Fatta la legge… trovato l’inganno

Avremmo voglia di litigare. Perché non va giù il pessimismo della ragione, che nel citare l’Italia, stupenda penisola a forma di stivale, le attribuisce il titolo affibbiato a luoghi del mondo non propriamente apprezzati, ovvero ‘Paese delle banane’. Nel contestare questa malignità, smentita dalle mille qualità riconosciute universalmente al ‘Bel Paese’, a margine residua però la perplessità motivata dal sospetto che per ragioni solo in parte decifrate molti processi a carico di politici o comunque di personaggi ‘influenti’ finiscono con l’assoluzione o con la prescrizione dei reati per ‘decorrenza dei termini’. Questo lato ‘B’ della magistratura ha pessima influenza su altri strumenti di giudizio come le inchieste ‘interne’, le decisioni dei tribunali amministrativi e figuriamoci, il parere del tribunale dei ministri chiamato a valutare i reati di esponenti dell’esecutivo. La riflessione trae spunto dalla sorprendente (a dir poco) sentenza emessa dalla Procura della Federazione Italiana Gioco Calcio, che ha archiviato il “caso Suarez”, del giocatore che la Juventus intendeva ingaggiare come atleta comunitario per aggirare il limite di tesserati stranieri, dopo aver superato l’esame di pertinenza dell’Università di Perugia, che accerta la conoscenza del ‘candidato’ della nostra lingua, condizione per ottenere la cittadinanza italiana. Suarez ‘avrebbe’ superato il test, ma grazie alla ‘disponibilità’ dell’ateneo ad abbreviare la procedura per rendere subito arruolabile il giocatore, fornendogli in anticipo domande e risposte degli esaminatori. L’ ‘imbroglio’ è stato svelato dalla Guardia di Finanza, documentato da inequivocabili intercettazioni telefoniche, perfino dalle dichiarazioni del giocatore, che confessa di aver ricevuto in anticipo il contenuto dell’interrogazione. Chiare le responsabilità dei vertici della Juventus e dell’Università. Nonostante le ‘agevolazioni’ concesse a Suarez, ecco un dialogo intercettato tra esaminatori della prova truccata: “Non dovrebbe, deve, passerà. Con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non conosce l’italiano. L’abbiamo instradato bene, sta memorizzando parte dell’esame”. “Ma non coniuga i verbi, parla all’infinito”. “Fa niente, mi dici tu quale voto ci do e via”.

Il risvolto giudiziario. Udienza preliminare della Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone. Il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio per Giuliana Grego Bolli, rettrice dell’Università per stranieri, l’ex direttore generale Simone Olivieri, la professoressa Stefania Spina e il legale della Juventus Maria Turco, ‘concorrente morale e istigatrice’. Le accuse: falso ideologico, rivelazione di segreto d’ufficio e falso materiale. Il ‘caso’ finisce, ovvio, all’attenzione della FIGC, della sua Procura e voilà, sovrapponendosi alla magistratura ordinaria, ovvero smentendo l’impianto dell’accusa sostenuta da prove inappellabili, il caso è archiviato. Non è una burla, è proprio l’esito del giudizio della giustizia sportiva, che non osa condannare il potente club, diretta emanazione della Fiat, presieduto da Andrea Agnelli, in questi giorni coinvolto con altri in faccende di bilanci truccati alla voce contratti di calciatori (42 plusvalenze sospette su 60 riguardano la Juve). Ora, chi ha l’ardire di scommettere che questo nuovo caso non finirà nel nulla come la vicenda Suarez? E con quale motivazione gli italiani perbene ritengono di poter rifiutare per l’Italia la definizione di ‘Paese delle Banane?’


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