E’ riuscito miracolosamente ad evitare il processo per depistaggio nel giallo di via D’Amelio.
Ma ora scivola sulla buccia di banana dell’abuso d’ufficio per aver favorito un amico imprenditore del ragusano indagato dalla finanza per fatture false e viene condannato in primo grado.
Stiamo parlando di Carmelo Petralia, la toga siciliana appena andata in pensione e più volte salita alla ribalta delle cronache, negli ultimi anni, per il giallo Borsellino, del quale laVoce ha più volte raccontato.
Petralia, infatti, è stato il primo pm, insieme a Annamaria Palma, a puntare i riflettori sulla strage di via D’Amelio. Solo dopo alcuni mesi i due vennero affiancati nelle indagini da Nino Di Matteo, poi diventato un’icona antimafia.
I fatti sono ormai noti, soprattutto quelli inerenti il pentito Vincenzo Scarantino, le cui verbalizzazioni e i cui racconti vennero presi per oro colato dagli inquirenti, nonostante i colleghi Ilda Boccassini e Roberto Sajeva avessero messo in guardia circa l’attendibilità e la credibilità di Scarantino.
Ma niente. E così Scarantino divenne il perno dell’accusa, ‘ottimo e abbondante’ per far condannare quelli non c’entravano niente con la strage e hanno scontato 16 anni di galera da innocenti.
Solo molti anni dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza smontano la sceneggiata. E man mano viene fuori “il più colossale depistaggio della nostra storia”, come viene definito dai giudici del Borsellino 4.
La responsabilità del taroccamento di Scarantino, però, finisce tutta sul groppone dei poliziotti coordinati, all’epoca, dal super poliziotto Arnaldo La Barbera; tre poliziotti che ora sono sotto processo.
L’hanno fatta franca, invece, i pm (Palma e Petralia, appunto) che nulla sapevano (sic) di quanto i poliziotti stava combinando. Del tutto ignari, e per questo la loro posizione è stata archiviata.
Scansato il macigno, ora però Petralia inciampa su un ciottolo.
Il gup di Messina, Fabio Pagana, infatti, lo ha condannato ad un anno, pena ovviamente sospesa, per abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, l’ex procuratore di Ragusa e poi procuratore aggiunto di Catania, avrebbe volontariamente omesso di indagare su un amico, l’imprenditore Giovanni Giudice, non esercitando per 6 anni l’azione penale e facendo morire così l’inchiesta di prescrizione.
Giudice avrebbe dovuto rispondere di reati fiscali per false fatturazioni.
I fatti coprono un arco temporale che va dal 2011 al 2017. Nonostante i rapporti di frequentazione, Petralia non si astenne, e non dispose alcuna delega di indagine.
Il pm dell’attuale processo a carico di Petralia è Antonio Carchietti, che ha lavorato sotto il coordinamento del procuratore capo, Maurizio de Lucia.
L’indagine era nata a Catania ed è stata poi trasferita per competenza territoriale a Messina.
In sede processuale, Petralia si è difeso affermando che non c’era alcun obbligo di astensione, nonostante ci fossero dei rapporti amichevoli con l’indagato; inoltre ha sostenuto che le intercettazioni prodotte dai pm erano inutilizzabili. Nel corso dell’interrogatorio, però, si è difeso circa il ‘merito’ delle conversazioni intercettate, facendole così, di fatto, rientrare agli atti dell’inchiesta.
Nella foto Carmelo Petralia
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