata del bunga-bunga quirinalista? Forse un subdolo diversivo, un piano ‘B’, per esempio l’obiettivo del Colle abitato dalla leghista Moratti, da Marcello Pera, altro leghista, dal dottor sottile Gianni Letta, che il Pd non silurerebbe volentieri perché zio del piduino Enrico? Forse un ‘generoso’ ok a Draghi in zona Cesarini, per liberare il ruolo di premier e orientarlo a destra, profittando del vento in poppa soffiato balla borgatara Meloni? Ecco lo snodo centrale, il culmine della paranoia dei partiti, un nuovo caso di ‘me ne frego’, (copy right dello squadrismo fascista, ma in forme meno caciaresche adottato anche in altri ambiti della politica). Bello o brutto, buono o cattivo, giovane o anziano, uomo o donna, incensurato o frequentatore di aule del tribunale, eticamente irreprensibile o colluso con la criminalità, corrotto o incorruttibile, insomma carne o pesce, lana e seta, divisivo o inclusivo: comunque ok? Sì, purchè incasellato nello schedario del partito che lo sponsorizza. Ski, con l’abituale attenzione per la credibilità dei numeri, ha messo in colonna le quote di voti presunti di cui disporrebbe il condannato Berlusconi. Pur nella sua evidente esiguità percentuale c’è anche Italia Viva di Renzi, che con un pizzico di maliziosa ironia potrebbe presto trasformarsi in Italia Forza Viva. L’amico degli arabi, ovvero l’impertinente Matteo, che ben gestisce l’abilità di affabulatore e si arricchisce con le parcelle di conversatore internazionale, ieri ha goduto dell’empatia del confindustriale ‘la Repubblica’: due pagine anti D’Alema critico con il capo di Italia Viva, quasi una standing ovation. Per caso, anche l’ex sindaco di Firenze nell’indistinto calderone della moderazione qualunquista del Pd, che si affaccia senza arrossire sul panorama del centrismo?
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