ICONE ANTIMAFIA / LA INGROIA STORY, DAI BOSS ALLA LOLLO 

Dalla caccia ai super boss alla difesa di Gina Lollobrigida.

E’ questo il variegato curriculum professionale di una delle storiche icone  antimafia, Antonino Ingroia, per anni sulle barricate a dettar proclami e  costruire i più grandiosi teoremi, come quello della Trattativa Stato-Mafia, andato a finire in gloria.

Rammentiamo quel giorno in cui, sbarcato a Napoli come una viola mammola, portato dai suoi fans al Maschio Angioino per arringare la folla partenopea, dopo maestose parole tuonò: “Noi vogliamo verità e giustizia per le stragi di Capaci e via D’Amelio!”.

Noi?, osò controbattere una solitaria vocina dal fondo della sala. A qualcuno, infatti, suonò ben strano quell’accorato appello, che giungeva da un dei pm incaricati delle più delicate indagini. Un appello che avrebbe dovuto rivolgere a se stesso.

E al momento di ‘stringere’ su episodi che hanno fatto la storia (o meglio la malastoria) di casa nostra, come ad esempio la mancata perquisizione e il mancato controllo del covo di Totò Riina, dopo il suo arresto, al processo che ne seguì a carico di coloro che avrebbero dovuto farlo e non lo hanno fatto, lui, il super pm Ingroia, proprio in veste di pubblico ministero, chiese l’archiviazione del caso, che vedeva sul banco degli imputati, per fare un solo nome, quello del capo del Ros, il generale Mario Mori. Che la passò liscia e ne uscì candido come un giglio.

L’eroe stanco di tante battaglie, Ingroia, ad un certo punto pensa che il suo destino sia ben altro. E si tuffa in politica. Ma le urne gli sbattono impietosamente la porta in faccia e il suo movimento raccoglie pochi voti tra parenti e amici.

Una parentesi in Guatemala, tanto per ritrovare il fiuto d’un tempo e godersi qualche mese di giusto riposo.

Torna in Patria e subito la Regione Sicilia gli apre le porte e gli consegna su un piatto d’argento una poltronissima, ossia la direzione di una società controllata per verificare la trasparenza delle spese regionali. Ne combina

però, di tutti i colori, tanto da finire sotto la lente d’ingrandimento dei suoi stessi ex colleghi pm. Tutto, al solito, finisce in una bolla di sapone. Anche se il primo grado non era stato tenero con lui: un anno e nove mesi per peculato.

Stanco anche della politica, al nostro Eroe non resta che l’ultima, ma dorata spiaggia. Non quella di Mondello bensì la difesa di pezzi grossi, così come era abituato, da ottimo segugio, a dar la caccia ai pezzi grossi dei clan.

O ora ottiene la sua Palma d’Oro: ossia la nomination che qualunque avvocato sogna nella vita. Il patrocinio della star di tutte le star, Gina Lollobrigida, di cui sarà – come si è già autoetichettato – l’avvocato “guerriero”. E in questa veste profonderà ogni sua stilla di sudore per “restituire Gina all’arte”.

Non resta che la regia di un Kolossal. Un remake sulle fatiche di Ercole?


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