LO ZELIG DEL TOTO-PRESIDENTE

Con mille scuse per l’irriverenza dell’ipotesi azzardata qui di seguito: tra gli italiani assennati, politicamente corretti, si fa strada l’idea che Zelig, rassegna regina della comicità, sarebbe la location televisiva perfetta per raccontare il ‘divertente’ caos della lotteria 2022, che oserà sfidare il mito di De Nicola, Pertini, Mattarella, nel proporre il successore alla presidenza della Repubblica. Sfoltita la rosa di pretendenti che i media hanno raccattato qua e là, subdorando le affinità dell’uno e dell’altro con i grandi elettori di destra, centro e sinistra, la dittatura dei sondaggisti, la cui indipendenza dai partiti è molto dubbia, prova a influenzare gli umori del Parlamento, sbattendo in prima pagina le presunte preferenze di deputati e senatori .Da mesi fotografa Draghi sul gradino più alto del podio, mentre con sussiego indirizza uno sguardo compassionevole al secondo arrivato, in arte l’iperattivo Berlusconi, indaffaratissimo a ‘comprare’ consensi,  incurante della veneranda età e dei relativi acciacchi. L’eroe in persona di ‘meno male che Silvio c’è” gongola, perché distanziato di un niente dal traguardo del Colle. A ben pensarci, il suo ardire non è degno del palco di Zelig o ancora di più dell’interesse di un produttore cinematografico, che per celebrare gli irresistibili Stan Laurel e Oliver Hardy finanzia un lungometraggio all’insegna del ‘ah, ah, ah, che ridere mi fa, con l’uomo di Arcore protagonista?

Un tema di evidente significato introduce nel gioco d’azzardo del toto presidenza l’elemento universalmente condiviso del “perché non una donna?”. L’avance del femminismo ha buona, convincente sostanza e le quote rosa non c’entrano. La statura morale, il passato, i valori di una vita molto speciale, la saggezza, il prestigio carismatico, la cultura profondamente democratica, l’aspetto iconico di tutela rassicurante del dettato costituzionale antifascista, la rassicurante serenità, sarebbero incontestabili motivazioni di un voto plebiscitario del Parlamento per Liliana Segre e l’ovvia, ‘rassicurante’, ma ininfluente opposizione della borgatara Meloni.  Informata dell’ipotesi, la nobile senatrice ha dolcemente detto ‘no’. Questo elevato esempio di coerenza contrasta nobilmente con la pochezza della partitocrazia, che prescinde dal rispetto dei principi enumerati dalla senatrice e mette in campo candidature di parte, da cui trarre vantaggio durante il mandato settennale del Presidente. Non è difficile intuire le ragioni che hanno indotto la senatrice a riservarsi il già gravoso prestigio di senatrice a vita. Dall’alto della sua riconosciuta onestà intellettuale, ha segnalato, a quanti si affannano nella ricerca di un nome condiviso, le doti richieste a chi ha l’alto compito di guida del Paese: competenza, saggezza, specchiata moralità e fermezza nel difendere i valori della Costituzione. Osservata così, la rivendicazione sic et simpliciter di una donna per il Quirinale non convince. Sarebbe ineccepibile e renderebbe ragione al legittimo postulato della parità di genere se al nome indicato corrispondesse quanto richiesto a un capo dello Stato, donna o uomo. Alternative zero, sempre che non si voglia proporre ai comici di Zelig un canovaccio da matte e amare risate, con in primo piano l’involontariamente comico Sil.Ber.


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